Ad esempio: l’episodio più divertente della sua carriera, la vittoria più importante con l’Inghilterra e uno sguardo al Sei Nazioni
Eddie Jones, head coach dell’Inghilterra, è intervenuto a Inside Line, il podcast ufficiale della federazione inglese di rugby, condotto dall’ex ala del XV della Rosa Ugo Monye, oggi opinionista televisivo. Jones ha raccontato alcuni aspetti della sua vita durante il difficile periodo attuale, e poi ha regalato un paio di intriganti dietro le quinte sulla sua carriera da allenatore.
In questo periodo in cui lo sport si è fermato, Jones è, come tutti, a casa, impegnato nel proprio lavoro: “Guardo un sacco di partite, rivisto il Sei Nazioni, rivisto il Super Rugby. Questo è un momento per noi allenatori per poter studiare e portare in avanti il nostro gioco, quindi sto anche leggendo molti libri sul coaching, sullo sviluppare un ambiente costruttivo in squadra.”
Parlando poi della propria carriera, ha parlato degli allenatori che lo hanno maggiormente influenzato: “Ho avuto la fortuna di essere allenato da un certo Bob Dwyer, che come coach ha poi vinto la Rugby World Cup del 1991 con l’Australia – ha raccontato Jones – Ha veramente precorso i tempi, già fra gli anni Ottanta e i primi Novanta organizzava allenamenti che lui chiamava sessioni metaboliche, dove dovevamo esercitare le nostre skills al massimo della velocità per 45″, in un tempo in cui gli allenamenti erano fatti di infinite ripetizioni di schemi. Era in grado di ricordare ogni minimo spezzone di gioco di una partita, tutto quello che avevi fatto sul campo.”
Dwyer e Jones provengono entrambi dal Randwick, club australiano forgia di Wallabies: entrambi hanno giocato lì, l’uno in terza e l’altro in prima linea. Poi Dwyer è diventato l’allenatore dell’Eddie Jones giocatore, prima che quest’ultimo avviasse la propria, di carriera da tecnico.
Un mestiere che, come tanti altri, è fatto di alti e bassi, gioie e dolori, soddisfazioni e difficoltà: “La parte più soddisfacente di questo mestiere sta come prima cosa nel vedere i frutti del proprioo lavoro. Dopo i primi 40 minuti contro l’Irlanda, nel Sei Nazioni, in cui li abbiamo messi davvero alle corde è stato bello vedere come tutto discendesse dalla preparazione della partita.”
“Secondo punto di forza dell’essere un allenatore è la soddisfazione che deriva dal veder fiorire giocatori con i quali hai lavorato. Magari atleti che hanno dubitato di sé stessi o sono stati in difficoltà, che arrivano sul grande palcoscenico e offrono ottime prestazioni in maniera consistente. Due giocatori che mi hanno dato queste emozioni di recente sono stati Kyle Sinckler ed Ellis Genge.”
“La più grossa sfida, la più grossa difficoltà per un allenatore è sempre risollevarsi dopo una sconfitta, o addirittura una serie di sconfitte. E’ quello che io chiamo il test della bustina di the. Non sai mai quanto sia buona quella bustina di the finché non la metti nell’acqua calda. E per un allenatore è alla stessa maniera: non conosci mai il suo reale valore fino a quando non lo metti nell’acqua bollente, sotto pressione.”
E’ proprio in una situazione del genere che, sostiene Jones, ha avuto il momento più bello e decisivo dei suoi quattro anni come allenatore della nazionale inglese: “Il mio match più memorabile con l’Inghilterra è stato il terzo test in Sudafrica nel 2018, dopo quattro-cinque sconfitte di fila, a Città del Capo contro una squadra già in vantaggio per 2-0 nella serie. Siamo riusciti a vincere quella partita piuttosto facilmente, e abbiamo iniziato lì a preparare il cammino verso la World Cup.”
“Probabilmente quel tour è stato il più utile nella costruzione della squadra in questi quattro anni. Eravamo sotto pressione, avevamo un nuovo capitano, Dylan [Hartley] si era infortunato. Abbiamo giocato buoni spezzoni di partita ma siamo stati battuti nei primi due test, ma poi nel terzo siamo riusciti a riorganizzarci e a giocare del buon rugby vecchia scuola e abbiamo portato a casa la partita. La cosa più bella di questa squadra inglese è che ancora non abbiamo visto il meglio. Adesso non vediamo l’ora di tornare in campo e dimostrarlo ai tifosi.”
L’ultima volta che l’Inghilterra è scesa in campo è stata per battere il Galles 33-30, mettendosi così in pole position per la vittoria finale del Torneo, se dovesse riprendere. Ecco come Eddie Jones legge le prestazioni della sua squadra: “Siamo stati bravi a recuperare dopo la sconfitta contro la Francia e, come ho già sottolineato altre volte la partita persa a Parigi è stata una mia responsabilità. Ho preparato la squadra male per la partita e i nostri avversari hanno giocato molto bene il primo tempo di quell’incontro.”
“Contro la Scozia è stata una partita difficilissima, dopo solo 5 giorni, con condizioni meteo proibitive, e penso che siamo riusciti a batterli in maniera piuttosto semplice. Contro l’Irlanda abbiamo giocato in maniera eccezionale nei primi 40 minuti. Il match contro il Galles sapevamo che sarebbe stato difficilissimo, contro una squadra dura, ma ci eravamo preparati e saremmo stati in una buona posizione per vincere la partita o arrivarci molto vicino.”
Mentre l’intervista volge al termine, arriva il momento di un paio di aneddoti intriganti. Ad esempio quello del momento più divertente della carriera: “Beh, non so se sia stato il più divertente, ma insomma: finale della Rugby World Cup 2003, tempi supplementari. Agli allenatori è consentito scendere a bordo campo. Allora io e Glen Ella, fratello di Mark, ex giocatore della nazionale e mio assistente, andiamo giù e ci mettiamo a sedere su due di quelle seggioline di plastica che ci sono.”
“Eravamo 17 pari – racconta Jones – eravamo in attacco e uno dei nostri riesce a bucare sulla destra, sembra che possa segnare ma viene spinto fuori in touche. Io e Glen eravamo saltati in piedi in quel momento, ma dopo il nulla di fatto ci ributtiamo a sedere, solo che lui aveva passato i 110 chili ed è andato giù dritto col culo in terra. Ed eccoci lì, in quel momento tanto concitato ad aiutarlo a rialzarsi.”
La ciliegina sulla torta arriva per ultima, quando Ugo Monye chiede a Jones quale sia stato il suo giocatore preferito al di fuori dell’Inghilterra. E il tecnico australiano non ha dubbi, tornando per un attimo al 2007, quando fece da consulente al Sudafrica che poi divenne campione del mondo per la seconda volta: “Fourie du Preez, un giocatore in grado di essere sempre due spanne sopra a tutti. Magari non aveva il look di un fenomeno, ma era di un’intelligenza rugbistica fuori dal comune.”
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