Il rugby femminile cresce a una velocità mai vista prima, ma nel Comitato Esecutivo della federazione internazionale c’è una sola donna
Oltre alla importantissima elezione del Presidente di World Rugby, quella che si è chiusa lo scorso 30 aprile e i cui risultati sono stati annunciati il 2 maggio era anche la tornata elettorale che prevedeva la scelta dei membri del Comitato Esecutivo della federazione internazionale.
Una scelta che non era una scelta: con il ritiro del figiano Francis Kean per le scabrose ragioni emerse nelle scorse settimane, i sette candidati hanno potuto farsi eleggere senza battaglia ai sette posti in palio. Peccato che fra loro non ci sia neanche una donna, e che nell’intero Comitato Esecutivo, completato da presidente, vice-presidente, CEO e da due membri indipendenti, siede solo una rappresentante femminile, Angela Ruggiero, ex giocatrice di hockey statunitense e poi membro del CIO.
Come in tutte le organizzazioni internazionali che si rispettino, anche a World Rugby l’Assemblea Generale, dove siedono tutti i membri della federazione che gestisce il gioco globale, ha un peso relativo. Si riunisce addirittura una volta ogni due anni e la sua funzione è quella di promuovere raccomandazioni al Consiglio, senza dei veri e propri poteri legislativi.
Questi ultimi sono appunto nelle mani del Consiglio, l’organo dove una rappresentanza più ristretta delle federazioni più importanti prende buona parte delle decisioni.
Il potere esecutivo, però, risiede per l’appunto nell’executive committee, deputato ad assicurare l’implementazione effettiva dei piani strategici, economici ed operativi di World Rugby.
Seppure i candidati al Comitato Esecutivo vengano proposti dalle singole federazioni, è singolare che in un quadro trasversale di figure provenienti da diverse federazioni (Sudafrica, Nuova Zelanda, Australia, Galles, Scozia, Stati Uniti e Rugby Africa) non sia presente nemmeno una candidata donna, magari con un background da giocatrice. Sintomo che né Bill Beaumont né Agustin Pichot abbiano fatto particolarmente caso a questo aspetto, cercando di influenzare i rispettivi campi. Il che è doppiamente sorprendente nel caso del rieletto presidente inglese, che dello sviluppo del rugby al femminile ha fatto uno dei vanti del proprio primo mandato.
Certo, le responsabilità non possono essere esclusivamente addossate ai candidati alla presidenza. Anche nel Consiglio la rappresentanza femminile scarseggia (e qui bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare, riconoscendo che l’Italia in questo non teme critiche), e il rugby di categoria è ancora molto giovane per pensare di poter produrre dirigenti con un background da giocatori di alto livello come accade in maniera sostanziale e continuativa per la palla ovale maschile. Tuttavia è un dato di fatto che in questo momento in cui il rugby femminile sta crescendo a una velocità mai conosciuta in passato, tendenza che lo accomuna a tanti altri sport di squadra, nelle stanze dei decisori del gioco manca pressoché totalmente la rappresentanza di questa fetta di gioco.
Lorenzo Calamai
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