Michele Rizzo, tra passato, presente e futuro ovale

Abbiamo parlato con l’ex pilone azzurro della sua prestigiosa carriera, e del suo interessante futuro da coach

Michele Rizzo in azione contro il Canada alla Rugby World Cup 2019, partita in cui marcò la prima meta della carriera in azzurro (ph. Sebastiano Pessina)

“La decisione di smettere era già stata presa due stagioni fa. Quando ero a Leicester, mi era stata offerta questa possibilità di tornare a casa e finire la carriera laddove tutto era cominciato, in maglia Petrarca.  Era anche quello che avevo sempre sognato, da romantico quale mi considero. Quando firmai il contratto già sapevo che sarebbero stati i miei ultimi due anni. Sia per l’età in sé, sia per il fisico, alla luce degli infortuni patiti e di un logorio fisico importante. Non ultimo poi, mi ero accorto di non poter sopportare ancora per troppo tempo la fatica mentale e fisica degli allenamenti quotidiani”, ci racconta, con un pizzico di emozione, nonostante una serenità di fondo palpabile, percepibile dal tono della voce, Michele Rizzo, a poche ore dall’annuncio ufficiale del suo ritiro, velocizzato tristemente da quella maledetta epidemia di Coronavirus che sta segnando, a più livelli – anche emozionale -, la nostra società in questo avvio di 2020.

La festa è solo rimandata

“Finire la carriera così lascia un poco di amaro in bocca, inutile negarlo. In questo momento, tuttavia, le cose serie, le sfortune ed i fatti di cui rammaricarsi sono altri. Ci sarà sicuramente modo di organizzare una festa, o anche solo una cena per celebrare questo ‘passaggio’, ma penso che oggi passi tutto, giustamente, in secondo piano.

Anche perché sono molto orgoglioso di quello che ho fatto. Ho avuto una carriera sorprendentemente bella. Forse non ci avrei mai scommesso nemmeno io. Quindi, tutto sommato, non credo che una partita d’addio, o meno, possa darmi o togliermi qualcosa”, prosegue tuttavia l’ex numero 1 dei Leicester Tigers, svelandoci i segreti della sua longevità agonistica.

“Ho cominciato a giocare molto giovane con la prima del Petrarca. Mi sono sempre prefissato obiettivi a breve termine. A 18 anni volevo giocare con la prima. In seguito, volevo diventare titolare, poi fare il capitano, e poi ancora ovviamente puntare ad un posto in Nazionale. Step by step, sempre lavorando sodo ogni singolo giorno, durante l’anno e in off-season. Anche quando mi sono trovato di fronte a un fallimento, perché l’unico modo per poter andare avanti e migliorare, anche quando tutto sembra buio, è dare il 100% nel lavoro quotidiano, in modo tale da potersi guardare allo specchio ed essere in pace o meno con sé stessi, al netto del risultato. Questo è anche l’unico consiglio che mi sento di dare, nello sport e nella vita: date il meglio di voi stessi ogni singolo giorno, ancor più quando le cose non stanno funzionando”, narra entusiasta.

Il cielo di Michele è azzurro nonostante tutto

Una costanza che, nonostante una concorrenza stellare, ha consentito a Michele Rizzo di regalarsi grandi gioie in maglia azzurra. “Ho sempre avuto due piloni fortissimi davanti a me, come Andrea Lo Cicero e Salvatore Perugini. Due super giocatori. Quindi, in ottica azzurra, ero conscio di avere la strada per certi versi chiusa, perché mi trovavo al cospetto di due colleghi forti, più forti di me. Nonostante ciò, però, non mi sono mai dato per vinto.

Sono sempre riuscito a stare nel giro della Naizonale A, una volta uscito dalla selezione Under 21 e non ho mai mollato. Sapevo che sarebbe arrivata l’opportunità giusta, prima o poi, e devo dire che nel corso degli anni se ne sono presentate diverse, di occasioni giuste. La prima, nel 2005, con l’esordio contro l’Australia, e poi con Mallet, nel 2008, l’esordio da titolare in Sudafrica.

A Città del Capo, non fu una prima volta facile (sorride, ndr), contro il Sudafrica campione del Mondo. Ci trovammo al cospetto di un livello avversario stellare. Personalmente, poi, giocai davanti ad un pilastro Springboks come come Van der Linde, che quel giorno festeggiava il cap 50 della carriera. Una sfida nella sfida molto dura, che, però, mi ha dato moltissimo anche per gli anni a venire, in termini di consapevolezza ed autostima. Grazie a quella esperienza ed agli anni in Benetton Rugby (dal ’09 al ’14), in un campionato come la Celtic League, infatti, mi sono reso conto, anche se non ero già più giovanissimo, che avrei potuto restare a lungo a certi livelli. Anche con un pizzico di fortuna – che serve sempre (sorride, ndr), così, sono riuscito a giocare diversi anni in Pro12/14, a Treviso e poi Edimburgo, fare un’esperienza in un club come Leicester ed archiviare 23 caps”.

Aneddoti/ricordi speciali

Una carriera lunghissima e di alto profilo, che ha permesso al 37enne nativo di Dolo di accumulare svariati aneddoti, ed accatastare nella mente infiniti ricordi legati al mondo ovale e tutto ciò che gli gira attorno. “Avendo avuto la fortuna di giocare a questo sport per tanti anni mi porterò dentro tante cose, numerosi eventi ed altrettanti rapporti umani speciali. Se dovessi raccontare un aneddoto che mi fa sempre sorridere, però, direi quello dell’estate 2005 al Petrarca, quando da capitano accolsi Nicky Little a Padova.

