Antonio Rizzi: “A Treviso sono diventato un uomo. A Parma voglio dimostrare il mio valore e più minuti in campo”

Abbiamo parlato con la giovane apertura a poche ore dall’ufficialità del suo passaggio alle Zebre Rugby

Ph. Ettore Griffoni

Reduce da un’annata con poco spazio al Benetton Rugby (8 presenze, 1 da titolare, per poco più di 200′ complessivi), Antonio Rizzi, talentuosa apertura friulana classe ’98, di recente entrato anche nel giro della nazionale maggiore – convocato da Franco Smith nel corso del Sei Nazioni 2020 – dalla prossima stagione giocherà con le Zebre Rugby.

Nel giorno dell’annuncio ufficiale, l’abbiamo raggiunto per parlare con lui del trasferimento e delle sue aspettative in vista di un campionato ’20/’21 che si preannuncia di fondamentale importanza per la sua carriera.

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Antonio, come stai? Come sta procedendo questo periodo particolare?

Mi sento molto bene. In queste settimane ho lavorato al meglio sul piano fisico, in casa, ad Udine. Anche se, va detto, mi manca molto il gioco con il pallone. Per carità, si può tenere oliata la manualità, ma ovviamente, per quanto uno possa fare, non sarà mai la stessa cosa, paragonando quello che puoi fare attualmente ad un allenamento normale.

Qual è la genesi di questo cambiamento professionale così importante? Ha inciso lo scarso impiego della stagione in corso?

La mia scelta di andare a Parma è dipesa anche dal fatto che avevo aspettative più alte riguardo al mio minutaggio. Sia chiaro, Ian (Keatley, ndr) ha dimostrato sul campo che tipo di giocatore è, guadagnandosi spazio meritato. Tuttavia, non posso negare di essermi son sentito un attimo trascurato, anche perché, nelle partite in cui ho giocato con minutaggio corposo, sono sempre riuscito a fare il mio.

Faccio anche mea culpa, poiché ammetto di aver fatto una pre stagione non al livello delle attese. Quindi, se le cose magari non sono andate come mi aspettavo, in termini di minuti in campo, una parte della colpa è anche mia. Ne sono conscio, ma al tempo stesso resta un pizzico di rammarico. Se l’anno scorso, fino a gennaio ho visto poco campo, anche perché ero appena arrivato ed in fase di adattamento, ma dopo la partita contro i Dragons a febbraio ero riuscito a ritagliarmi uno spazio di un certo tipo, con continuità, quest’anno, invece, anche dopo una prestazione positiva sembrava dovessi ripartire quasi da zero. Sicuramente non ha aiutato la pressione per i risultati meno positivi rispetto alle aspettative. Si è preferito affidarsi ad un quindici stabile e solido.

Se lo scarso impiego rappresenta il lato negativo dell’ultimo anno, quali sono gli aspetti positivi che porterai con te dalla Marca?

Infiniti aspetti positivi. Non rimpiango la scelta: sono arrivato da ragazzino, umanamente e tecnicamente, e me ne vado da uomo. Mi sono trovato benissimo su ogni fronte. Al di là dell’aspetto legato al minutaggio. Questo biennio è stato formativo in maniera incredibile. Se penso a come sono arrivato in Ghirada ed invece a come me ne vado, mi sento di dire che mi hanno cambiato la vita in meglio. Ringrazierò per sempre il direttore sportivo Antonio Pavanello per aver puntato su di me, la società per come mi ha trattato ed anche tutto lo staff, per quanto, comunque, mi abbia fatto crescere tecnicamente.

Su quali aspetti tecnico-tattici esci rafforzato da questo biennio? Dove invece senti di dover crescere ancora?

Soprattutto con Kieran (Crowley, ndr) ed Ezio (Galon, ndr), ho lavorato molto sull’anticipare il gioco in termini di letture. La velocità con la quale capisco la difesa e come rapportarmi di conseguenza con i movimenti della squadra sono migliorate moltissimo, grazie ai loro consigli. Devo ancora crescere molto, invece, sulla velocità del passaggio. Negli ultimi due anni l’ho percepito come il mio punto debole. Ci ho dedicato diverse ore, in compagnia del coach, ma voglio salire ancora di colpi. Ecco, collegandomi all’attualità, sicuramente la quarantena non aiuta da questo punto di vista.

Con quali aspettative sbarchi a Parma?

A Parma, ovviamente cercando di performare al meglio, cercherò di conquistarmi più minuti e mettere in luce il mio reale valore. In questi due anni so di non averlo dimostrato del tutto.

Se parliamo di ruolo, sono un mediano d’apertura, ma, di fatto, sono un utility-back, a disposizione di Mike in qualsiasi ruolo riterrà opportuno mettermi, o meno (sorride, ndr), in campo. Anche perché in realtà ogni coach può avere idee particolari sulla posizione migliore per un giocatore, totalmente diverse, magari, da quelle di un altro allenatore.

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Avete parlato anche della possibilità di riproporre il doppio playmaker in stile nazionale?

Magari proveremo anche quella soluzione. Carlo (Canna, ndr) ha stupito tutti, me compreso, da primo centro in nazionale, sfoggiando prestazioni ottime. Tuttavia, alle Zebre ci sono anche altri 12 di grande valore, come il capitano della squadra Castello – che tornerà a disposizione – su tutti, ma non solo.

A proposito di azzurro, che esperienza è stata, pur non avendo debuttato, quella in ritiro con il gruppo della nazionale? 

Non mi aspettavo la chiamata nel gruppo del 6N, anche perché non ero stato inserito nella lista da 30 iniziale. Franco Smith, però, dopo avermi visto contro Leinster in Champions Cup, ha voluto portarmi in ritiro ed inserirmi gradualmente nell’ambiente. Non ho giocato, ma ho recepito i concetti alla base del suo rugby e respirato l’aria dell’ambiente internazionale. Farò di tutto perché sia solo l’inizio della mia avventura azzurra.

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