Un punto sul Torneo dopo le prime due giornate: lo stato dell’arte delle sei contendenti
Uno dei temi più divisivi del dibattito ovale spesso ha a che fare con le preferenze e i giudizi di tifosi e aficionados su quello o quell’altro telecronista. Una discussione un po’ sterile, ovviamente senza un vero vincitore, visto che si parla di gusti personali.
Al di là delle preferenze, però, durante la telecronaca di Francia-Italia del secondo turno Vittorio Munari ha il merito di aver centrato la tematica principale di questo Sei Nazioni 2020: la dicotomia fra evoluzione e rivoluzione.
Tutte le squadre partecipanti hanno cambiato, in misura diversa, orientandosi su un gradiente che va dalla continuità rispetto alla precedente gestione fino allo sconvolgimento del singolo status quo.
Francia e Irlanda: le due capolista
L’Irlanda e la Francia, le due nazionali al comando del Torneo dopo le prime partite, si trovano su fronti opposti dell’asse evoluzione-rivoluzione.
I transalpini di Fabien Galthié sono chiaramente l’epitome del secondo termine, forse per DNA storico, forse per l’apertura di una opportunità unica di cui si è presa coscienza da un paio d’anni. La rivoluzione è arrivata soprattutto in termini di volti, a tutti i livelli: giocatori, staff tecnico e dirigenziale della nazionale maggiore, e presto anche vertici federali, dove Laporte lascerà per puntare alla vicepresidenza di World Rugby e ci saranno le elezioni sul finire del 2020.
La rivoluzione di Galthié si è rivelata per il momento efficace, portando a casa due vittorie casalinghe contro due squadre ai poli opposti del Torneo: la favorita Inghilterra e la vituperata Italia. Nove punti che hanno lanciato i transalpini verso un’immediata possibilità di fare risultato, grazie a una rosa di giovani e giovanissimi che però si dimostra ben pronta ai palcoscenici che deve affrontare. Una rivoluzione, insomma, che beneficia anche di un lavoro sottotraccia fatto nell’ultimo lustro dai club e dalla federazione nel rilanciare la formazione di giocatori francesi e nel modificare un po’ l’approccio tecnico nei due principali campionati, il Top 14 e il ProD2.
Adesso per Ollivon e compagni arriva la prova del nove. Alla ripresa delle ostilità sono attesi alla prima trasferta, a Cardiff, in uno scontro che è diventato un po’ un grande classico, una rivalità forse non storica ma sicuramente importante: a partire dalla semifinale mondiale del 2011 fino alle due incredibili rimonte dei Dragoni negli ultimi due incontri (Sei Nazioni 2019 e Rugby World Cup), il Galles rappresenta un notevole spauracchio per i Bleus e un crocevia fondamentale per il proseguimento del Torneo.
Per la sua Irlanda, invece, Andy Farrell aveva promesso di portare qualche cambiamento in più di quelli che si sono effettivamente visti in questi primi due turni di Sei Nazioni. Sebbene la scelta dell’ex allenatore della difesa sotto Joe Schmidt fosse chiaramente in linea con un’idea di continuità, dalle parti di Dublino i tifosi si aspettavano di vedere qualcosa di nuovo.
In particolare, la sudata vittoria contro la Scozia non ha particolarmente scaldato i cuori dei tifosi. La vittoria contro il Galles, anch’essa davanti al pubblico amico, ha invece convinto buona parte degli osservatori, persuasi che il nuovo staff tecnico sia sulla giusta strada.
L’Irlanda sta attraversando una fase di transizione. Il gruppo storico, quello che per intenderci ha raggiunto il proprio apice con le due vittorie contro gli All Blacks del 2016 e del 2018, non ha ancora mollato del tutto il timone. Le prestazioni di senatori come Sexton e Stander giustificano la situazione: giocatori che riescono a trovare il modo di incidere anche se chiaramente lontani dal loro momento migliore in carriera. Prendete il sudafricano, conosciuto per le sue capacità di instancabile e quasi implacabile ball carrier: ha funzionato maggiormente come prepotente rubapalloni in fase difensiva.