Lui era il 10 delle Fiji, un idolo in patria ed un giocatore di altissimo livello, in arrivo direttamente dai Saracens. Benché capitano, ero molto giovane, ed il giorno che andai a riceverlo a Villa Ferri – per portarlo in giro per la città, come richiestomi dalla società -, pensai che avrei dovuto darmi un tono, per essere credibile ai suoi occhi. Mi presentai e gli dissi <<Buondì Nicky, sono Michele, il tuo nuovo capitano>>. Lui, in effetti, mi prese parecchio sul serio, ma mi resi conto, pochi giorni dopo, di quanto fosse stata inutile questa mia pensata, in senso generale, ed ancor più al cospetto di un uomo (ed atleta) come Nicky, dotato di un rispetto ed un’etica del lavoro straordinari.

Se parliamo di mero campo, invece, mi ricorderò per sempre la prima volta che ho cantato l’inno nazionale. Sia in senso assoluto, con l’under 16 a Neath, contro il Galles, sia con la seniores, a Melbourne contro l’Australia. Poi ovviamente, non posso non citare le emozioni dell’incredibile partita del Sei Nazioni 2013, contro l’Irlanda. La prima vittoria nel torneo contro i verdi, davanti ad oltre 70mila persone, al termine di una partita fantastica, con mia moglie ed i miei figli allo stadio. Ho ancora i brividi al pensiero. Ovviamente, al di là dell’esperienza al Mondiale ’15, con tanto di meta marcata al Canada (l’unica della sua carriera in azzurro, ndr), perché la Rugby World Cup ha un sapore speciale per chiunque”, sintetizza Rizzo, seppur dispiaciuto nel non poter raccontare anche tante tante altre situazioni speciali, volendo, però, dedicare ad ogni costo un piccolo passaggio alle relazioni interpersonali che il rugby ha regalato alla sua vita.

“Ci sono tutti quei rapporti umani che costruisci girando il mondo che hanno un sapore speciale. Il rugby, dal punto di vista economico, ti dà meno di altri sport, ma ti regala tante altre cose assolutamente impagabili. Di fatto, in qualsiasi parte del pianeta vada, conosco qualcuno che sia pronto ad accogliermi o anche solo a farmi compagnia per qualche giorno”.

Presente/futuro

Chiusa la parentesi giocatore, Rizzo ha il merito di averne già aperta un’altra, altrettanto intrigante, negli scorsi anni, sempre legata, e ci mancherebbe, al mondo del Rugby. “Il mio futuro, in realtà, è anche già il mio presente. Dall’inizio dello scorso campionato sto allenando i ragazzi under 18 élite del Petrarca, assieme a Giovanni Maistri – capo allenatore (ex Benetton Rugby e giovanissimo video analista della prima squadra) -, Simone Ragusi e Stefano Parlatore. L’anno passato abbiamo vinto lo scudetto, a questo giro eravamo in prima posizione nel nostro girone. Peccato, ma condivido la decisione della federazione. Difficile proseguire il nostro campionato, sia dal punto di vista logistico, dato che mancavano ancora una decina di partite, tra stagione, seconda fase ed eventuale finale, sia per quanto concerne la sicurezza e la salute delle persone. Il rugby è sempre stata la cosa più importante della mia vita, ma oggi, in una situazione del genere, riesco a farla passare in modo sereno in secondo piano. Prima di tornare in campo sarà fondamentale assicurarsi che questa emergenza sia sotto controllo”, Chiarisce Rizzo, prima di andare alle origini della sua nuova passione, che spera possa anche essere, a lungo, anche la sua “nuova” professione.

Una passione nata in Inghilterra

“A Leicester, dopo i mondiali, mi infortunai al ginocchio. Mi sono avvicinato all’Università di Loughborough, un ambiente semplicemente pazzesco sotto ogni punto di vista, inizialmente con l’idea di fare un master universitario in management sportivo, ritrovandomi – poi – ad allenare la squadra universitaria. La cosa mi ha preso a tal punto che ho intrapreso l’iter formale per diventare coach, abbinando all’esperienza sul campo anche i corsi a scuola, e mi sono convinto che possa essere il mio futuro, per ora soprattutto con i giovani. Quando sono rientrato al Petrarca mi è stato proposto di allenare o la squadra di Serie A o la Under 18, e non ho avuto dubbi, ho puntato subito sulla giovanile. Una scelta che rifarei anche con il senno di poi. Lavorare con ragazzi dai 16 ai 19 anni, forse l’età più delicata in assoluto, non è facile, ma ti porta in dote esperienze impagabili.

Poterlo fare in un club come il mio che ha numeri, strutture e fiducia in noi, poi, è ancor più intrigante. In questi due anni abbiamo apportato grandi novità: l’inserimento nello staff di un preparatore atletico, l’aumento delle sedute di allenamento settimanale (da 3 a 4) ed in generale una strutturazione dei training molto simile a quella che vedevo quotidianamente in accademia a Leicester. I ragazzi sono cresciuti tantissimo. Abbiamo già una decina di giocatori pronti a giocare regolarmente in Serie A, ed altri hanno anche esordito in prima. Sono molto soddisfatto: questo è il percorso su cui mi piacerebbe proseguire, anche se, per il futuro a medio/lungo termine, non mi precludo nulla”, conclude un Michele Rizzo, pronto per nuove sfide.

Matteo Viscardi

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