Abbiamo parlato con la giovane trequarti, che, silenziosamente, si è presa un posto al sole della Premiership inglese
Negli scorsi giorni, RFU – la federazione ovale britannica – ha deciso la cancellazione immediata dei campionati domestici, ponendo così istantaneamente fine, tra gli altri, anche ai tornei femminili, tra i quali, ovviamente, la Tyrrell Premier 15s League, massima competizione femminile nazionale, la cui finale – che avrebbe dovuto svolgersi, il prossimo 31 maggio, al Kinsgholm Stadium di Gloucester – è stata ovviamente cancellata.
Una decisione che ha impattato direttamente anche sulla stagione delle diverse ragazze italiane impegnate oltremanica, dalle nazionali Giada Franco (elemento di spicco nella titolata terza linea delle Harlequins Women, team secondo in graduatoria) e Francesca Sberna (da quest’anno tra le fila del Gloucester-Hartpury, quarto al momento dello stop), passando per l’azzurra del beach Rugby Serena Settembri (a Bristol), sino alle tante giovanissime in Inghilterra per sfruttare la possibilità di abbinare lo studio ad un rugby di alto livello nei college britannici.
Tra queste, ce n’è una che, in punta di piedi, è salita esponenzialmente di colpi, settimana dopo settimana, nell’ultima annata agonistica, ritagliandosi uno spazio di tutto rilievo nelle Wasps (quinte, prima dello stop definitivo).
Mentre a Coventry, Matteo Minozzi, fuoriclasse azzurro ed estremo della sezione maschile del club, sta furoreggiando nella sua annata d’esordio in Gallagher Premiership, qualche miglia più a Sud, ad Ealing, sobborgo dell’east London, Sofia Rolfi – utility back nativa di Brescia, ma cresciuta a Leno -, a soli 18 anni (è nata il 24 agosto 2001, ndr), si è conquistata un posto stabile tra le 23 del “first XV” delle vespe tra novembre e dicembre, archiviando 6 presenze (il debutto contro le campionesse in carica delle Saracens, il 23 novembre), 3 titolarità (1 da estremo e 2 all’ala) ed 1 meta, la prima in massima serie, marcata nella vittoria contro Richmond dello scorso 14 dicembre.
Un’ascesa lineare e costante – arrestata, temporaneamente, da un mix di fattori (una concussion ad inizio anno, la pausa per il Sei Nazioni e l’epidemia di Coronavirus) -, iniziata oltre un lustro fa, tra Calvisano e Brescia con i primi lampi di talento, sui campi di una provincia, quella il cui capoluogo è la Leonessa d’Italia, da sempre uno dei serbatoi italiani di talento ovale
“Non avevo dubbi sul fatto che Sofia sarebbe arrivata a certi livelli – racconta Amedeo Ghidini, assistente allenatore di Sofia ai tempi dell’Under 16 al CUS Brescia -. Al talento fulgido, con qualità sopra la media sia in attacco che in difesa – a volte mi capitava, a fine allenamento o nel dopo partita, di ringraziarla per avermi sorpreso, ancora una volta, con almeno una giocata fuori categoria -, ha sempre abbinato una passione ed una dedizione incredibile. Capitavano settimane in cui si allenava sul campo anche 4 volte (più la partita domenicale), tra le sessioni con noi, quelle con le seniores a Calvisano e, per non farsi mancare nulla, pure quelle di touch con gli old della Bassa Bresciana Leno, assieme al padre”.
Poi, a sedici anni, spinta dalla voglia di migliorare le proprie competenze con la lingua inglese, ed attratta dalla possibilità di giocare a rugby in una delle lande ovale più prestigiose del pianeta, Sofia è partita in direzione Inghilterra, sbarcando al Worthing College, nell’omonima cittadina, quindici miglia ad ovest di Brighton, sulla costa sud del Regno Unito.
“Mentre stavo completando la terza superiore in Italia, ho saputo che Beatrice Mora e Martina Giampaglia, due ragazze che già conoscevo, avendole incontrate sui campi ovali italiani, erano venute al Worthing College. Interessata alla loro esperienza, scrissi a Martina per avere qualche informazione in merito, sia sull’aspetto didattico che su quello sportivo della loro scuola. Mi convinsi che potesse essere il momento giusto per fare un anno all’estero, e dopo averne parlato con i miei genitori, decisi di provarci: nonostante faticassi con l’inglese all’epoca (marzo 2018, ndr), riuscii a passare il test d’ingresso linguistico – tanta era la voglia di mettermi in gioco – ed entrai anche nell’accademy sportiva del college, vincendo una piccola, ma per me comunque significativa, borsa di studio, come giocatrice di rugby. Nell’estate 2018, così, iniziò la mia avventura inglese: pensavo sarebbe durata un solo anno, invece…”, esordisce, ricordando i tempi del suo trasferimento in UK, la giovane ragazza di Leno, che in pochi mesi ha cambiato idea sul proprio futuro a breve termine.
