Compie oggi 41 anni la leggendaria terza linea degli azzurri che ha segnato un’epoca
Se devi andare a “fare la guerra”, sportivamente parlando, uno come Mauro Bergamasco lo vuoi sempre al tuo fianco. Prima di cominciare una partita che tu sia stato il suo allenatore, un suo compagno o sia fra gli spalti a tifare puoi star sicuro che lui darà tutto senza riserve, in maniera leale.
Una terza linea con “la vita da mediano”, per dirla alla Ligabue: “Sempre lì, lì nel mezzo, che finché ce ne hai stai lì, stai lì”. E Mauro ne aveva di forza, di grinta, di impegno.
Quei 106 caps con la maglia della nazionale – dal 1998 al 2015 – andrebbero raccontati uno a uno, intrisi di sudore e di voglia di andare sempre oltre il limite per provare a portare l’Italia nel salotto buono del rugby internazionale. Una continua battaglia per la causa fatta di Sei Nazioni, Test Match e Mondiali.
Già, proprio quelle avventure iridate che l’hanno fatto diventare insieme al samoano Brian Lima, venendo poi raggiunto nel 2019 da Sergio Parisse, uno dei pochi rugbysti a disputare cinque Rugby World Cup nell’arco di una carriera.
Un percorso straordinario a livello internazionale, sviluppatosi parallelamente all’attività di club: dal Petrarca Padova alle Zebre, passando per Benetton Rugby, Aironi e soprattutto Stade Francais. Con il club transalpino, dal 2003 al 2011, Mauro cresce sotto tutti i punti di vista incastonando nella sua bacheca dei trofei anche gli scudetti vinti nel 2004 e nel 2007, che fanno eco a quelli ottenuti a Treviso nel 2001 e nel 2003.
Rivedere quello che è stato capace di fare non può che regalare emozioni, come quella volta che a Murrayfield – nel corso del Sei Nazioni 2007 – diede il via con una meta d’intercetto, dopo pochi secondi dall’inizio della gara contro la Scozia, alla vittoria più bella e larga dell’Italia nella storia del torneo: un 17-37 in trasferta che ancora resta nella memoria degli appassionati.
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