Tornare a quello che era l’Italia del 2013 è l’obiettivo a breve termine degli Azzurri di oggi
Italia-Irlanda 2013, un successo indimenticabile che ci ha fatto esultare anche a sette anni di distanza, rivedendolo grazie ai relive messi in piedi in queste settimane dalla FIR. Una vittoria storica che, rivista oggi, fa riflettere su tutto quello che poi è stato e la mette in prospettiva.
Il Sei Nazioni 2013 è stato il punto più alto raggiunto dall’Italia nel nuovo millennio, e forse anche il più alto in assoluto, con due successi pienamente legittimati da una continuità di prestazioni, più di quanto non fosse successo nel 2007. Si andava coagulando la sensazione che, alla fine, l’Italia fosse finalmente arrivata al punto di riuscire a competere con gli avversari europei.
Gli Azzurri ci erano riusciti grazie principalmente a tre fattori. Per prima cosa, nonostante siano passati appena 7 anni, quel rugby era un po’ diverso dal rugby di oggi, in alcuni piccoli ma significativi dettagli. Gli attacchi, specie nei paesi dell’Emisfero Nord, si sono evoluti attraverso strutture e interpretazioni più complesse di quelle che abbiamo potuto rivedere in un match come quello fra Italia e Irlanda che, fra l’altro, non erano in quel momento due squadre particolarmente brillanti in termini di spettacolarità. Si trattava di un momento del rugby dove, nella dialettica fra attacco e difesa tipica di ogni gioco di squadra, la seconda aveva raggiunto e si era adeguata agli sviluppi del primo. Quello di questi giorni, invece, vede uno sviluppo offensivo maggiore, con le squadre disposte a prendersi più rischi per maggiori benefici e le difese rimaste un passo indietro, anche se in via di evoluzione.
Quello dei primi anni Dieci del nuovo millennio era un rugby dove il pacchetto di mischia italiano poteva mettere sotto l’avversario grazie al suo strapotere fisico, e in particolare in quel 2013 si trovava in stato di grazia: Andrea Lo Cicero, come ha raccontato lui stesso nel pre-partita del relive, era un giocatore alle ultime gare, ma ancora in grado di farsi valere in mischia chiusa e in sostegno ai compagni in giro per il campo; Lorenzo Cittadini era probabilmente nel momento migliore della carriera; Joshua Furno e Quintin Geldenhuys ci mettevano tutta la loro impressionante fisicità, il primo più atletico, il secondo più ruvido e roccioso; ma la grande differenza stava nella forza di Leonardo Ghiraldini, Alessandro Zanni, Simone Favaro e Sergio Parisse, nel loro momento più scintillante.
In quella partita il più stupefacente fu Zanni: una terza linea pazzesca, presente dovunque ma soprattutto in grado di penetrazioni di straordinaria efficacia, con una potenza che gli permetteva di liberare spesso e volentieri le braccia per dare continuità al gioco.
Cosa è successo poi? Dopo essere arrivati a raggiungere l’apice, la nazionale italiana non è riuscita a dare grande seguito a quei risultati. Gli anni successivi sono stati un lento declino di quella generazione di giocatori, capaci ancora di sfoderare un paio di prestazioni notevoli come la vittoria a Murrayfield nel 2015 e la Rugby World Cup di quello stesso anno, dove rischiammo quasi di fare il colpaccio proprio contro l’Irlanda e passare ai quarti. Nel frattempo il ricambio di giocatori non è stato sufficiente a mantenere il livello tale, mentre le altre squadre del Sei Nazioni, repentinamente, hanno fatto passi da gigante nello sviluppare le proprie potenzialità.
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Esattamente 7 anni fa, ad aprile del 2013, Scozia e Irlanda occupavano il decimo e il nono posto del ranking mondiale. La Francia il sesto. L’Inghilterra e il Galles il quarto e il quinto. L’emisfero sud dominava: le prime quattro posizioni alla Rugby World Cup furono appannaggio di All Blacks, Sudafrica, Argentina e Australia nel 2015. Tra il 2010 e il 2015, solo l’Inghilterra fu regolarmente in grado di battere le squadre australi, un gap destinato pian piano a chiudersi negli ultimi anni. Insomma, sette anni fa competevamo con avversari maggiormente alla portata.
Oggi stiamo provando a recuperare. Il lavoro degli ultimi anni, a tutti i livelli, sta portando alcuni frutti e dà fiducia nel prossimo futuro, anche grazie a una squadra i cui protagonisti sono alla porta d’ingresso dei propri anni migliori. L’obiettivo, nel breve/medio termine, è tornare lì dov’eravamo, alla fine di quel Sei Nazioni 2013, pronti a scontrarci contro i migliori del mondo. Forse mai favoriti, ma in grado di mettere sempre i bastoni tra le ruote agli avversari e, di tanto in tanto, spuntarla.
Lorenzo Calamai
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