Perché certe volte è meglio andarci piano con i giovani promettenti

Chris Boyd, tecnico dei Northampton Saints, spiega la sua filosofia di inclusione dei giovani, che negli ultimi anni ha avuto successo

ph. Ettore Griffoni

Impazienza: certe volte stampa, tifosi e addetti ai lavori aggiungono la propria a quella dei giovani giocatori. Un numero sempre maggiore di giocatori si affaccia al rugby professionistico in giovane età, ma non tutti sono pronti a fare il salto. E’ questo il punto, secondo Chris Boyd, director of rugby ai Northampton Saints, club di Premiership che ha saputo come pochi altri crescere e inserire proficuamente in rosa alcuni dei giovani più interessanti del panorama inglese.

“Ci vuole una visione di lungo termine per i giovani giocatori – ha raccontato Boyd a Rugby World – Hanno bisogno di sapere che c’è fiducia in loro, sia dal punto di vista fisico che mentale. Tre o quattro volte abbiamo dato opportunità a dei ragazzi che non sono riusciti a giocare davvero bene, ma questo fa parte del processo di apprendimento.”

In una squadra che annovera giocatori internazionali come Dan Biggar, Cobus Reinach, Lewis Ludlam, Courtney Lawes e i fratelli Franks, entrambi ex All Blacks, c’è stato spazio anche per la crescita di alcuni validi profili: George Furbank ha 23 anni ed ha esordito per l’Inghilterra nello scorso Sei Nazioni; Fraser Dingwall, James Grayson, Alex Mitchell sono tre giocatori fra i 20 e i 22 fra i più quotati d’Inghilterra; Ehren Painter è un pilone classe 1998 di cui si parla un gran bene.

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Cosa accomuna tutti questi giocatori? A tutti loro sono state date chance di mettere in mostra il proprio talento, ma a nessuno di loro è stato dato un carico di responsabilità e di stress fisico continuativo nelle loro prime stagioni in prima squadra.

Olly Sleightholme, ala classe 2000 che ha ancora un contratto con la Academy dei Saints, sarà rimasto in mente a buona parte dei tifosi italiani: titolare in tutti e due gli incontri di Champions Cup contro il Benetton, ha segnato una delle mete che sono costate una delle più brucianti sconfitte della stagione dei veneti, nonostante una prestazione globale non perfetta.

Sleightholme ha esordito prestissimo, appena diciottenne con i professionisti. Nonostante le sue palesi doti, comunque, il suo sviluppo è strettamente monitorato, secondo il modello imposto da Boyd: quattro presenze da titolare nella stagione 2018/2019, un totale di poco superiore ai 370 minuti disputati; sette quest’anno, 510 minuti disputati circa.

“Quando sono arrivato ai Northamtpon Saints ho preso la decisione di assumere un gruppo di tecnici giovani, inglesi e di grande potenziale, e questo si è poi traslato anche nella rosa dei giocatori. Non sono così ingenuo da mettere da parte la competenza, però. Owen Franks, ad esempio, può dare tanto a giovani piloni come Ehren Painter e Paul Hill, ma loro non devono essere impazienti.”

“Il problema più grosso è la paura di fallire. Mi ricordo quando Painter ha giocato contro Clermont in Challenge Cup ed è stato sbriciolato dal loro pilone. Era piuttosto rabbuiato nei giorni successivi, ma con il passare degli anni impartirà lo stesso trattamento a qualcun altro: per lui è stato un gran momento di apprendimento.”

La filosofia di Boyd e dei Saints rompe l’equazione per cui prima un giocatore accumula esperienza di gioco, prima riuscirà ad accrescere il proprio livello, ma riesce ad equilibrare le necessità di breve periodo del club con quelle di più larga scala: uno sviluppo efficace dei giovani darà maggiori frutti nel prossimo futuro, alla squadra e alla nazionale.

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