L’arrivo dell’ala neozelandese raccontato dai protagonisti dell’epoca: c’è anche un aneddoto legato al Calvisano
Questi giorni dove l’attività è ferma, sono i migliori per ricordare il rugby del passato. Ora immaginate di prendere una macchina del tempo che vi riporti indietro di circa quindici anni atterrando direttamente in Galles, nel 2005, quando i Cardiff Blues riuscirono a farsi un regalo clamoroso: mettere sotto contratto di Jonah Lomu. I protagonisti gallesi di quella vicenda, dopo tre lustri, hanno deciso di raccontare questa vicenda al WalesOnline.
Il mood
Gareth Edwards, leggenda del club (giocatore dei Blues dal 1966 al 1978) e della nazionale dei Dragoni affermò: “E’ come portare Maradona a giocare per noi”, una frase che resta scolpita nella memoria collettiva dei tifosi.
La trattativa
“Mi trovavo al St Andrews per il Dunhill Golf – afferma il presidente dell’epoca Peter Thomas – quando Bobby Norster, il nostro CEO all’epoca, mi telefonò dicendomi che Jonah Lomu era libero. Io gli dissi di chiudere la trattativa. Qualche giorno dopo, mentre una navetta ci portata al campo di Carnoustie, si sedette di fronte a me Sean Fitzpatrick che mi chiese informazioni su questo possibile rumors di mercato: gli confermai la cosa. Non mi prendo i meriti di questa cosa però, la persona davvero abile è stata Bobby Norster”.
L’esordio a Calvisano
L’ala neozelandese arrivò a Cardiff nel mese di novembre debuttando in Heineken Cup contro il Calvisano, in Italia a dicembre. A stupire però fu la gara di ritorno: l’Arms Park pieno addirittura un’ora prima dell’incontro, con 12.000 persone ad assieparlo, per la gara contro la compagine lombarda. Una cosa praticamente impensabile qualche mese prima.
Il punto di vista dell’allenatore
Trovarsi praticamente dall’oggi al domani in rosa un giocatore del carisma di Lomu, non dev’essere stato facile come spiega l’head coach dell’epoca Dai Young: “All’inizio vidi l’operazione con un po’ di scetticismo pensando più a un lato commerciale che ad altro, ma il management mi spiego tutto e mi rassicurò lasciandomi libertà tecnica nel scegliere se schierarlo o no.
Giocò 10 partite con noi andando in meta una volta, quando arrivò capimmo subito che non poteva più essere quello del passato, ma comunque un ottimo giocatore: era in pesoforma, iniziò a carburare, poi però arrivò l’infortunio alla caviglia che pose fine alla sua permanenza qui da noi. In quei mesi però fu una persona straordinaria: non faceva pesare agli altri la sua notorietà, si allenava con dedizione, consigliava e aiutava i giovani. Era un esempio. La sua etica e cultura del lavoro rimase fissata nelle nostre menti per tanto tempo e il nostro modo di allenarci ne trasse beneficio”.
L’incredulità di capitan Rhys Williams
A guidare i Cardiff Blues sul campo c’era come capitano l’estremo Rhys Williams, che a distanza di tempo racconta: “La prima volta che incontrai Jonah Lomu avevo 17 anni, ero in viaggio d’istruzione in Nuova Zelanda con la mia scuola: era enorme. Facemmo una foto, io avevo la mia divisa scolastica.
Poi un salto in avanti di otto anni, tutto d’un colpo, quando ci dissero che sarebbe arrivato per far parte della squadra. Fu come ritrovare un eroe della mia gioventù, paragonabile a Christian Cullen o Gareth Edwards.
Ero il suo capitano, ma per me era impossibile non pensare di essere un suo fan”.
L’eredità di Jonah
Tutti hanno accettato a distanza di anni di tornare a parlare di questa vicenda perchè Jonah Lomu, seppur per breve tempo, ha lasciato un’eredità importante a Cardiff. Le parole utilizzate da Dai Young sono probabilmente il simbolo più vivo del ricordo di una persona e di un campione che rimarrà per sempre nella memoria collettiva del rugby.
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