Ne abbiamo parlato con Marius Mitrea
Quando risponde al telefono Marius Mitrea dà subito la sensazione di essere uno pronto. Pronto alla vita, pronto sul campo, come quando segnalò quel millimetrico offside di Sam Underhill nel Test Match fra Inghilterra e All Blacks, pronto a fornirti risposte e spiegazioni, pronto – dal profondo del suo cuore – a tornare in campo per dirigere una nuova partita di rugby.
Vive nel Veneto, una delle regioni maggiormente colpite da questo terribile momento, e quando non veste i panni del direttore di gara si occupa di spedizioni internazionali, non ultima quella di ventilatori e mascherine per l’ospedale di Bergamo.
Di seguito l’intervista che ci ha rilasciato, con la quale ci ha aiutato a entrare nel mondo dei fischietti, a volte dimenticato in questo periodo difficile.
Marius, buongiorno. Innanzitutto una domanda di rito: cosa stai facendo in questo periodo?
“Rispetto all’inizio del lockdown, ora siamo molto attivi. Per conto mio mi sono ricavato una piccola palestra nell’ambiente domestico e nell’ufficio dove svolgo la mia professione. Così ho la possibilità di allenarmi svolgendo qualche esercizio di corsa: mi arrangio cercando di stilare per me stesso dei programmi atletici. Potrei quasi dire che sono più allenato in questo momento, rispetto a quanto lo ero prima.
Adesso mi alleno ogni giorno mentre in precedenza, fra viaggi e partite, non riuscivo a farlo con costanza. Questo mi serve molto in un periodo di totale incertezza: se il Pro14 o le Coppe Europee infatti dovessero ripartire, io dovrei cercare di arrivare nella maniera più pronta possibile all’eventuale direzione di una gara”.
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State interagendo fra colleghi?
“Come gruppo arbitri ci stiano tenendo in contatto grazie a delle conference organizzate su Zoom nelle quali organizziamo sia delle sessioni di allenamento sia degli aggiornamenti professionali su regole e direttive di gioco, con l’aiuto dei i componenti del GTA e del CNAr”.
In che modo la FIR vi sta supportando?
“La FIR ci ha inviato delle schede di preparazione fisica settimanali e ci ha messo a disposizione uno psicologo per questo periodo: penso sia utile, anche perché può aiutarci anche a livello individuale e chi ne ha bisogno può consultarlo. Con l’ufficio comunicazione e media della Federazione, poi, stiamo lavorando a un progetto che si chiamerà Rugby in Poltrona nel quale, fra maggio e giugno, aiuteremo gli utenti a vivere il percorso di avvicinamento di un arbitro a ogni partita: le ore prima della gara, i minuti che precedono il kick-off e gli ottanta minuti veri e propri, senza dimenticare il post gara. Parleremo di regole e situazioni di gioco: sia per i neofiti sia per chi ha già confidenza con il rugby, ma magari non ha ben chiari tutti gli aspetti di campo. Vogliamo portare tutti a capire cosa ci sia dietro l’ora e venti di gioco effettivo: quello che la televisione non fa vedere, ma che possiamo spiegare con delle video interviste”.
Non hai paura di perdere il cosiddetto “occhio da arbitro”?
“No, a dire la verità non ci ho mai pensato. Ovviamente più tempo passi lontano dai campi più tempo ci vorrà poi per riadattarsi. Questa volta però ci troviamo davanti a una situazione mai verificatasi in precedenza: tutte le componenti sono ferme. Leghe, giocatori e arbitri. Quando ripartiremo saremo tutti allo stesso livello: anche i giocatori avranno lo stesso problema. Questo è una cosa che non mi impensierisce, l’aspetto che invece mi preoccupa è legata all’aspetto mentale: avrò la stessa forza psicologica di alzare subito l’asticella della pressione, in vista delle partite importanti che verranno? Sarà interessante misurarsi su questo standard”.
Ti sei fatto un’idea sulla possibile ripartenza del mondo ovale?
“Penso che nella seconda parte del 2020, al netto delle varie disposizioni governative e delle misure di priorità imposte dall’aspetto principale legato alla salute, si possa provare. Se si dovesse arrivare alla famosa soglia del “contagio zero” è chiaro che delle valutazioni verranno fatte. Il Pro14 sarà un po’ il tester di questo. Detto ciò, è chiaro che tutti sappiamo che il rugby sia lo sport di contatto per eccellenza. O si gioca per come è concepito o altrimenti non vedo possibili modifiche o aggiustamenti.
Qualcuno, parlando di calcio, ha ipotizzato situazioni senza assembramenti di gioco (calci d’angolo, ndr), ma nel rugby non vedo tutto questo margine di manovra: anche una mischia no-contest, per esempio, vede i giocatori legati seppur per poco o in minima parte. Se si vorrà ripartire ci saranno dei rischi con i quali convivere ed è chiaro che poi applicati dei protocolli”.
Hai parlato di un Pro14 pronto a vestire i panni del “tester”: cosa vedi nel futuro del torneo celtico?
“Io sono ottimista sul fatto che il torneo possa ripartire anche se il problema della logistica, considerando i voli intercontinentali a cui bisogna far fronte da e per il Sudafrica, andrà inevitabilmente affrontato. E’ probabile che l’idea di ricominciare coi derby nazionali, arbitrati da direttori di gara locali, sia quella più accreditata e sensata almeno all’inizio, quando le disposizioni di viaggio saranno comunque ridotte al minimo”.
Qual è la cosa che ti manca di più in assoluto da direttore di gara?
“Mi manca lo stress della partita: a volte non ce ne si rende conto, ma è quasi come una droga (ride, ndr). Dopo dieci anni che faccio l’arbitro o l’assistente fra Test Match internazionali, Pro14 e Top12, non sono più abituato a vivere un fine settimana senza una gara a cui pensare. Quando si è in campo poi, gli ottanta minuti passano talmente in fretta che quasi non ce ne si accorge: quella è una valvola di sfogo.
In questo momento mi manca l’arrivo allo stadio, l’ingresso nello spogliatoio delle squadre e poi in quello del gruppo arbitrale, quest’ultimo in particolare: siamo una famiglia, abituati a stare spesso in contatto. Poi il rugby è famoso per il terzo tempo, un momento di convivialità e unione nel post partita. Con gli altri direttori di gara italiani abbiamo creato un team molto unito e ora ci siamo dovuti abituare a una nuova dimensione”.
Di Michele Cassano
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