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Dal punto di vista del gioco si sono viste poche variazioni allo spartito classico in cui l’Irlanda rischia pochissimo, mantiene il possesso con grande solidità, gioca per linee dirette e con una grande predominanza del gioco off 9, con un solo passaggio prima del contatto. Preso il vantaggio nel punteggio, gli irlandesi sono capaci di stritolare l’avversario in una morsa che ricorda la spremitura delle olive a fine autunno: questo è quello da cui sono dovute passare Scozia e Galles.
La domanda adesso è: da qui alla fine del Torneo vedremo una ulteriore evoluzione della squadra irlandese?Sicuramente nella mente di Farrell c’è un obiettivo di medio periodo di cambiamento rispetto al recente passato, ma l’inglese sembra anche molto cauto nel procedere lungo il percorso. Lo dimostra l’ostinata affezione a Conor Murray, di certo leader della squadra, ma anche un giocatore in declino fisico e tecnico che deve patire forse la competizione più spietata per la maglia da titolare, con un John Cooney che scalpita a tal punto da giocare 3′ consecutivi senza una scarpa nel finale della gara contro il Galles.
Per questa Irlanda tosta, ma non eccezionale, il proposito di una immediata evoluzione potrebbe essere il modo per affrontare le ultime tre giornate di Sei Nazioni, che nascondono le principali insidie: il prossimo turno in Inghilterra mette di fronte a Sexton e soci una squadra iperfisica che potrebbe vincere la battaglia davanti e neutralizzare il prevedibile attacco irlandese, così come la sfida conclusiva allo Stade de France.
Le ambizioni e i dubbi di Galles e Inghilterra
Inghilterra e Galles hanno vinto una partita a testa, ma per le due favorite della vigilia quello che hanno lasciato i primi due turni di Sei Nazioni sono più dubbi che certezze. Entrambe le squadre hanno puntato su una sorta di continuità, ma nel Galles di Wayne Pivac l’evoluzione rispetto al suo predecessore è stata molto più pesante rispetto a quella operata in Inghilterra, dove il pugno di ferro di Eddie Jones continua a dettare legge.
Proprio per questo motivo il XV della Rosa è la squadra che sulla nostra scala è più orientata verso la pura continuità rispetto a prima della World Cup. Lo si vede nelle scelte fatte dallo staff tecnico, sia in termini di giocatori messi in campo che di strategia di gioco.
Un Sei Nazioni tutto sommato indecifrabile quello giocato dagli inglesi: la delusione di Parigi è stata forte, anche se una sconfitta non era da escludere e il punto di bonus raccolto si rivelerà preziosissimo, mentre il match di Edimburgo è stato pesantemente condizionato dal meteo.
Dopo aver raggiunto la finale mondiale, il rischio per l’Inghilterra è quello di cercare di replicare le prestazioni della fase finale in Giappone, piuttosto che addentrarsi in una vera e propria evoluzione del proprio sistema. Rimanere fermi mentre tutto intorno cambia è una buona soluzione per farsi superare, ma gli albionici continuano a essere in lizza per la vittoria finale del Torneo.
Dalla loro hanno il calendario relativamente favorevole. Abbiamo visto quanto conta il fattore campo, e nei prossimi tre turni l’Inghilterra affronterà le due sfide difficili (e decisive) contro Irlanda e Galles a Twickenham, mentre l’ultima trasferta, in Italia, dovrebbe risultarle relativamente tranquilla.
