Ci vogliono 167 persone per giocare un test match a porte chiuse

World Rugby ha pubblicato le proprie linee guida per il ritorno in campo, con dovizia di particolari e non pochi ostacoli

Rugby World Cup 2019 (ph. Sebastiano Pessina)

E’ ora di pensare ad un ritorno in campo: World Rugby ha pubblicato nella mattinata di mercoledì un documento contenente le linee guida per una ripresa dell’attività agonistica. Com’è facile prevedere, gli ostacoli sono molteplici, il primo dei quali è il numero di persone da tutelare nel momento in cui si scende in campo: per una test match a porte chiuse, prevede la federazione internazionale, servono 167 persone. Lavoratori da tutelare con ogni sorta di precauzioni.

Le linee guida di World Rugby sono uno strumento per le federazioni nazionali creato con il supporto degli staff medici e sanitari delle stesse, mirate a predisporre un metodo per poter riprendere l’attività. Ogni union dovrà poi singolarmente seguire le disposizioni e le normative del proprio paese, compresa la possibilità di disputare gli incontri a porte aperte o meno.

Le indicazioni seguono fedelmente quanto previsto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e suddividono in tre diverse fasi la possibilità per le squadre di ritornare ad allenarsi: ci sarà un primo momento di sessioni in piccoli gruppi, poi la possibilità di passare a sessioni collettive senza contatto, per poi finire con una fase di allenamento completo con contatto. World Rugby si ripromette di aggiornare con continuità il proprio documento facendo seguito all’evoluzione del contesto, rendendo sempre più completo l’elenco di condizioni necessarie per la preparazione delle sedi e per lo svolgimento di allenamenti e competizioni.

“World Rugby, in piena collaborazione con Federazioni e giocatori, ha lavorato dietro le quinte per assicurare che tutto sia pronto per un sicuro e veloce ritorno al gioco non appena appropriato – ha detto il presidente Bill Beaumont – Ciò include la rimodulazione del calendario, l’indirizzamento verso le migliori pratiche di allenamento, arbitraggio, risorse online come webinars ed app e, ovviamente, una road-map per il ritorno all’allenamento e alla competizione”.

Nel documento, alla voce ritorno alla competizione, si legge: “Quando le norme sul distanziamento sociale saranno ridotte per permettere un contatto ravvicinato e permetteranno assembramenti fino a 250 persone, sarà possibile tornare in campo, ma non sarà permesso agli spettatori di assistere.”

Seguono una serie di raccomandazioni da osservare per le squadre in trasferta, per entrambe le contendenti ad un incontro nel loro comportamento dentro lo stadio, la preparazione dello stesso per ospitare una gara. Una serie di ostacoli, insomma, che fanno intuire quanto la strada sia ancora lunga e quanto una eventuale ripresa delle attività sarà comunque condizionata dagli eventi degli ultimi mesi.

A tutto ciò si unisce la difficoltà della quantità minima di persone necessarie per disputare un incontro professionistico secondo la federazione internazionale. Ovviamente, più alto è il numero del personale coinvolto, più complesse sono le misure di sicurezza da prendere. Una delle appendici al documento stabilisce in 167 individui il numero minimo necessario, comprensivo di: squadre (58 atleti), ufficiali di gara (12 fra arbitri, citing commissioner, addetti alle statistiche, cronometristi), staff tecnici e sanitari (almeno un medico e un fisioterapista per squadra, 7 fra allenatori e assistenti), crew televisiva (più di 40 persone fra stampa e tecnici), addetti alla sicurezza e raccattapalle (11 in tutto), staff medico indipendente (12 fra paramedici e addetti all’HIA), personale amministrativo e addetti alla logistica degli stadi (20 persone circa).

E’ una strada lunga: c’è una luce in fondo al tunnel, ma è ancora appena un puntino.

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