Abbiamo parlato con l’estremo azzurro del suo recupero, dei ricordi zebrati e della nuova vita leonina
L’ultima volta in campo per Edoardo Padovani – estremo delle nazionale e, dal ’20/’21, dei leoni – risale allo scorso 11 gennaio, in Challenge Cup -, quando giocò da titolare (e per 80′) con le Zebre Rugby nella storica vittoria multicolor sul campo dello Stade Francais.
All’epoca del colpaccio parigino, probabilmente, l’ex trequarti di Mogliano non avrebbe mai immaginato che quella sarebbe stata anche la partita (e che partita!) che avrebbe segnato la fine della sua esperienza con la franchigia di Parma, di cui è stato, nel corso delle ultime sei stagioni (con un intermezzo a Tolone), uno degli elementi più rappresentativi. Quando tornerà in campo la prossima stagione, una volta archiviato il periodo di recupero, infatti, Padovani indosserà la maglia del suo nuovo club, il Benetton Rugby, con cui ha firmato un contratto biennale.
Lo abbiamo raggiunto, a poche ore dall’annuncio ufficiale, per carpirne le prime impressioni da giocatore dei leoni.
Edoardo, come procede il recupero?
Sto piuttosto bene. Devo dire che l’anca sta dando buone risposte. Ovviamente, subito dopo l’operazione, ad inizio marzo, ho fatto un mese di stampelle senza appoggiare l’arto, poi ho iniziato con la deambulazione ed ora, da poco, siamo passati al fase del rinforzo muscolare. Se nella prima fase, rispetto alla tabella di marcia, ero addirittura “in anticipo”, ora dovrò verosimilmente rallentare un attimo, non potendo fare palestra e lavoro in acqua. Spero di essere abile e arruolabile con 5 mesi di lavoro, ma il vero grande obiettivo è quello di rientrare nel modo migliore, senza forzature di tempo dettate dalla fretta. Meno che mai in un periodo del genere. Nella sfortuna dell’operazione, peraltro, ho la fortuna – tra mille virgolette – di aver già affrontato il medesimo intervento all’altra anca e di conoscere bene le fasi del decorso.
Come valuti la seconda esperienza alle Zebre?
Positivamente. Innanzitutto devo dire che Mike (Bradley, ndr), lo staff e il presidente Dalledonne si sono dati veramente da fare in questi anni, riuscendo a sistemare delle cose essenziali per la squadra, dentro e fuori dal rettangolo verde, a 360 gradi. In campo, ovviamente, ci sono state pure tante delusioni, anche perché abbiamo perso svariati incontri per il rotto della cuffia. Partite perse che ti restano dentro e sicuramente fanno male. Personalmente, ad esempio, non ho ancora digerito la sconfitta contro Connacht dello scorso anno, in cui sbagliai due calci decisivi. Ad ogni modo, le Zebre stanno crescendo di partita in partita. A differenza di qualche tempo fa, anche se capitano ancora passaggi a vuoto in tal senso, riusciamo ad essere più competitivi, mediamente, anche nei periodi in cui mancano gli internazionali.
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Mi porto dietro tanti momenti belli assieme, dentro e fuori dal campo, ed ogni singola vittoria ottenuta in questi anni. E soprattutto, forse, quei periodi in cui siamo riusciti ad esprimere un gioco tanto divertente quanto efficace con una certa continuità. Momenti, quelli, che ti danno il piacere di giocare e guardare il rugby. Sarò per sempre grato alla famiglia delle Zebre.
Come è nato questo trasferimento? Hai già approfondito discorsi tecnico-tattici con Crowley e lo staff?
Già in passato c’era stato un avvicinamento, ma preferii continuare la mia esperienza alle Zebre. Quest’anno, invece, anche se ci sono state offerte pure dall’estero, ho capito sin da subito, appena presentatasi l’opportunità, come fosse il momento giusto per tornare a casa. Quando ho parlato con il direttore sportivo Antonio Pavanello, ed anche al momento della firma del contratto, ho percepito grande carica positiva. Mi hanno subito messo a mio agio e fatto comprendere come si voglia puntare in alto. Gli ultimi due anni hanno dimostrato come i leoni possano vincere contro tutti, ergo l’obiettivo deve essere quello massimo. Possiamo puntare al titolo.
Ovviamente arrivo per fare principalmente l’estremo. Ma, come sempre in carriera, sono a disposizione di Kieran (Crowley, ndr) anche negli altri ruoli che sono nelle mie corde.
Da qualche anno sembra sempre mancarti qualcosina rispetto alla miglior versione, verosimilmente quella del ’16/’17. Rivedremo mai quell’Edoardo Padovani?
Quello è stato un anno ottimo, non posso negarlo. Forse il migliore. Giocai sostanzialmente ogni weekend della stagione, ed ero in perfetta forma, sia fisicamente che mentalmente. Poi, purtroppo, sono arrivati dei problemi fisici che non mi hanno più consentito di ritrovare veramente quello smalto, se non nel periodo del Mondiale giapponese.
Prima una rottura alla caviglia, che non abbiamo gestito al meglio, e mi sono trascinato l’acciacco per troppo tempo. Poi le anche. E chiaramente perdi un pizzico di elettricità anche a livello psicologico. Ma sta a me provare a tornare ad essere regolarmente su quegli standard. Risolto questo problema all’anca, farò di tutto per provare a rendere speciale la prossima stagione, che per certi versi posso definire del mio ritorno a casa (Padovani è di Mogliano, ndr), sia a livello individuale che collettivo.
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Con un occhio sull’azzurro…
Quest’anno l’ho vissuto solo per poco tempo. Ma ho recepito le linee guida. Abbiamo messo in campo un gioco diverso, improntato molto sulla palla veloce: ovale sempre in volo e grande divertimento, per come la vivo io. Purtroppo i risultati sono stati negativi, ma c’è grande positività nel gruppo in relazione a questo nuovo ciclo.
Matteo Viscardi
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