17 anni fa a Dublino si giocava la “finale” del 6 Nazioni. Una sfida storica tra due squadre ricche di campioni
Pochi tornei come il 6 Nazioni sono capaci di regalare in ogni edizione delle storie e delle situazioni uniche. 17 anni fa esatti, il 30 marzo 2003, era in programma la quinta e ultima giornata, un turno che nemmeno a farlo apposta aveva in calendario quella che fu la vera e propria “finale” del Championship: a Lansdowne Road, Irlanda e Inghilterra si giocavano tutto, partendo a punteggio pieno con quattro vittorie in altrettante gare e 8 punti in classifica. Un match attesissimo dunque, in un 6 Nazioni che, a pochi mesi dalla Coppa del Mondo australiana, metteva in palio tanti punti nel motore dell’autostima e dell’entusiasmo. In quel Torneo non mancarono, come sempre le sorprese: quanto è sorprendente pensare che il Galles chiuse all’ultimo posto con 5 sconfitte? Quello fu l’ultimo “cucchiaio di legno” dei Dragoni, che dopo solo due anni avrebbero fatto il Grande Slam, ennesima dimostrazione di come il loro sia un movimento che è quasi sempre capace di rigenerarsi e lanciare nuovi talenti. Gli azzurri, con John Kirwan alla guida, batterono proprio i gallesi nella prima giornata (30-22), prima di subire tre sconfitte nette contro Irlanda, Inghilterra e Francia e di mettere sotto la Scozia, che solo nel finale è riuscita ad imporsi per 33-25 all’ultima giornata. Nella parte centrale della classifica proprio scozzesi e francesi si divisero la posta, mentre come detto la vetta era solo affare di Irlanda e Inghilterra. Un cammino decisamente netto quello dei bianchi allenati da Woodward (unico “problema” quello avuto con la Francia, battuta 25-17 all’esordio), mentre i verdi di O’Sullivan hanno dovuto faticare le pene dell’inferno per superare i transalpini (15-12) e soprattutto espugnare Cardiff (24-25).
Tutto si è ridotto, se così possiamo dire alla sfida dell’ultima giornata. Nell’iconico scenario del vecchio Lansdowne Road quasi 48.000 tifosi erano pronti per assistere al match, ed ecco il colpo di scena ancor prima del via. Squadre pronte a schierarsi in campo per il saluto presidenziale, come sempre quando si gioca a Dublino. L’Inghilterra esce dal tunnel e si va a schierare sulla destra, dove di solito si mette la nazionale di casa. Viene chiesto al capitano inglese Martin Johnson di spostarsi, ma quest’ultimo rifiuta in maniera netta, e così la nazionale irlandese si schiera ancora più a destra di quella inglese in una lunghissima fila. Il tappeto rosso, che normalmente sta davanti alle squadre, non basta per arrivare davanti a tutti i giocatori, e l’allora presidente irlandese Mary McAleese fu “costretta” a camminare sull’erba per salutare i giocatori irlandesi. Nei giorni seguenti arrivarono lettere di scuse dalla federazione inglese, ma è comunque stata una gran mossa psicologica quella del capitano inglese, capace di far incendiare (se possibile) ancora di più il pubblico di fede irish.
Dopo i tre inni arrivò finalmente il tempo del rugby, tra due squadre che si odia(va)no e potevano contare su dei talenti di prim’ordine in campo. Basta scorrere alcuni dei nomi per capire la portata, anche tecnica della sfida: da una parte Murphy, O’Driscoll, Stringer, Foley, dall’altra Robinson, Wilkinson, Dallaglio, Leonard…insomma, c’era tutto il materiale per aspettarsi un match memorabile. E almeno nel primo tempo la sensazione rimase viva, con un drop e un piazzato di Humphreys a fare da diga contro la meta di Dallaglio e i due drop (di destro) di un Wilkinson in formato MVP. La spietata difesa inglese ha spento poi i bollenti spiriti di casa, mentre a fare il resto ci hanno pensato i centri Tindall e Greenwood, autori delle due mete tra 59esimo e il 65esimo che hanno portato il match sul 6-27. Nel finale poi gloria anche per la doppietta di Greenwood e la chiusura di Luger, fino al definitivo 42 a 6 che suggellava il successo di un’Inghilterra fantastica, che non a caso da li a pochi mesi si sarebbe laureata Campione del Mondo (come pronosticato dopo la partita da O’Sullivan che disse “Sono la miglior squadra del mondo”). Man of the match, nemmeno a dirlo, Wilkinson, e nuovo Grande Slam dopo il precedente del 1995 per i bianchi.
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