Per i Dragoni i dubbi emersi dopo la prestazione non eccezionale di Dublino sono diversi, ma il gruppo guidato da Alun Wyn Jones deve essere bravo a non farsi sviare dalle polemiche esterne. Vincere in Irlanda è praticamente un tabù per i gallesi (3 vittorie in 21 anni di Sei Nazioni), e tanto di quell’incontro è passato dalla meta sfuggita per un niente ad Hadleigh Parkes. L’attacco del Galles è molto bello da vedere, e il lavoro di Stephen Jones, assistente per la fase offensiva di Pivac, sembra essere sulla strada giusta: è proprio lì che si annida la parte più rivoluzionaria del nuovo corso. Più duramente dovranno invece lavorare gli altri reparti: contro l’Irlanda la difesa è sembrata veramente leggera, con tantissimi placcaggi sbagliati; la rimessa laterale, da par suo, è crollata nel momento più importante, incapace di dare palloni da giocare alla squadra.
Risolvere questi problemi è la priorità del Galles atteso all’importante sfida di ospitare la Francia.
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Italia e Scozia: una sfida che decide il futuro
Le due squadre che hanno perso entrambe le partite, Italia e Scozia, si orientano in maniera molto diversa sull’asse evoluzione-rivoluzione. L’Italia non si trova per propria precisa volontà nella zona più tendente al cambiamento radicale: i vertici del rugby azzurro avrebbero voluto anzi dare continuità al lavoro svolto negli ultimi 4 anni da Conor O’Shea, ma le cose sono andate diversamente.
Dopo le vicissitudini di Rob Howley e la nomina ad interim di Franco Smith, che prevedibilmente verrà confermato dopo il Sei Nazioni, l’Italia si è ritrovata ad avere pochissimo tempo per preparare il Torneo. Le voci che arrivano però dal ritiro degli Azzurri parlano di tantissimo lavoro svolto da staff e giocatori per implementare al meglio le idee di gioco del tecnico sudafricano, improntate a un rugby di movimento, fatto di velocità e di passaggi, alla ricerca di un’identità ovale italiana.
Gli effetti si sono parzialmente già visti contro la Francia, e anche se la nostra squadra risulta ancora nettamente inferiore alle altre cinque, le buone cose fatte soprattutto in fase offensiva hanno riportato un po’ di entusiasmo. Un sentimento da non spegnere sul nascere, perché ci sarà bisogno anche di fiducia e convinzione per arrivare al prossimo 22 febbraio con in cascina tutte le armi migliori per abbattere l’avversario scozzese.
Non se la sta passando benissimo Gregor Townsend. La sua Scozia subisce l’influsso negativo di una congiuntura che ha visto coincidere un ricambio generazionale con pochi giovani di qualità con la diatriba con Finn Russell, lo scandalo dei manager della federazione che si sono raddoppiati lo stipendio e una generale sfiducia nei confronti dell’head coach.
Sul campo la discontinuità rispetto al recente passato è minima. La Scozia mette cuore e placcaggi nei propri incontri, ma soccombe. Vietato però dare per morti gli highlanders, che hanno comunque sfiorato l’impresa a Dublino prima di cedere sotto la tempesta Ciara prima ancora che alla forza dell’Inghilterra: hanno ancora il tasso di talento necessario per battere gli Azzurri a Roma e per fare uno scherzetto alla Francia fra le mura amiche di Murrayfield.
Proprio la sfida fra Italia e Scozia, che anima un terzo turno che è davvero crocevia e punto di svolta di questo Sei Nazioni, darà la misura del futuro delle due squadre: dovessero vincere gli Azzurri, sarebbe un’iniezione di fiducia enorme nel lavoro di Franco Smith, che potrebbe proseguire con maggiore serenità e cogliere i frutti del lavoro fatto ai livelli inferiori (franchigie e nazionali giovanili); per Townsend sarebbe probabilmente la parola fine, mentre una vittoria un palliativo che però potrebbe dargli il tempo di costruire una vera e propria evoluzione della propria squadra perché dalle parti di Edimburgo si possa arrivare a rivedere il fiore di Scozia.
Lorenzo Calamai
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