“Nonostante alla vita britannica preferisca ancora, e non di poco, quella italiana (per fortuna ci sono anche Sara Seye e Beatrice Mora con me, a loro volta giocatrici del team di sviluppo delle vespe, esclama sorridendo, ndr), qui il rugby, e lo sport in senso lato, sono realmente parte integrante della cultura locale, ed è possibile coniugare l’attività agonistica allo studio (Sofia sta completando l’ultimo anno di superiori in Inghilterra – un corso, il suo al Worthing College, propedeutico alla facoltà universitaria di scienze motorie -, ma ha ancora attiva anche una carriera scolastica in Italia, dove ha superato gli esami per validare la quarta superiore in ragioneria. Vivendo a Londra, da quest’anno, fa la pendolare con Worthing – più di due ore di viaggio a tratta -, ma “solo” tre giorni a settimana, avendo la possibilità di comprimere l’orario scolastico in qualità di atleta di rilievo, ndr).
A differenza di quanto accade in Italia, poi, dove siamo ancora viste in modo piuttosto strano quando diciamo di essere delle rugbiste, le ragazze che praticano la nostra disciplina sono apprezzate e rispettate come atlete. Inoltre, credo mi serva ancora qualche anno per limare il mio inglese, e soprattutto voglio salire di colpi sul campo da rugby ed il livello del campionato, qui, è quanto di meglio una possa chiedere, dentro e fuori dal rettangolo verde. Insomma, se la brexit ed il coronavirus non creeranno intoppi insuperabili, mi vedo in Inghilterra ancora a lungo”, chiarisce, prima di raccontarci più nel dettaglio il suo percorso ovale inglese.
“Il primo anno, oltre che con la squadra del college, ho giocato con Hove, nella seconda serie seniores. Il mio allenatore della scuola mi disse che, se fosse andata bene quella esperienza, avrei potuto provare ad allenarmi anche con squadre di Premiership, legate in qualche modo al Worthing college. La prima chance si presentò tra gennaio e febbraio 2019, con le Harlequins. Feci cinque allenamenti con loro, ed iniziai a capire cosa significasse giocare a certi standard. A livello logistico, però, era complesso raggiungere il centro d’allenamento, così rinunciai. Ma, poco dopo, si è aperta la porta delle Wasps, che la scorsa estate, peraltro, mi hanno portato con loro anche ad un torneo 7s ufficiale. E’ stata, di fatto, l’occasione che mi ha fatto entrare nella famiglia delle vespe, perché da lì in avanti sono rimasta in contatto con Giselle Mather, la DOR del team, e quando si è presentata la possibilità di entrare in squadra, prima del via del campionato, non ho esitato nemmeno per un secondo nel dire di sì alle Wasps”, spiega, prima di dettagliare come mai, quella delle vespe sia stata la scelta giusta.
“Questa prima parte della stagione, in quel di Ealing, è stata semplicemente fantastica, tra allenamenti, esordio con il Development team e poi il salto nel ‘primo XV’. Tutto in pochi mesi, con emozioni difficili da condensare in semplici parole. Nello spiegare il nostro lavoro, però, ci terrei a partire da un presupposto importante: ad eccezione delle ragazze della Nazionale, nessuna di noi è pro, anche se – prima di questa sosta forzata – si stava programmando una strategia in vista della prossima stagione affinché tutte le ragazze del team potessero avere un rimborso spese di un certo tipo. Quello che, tuttavia, è assolutamente super pro è lo staff a nostra disposizione: un team allargato di coach, ognuno super specializzato su un singolo settore del gioco (ad esempio un coach dedicato esclusivamente al gioco al piede, ndr), fisioterapisti, psicologo. Figure di grande qualità, garantite per tutto il gruppone che si allena assieme (una sessantina abbondante di atlete): non c’è differenza, in tal senso, tra le ragazze che giocano regolarmente nel primo XV o quelle più spesso convocate nel Development team. Tutte hanno a disposizione le stesse cure nel corso della settimana. Ci si divide solo nel weekend, per le rispettive partite.
Si lavora moltissimo (cinque giorni a settimana) sull’aspetto fisico: tanti work-out in palestra – anche se quello accade anche nella squadra del college (tutti tengono molto a costruirsi fisica con una certa efficienza, ed anche un certo aspetto estetico, sorride, ndr), abbinato a sessioni – di alto profilo – di atletica. Si dà grandissimo valore anche al lavoro individuale, con la singolo atleta che può sviluppare e concentrarsi sulle skills che trova più carenti, affiancata da un coach in grado di correggere ogni imperfezione che emerge”, prosegue, cambiando tono di voce improvvisamente addentrandosi nella spiegazione di una delle situazioni che più l’hanno conquistata del mondo inglese.
“La cosa pazzesca, però, riguarda la tattica. Prima di ogni turno di campionato, c’è uno studio maniacale dell’avversario: facciamo riunioni fiume, in vista della partita, in cui discutiamo del nostro game plan, sempre adattandolo a quanto propone il team rivale, scendendo nei minimi dettagli sia per quanto concerne la preparazione collettiva che individuale. Questa cosa è oltremodo coinvolgente e stimolante”.
Così come vivere la quotidianità al fianco di grandi campionesse. Un qualcosa ti permette di ‘rubarne il mestiere’, e di settare inconsciamente, dentro di te, nuovi standard, nuovi obiettivi. Se loro fanno una cosa – anche super difficile -, perché non posso provare a farla anche io? Osservo, metabolizzo e cerco di replicare al meglio, ogni giorno.
Ad ogni modo, più che l’aspetto tecnico/fisico – che per ovvie ragioni, ci mancherebbe, è al top – a far la differenza, tra le ragazze che sono con la Nazionale e le altre, è la capacità di fare la cosa giusta al momento giusto, sostanzialmente la capacità di lettura e comprensione del gioco. Potrei prendere come esempio Abigail Dow, fuoriclasse internazionale e mia compagna di reparto. Che sia un allenamento o una partita – più o meno importante – lei sa sempre cosa fare. Ma per sempre, intendo letteralmente sempre. Esce da ogni singola situazione nel modo migliore. Sono fortunata ad averla come compagna, perché – come tutte le altre ragazze più esperte – non lesina mai un consiglio, ed ogni occasione è buona per apprendere. Così come sono fortunata ad avere come DoR Giselle (Mather, ndr), una grandissima ex giocatrice (Campionessa del Mondo 1994), un’allenatrice superba ed una persona speciale. Ci tratta come se fossimo le sue figlie, anche al di là del discorso rugby. Spesso mi chiama durante la settimana per sapere se sto bene, se mi serve qualcosa. So di poter contare su di lei, quasi come se fosse una seconda mamma qui in Inghilterra, ed è un qualcosa di impagabile”.
“In questo ambiente sono consapevole di poter limare i miei difetti ed esaltare i miei pregi. Stavo cercando, in queste settimane di stop, di fare un lavoro di un certo tipo per quanto concerne l’uso del piede a 360 gradi, sia sotto il profilo dell’esecuzione tecnica che per quanto concerne quello tattico. E mi stavo anche focalizzando sul lavoro in termini di posizionamento difensivo per un utility-back. Tutti dettagli di cui necessita un estremo per giocare ad alto livello. Attualmente sto giocando all’ala, indistintamente a destra o a sinistra, ma il mio sogno è quello di poter essere in grado di garantire un ottimo rendimento anche a numero 15″.
Ecco perché a Sofia, inevitabilmente, è dispiaciuto, ancor più che ad altre, dover chiudere la stagione con tre mesi di anticipo e rientrare in Italia (al termine di un rocambolesco viaggio in macchina con Francesca Sberna, ndr) all’improvviso, perdendo così 90 giorni di “università ovale”. Per certi versi, però, questo intoppo è destinato a rinvigorirne il desiderio di crescita personale, già a partire dalla prossima stagione.
“Tornerò lassù, in estate con ancor più voglia di rugby, ancora più fame di miglioramento, con sullo sfondo anche il sogno internazionale. Inutile negare che per ogni atleta, la Nazionale è un obiettivo. Con le maglia azzurra ho già vissuto un’esperienza bellissima – in termini generali (per il rapporto instauratosi con staff e compagni, e per il brivido di indossare la maglia del mio Paese) -, con l’under 18 7s nell’europeo di Vichy 2018, in squadra anche con ragazze come Francesca Sgorbini e Vittoria Ostuni Minuzzi che hanno già fatto il loro esordio con l’Italia Seniores.
Rimpiango, però, come mi è andata a livello personale. Non ero pronta. Troppa ansia, ed anche le cose più semplici si rivelarono una sfida insormontabile. Mi piacerebbe molto di tornare ad indossare quella maglia, in futuro, una volta raggiunto il livello richiesto dallo standard del Sei Nazioni e dei Test Match”.
Matteo Viscardi
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