In un’intervista a cuore aperto su Planet Rugby l’ex capitano azzurro si racconta e fa il punto della situazione sul nostro movimento
E’ un Sergio Parisse tutto campo e con le idee abbastanza chiare sul proprio proprio futuro quello che si racconta in una lunga e dettagliata intervista pubblicata oggi da Planet Rugby.
“Non posso predire il futuro – afferma l’ex capitano azzurro – ma voglio rimanere nell’ambiente in una qualche forma tecnica. Sento fortemente che posso continuare a dare il mio apporto e, oso dire, passare la mia eredità allenando e sviluppando giocatori. E’ la mia passione ed è qualcosa che amo.”
Circa il futuro più prossimo Parisse conferma quanto avevamo già anticipato anche noi di OnRugby la scorsa settimana ovvero la possibilità che anche la prossima stagione lo possa vedere come protagonista sul campo.
“Il contratto con il Tolone finisce a giugno ma ho un’opzione per un altro anno. Il mio corpo si è rigenerato un po’ con questo riposo forzato, ma sono deluso dal non aver avuto la possibilità di chiudere a Roma contro l’Inghilterra nel Sei Nazioni.”
“Una cosa però la posso confermare: sì, mi piacerebbe un’ultima opportunità per ringraziare il mondo del rugby che ha reso la mia avventura possibile e salutare con passione e rispetto. Per farla breve: vorrei un ultimo giro di valzer in maglia azzurra.”
Nell’intervista, il terza linea si è anche soffermato sullo sviluppo del rugby italiano, e sulle differenze di ruolo fra l’ex head coach degli Azzurri O’Shea e Franco Smith, suo successore: “Il progresso nel mondo del rugby può essere misurato in tanti modi diversi. L’Italia si trova in una posizione assai migliore adesso che quando ho incominciato. Strutture, club competitivi, crescita di partecipazione e interesse. Negli ultimi cinque anni abbiamo fatto grandi progressi con Conor O’Shea. E’ stato un vero e proprio director of rugby, che ha lavorato per cambiare il quadro della situazione, a creare un vero ecosistema ovale in Italia, sfidando alcune personalità fra i finanziatori e i dirigenti del nostro sport e proponendosi di utilizzare la forza del suo personaggio e del suo carattere per influenzare il cambiamento.”
“La sua determinazione nel creare un buon ambiente in tutto il rugby italiano è stata straordinaria e se ne possono già ammirare i risultati nell’incremento della profondità della nazionale e nella organizzazione sul campo. Un buon esempio in proposito è proprio in terza linea. Durante la Rugby World Cup del 2019, Jake Polledri, Braam Steyn e Seb Negri sono emersi come ottime opzioni, mettendo sotto pressione il mio posto in squadra attraverso la loro eccellenza, invece che per una qualsiasi altra ragione, come dovrebbe essere normale. Sono giocatori giovani che vogliono lottare per la maglia ed è stato favoloso vederli crescere e mettere a rischio con merito la mia maglia da titolare. E’ stato salutare per tutti.”
“Franco Smith ha rimpiazzato Conor, ma ricopre un ruolo meno ampio. E’ il classico head coach il cui primo pensiero è di occuparsi della squadra che scenderà in campo più che delle questioni periferiche o strutturali che ha dovuto affrontare Conor. Come ho detto, d’altronde, il rugby di club in Italia oggi è più forte. So che altre persone credono che l’Italia dovrebbe provare a costruire un solo super-club ma io non sono d’accordo. Abbiamo bisogno di un gruppo di giocatori il più largo possibile e l’unico modo per farlo è in maniera organica, sviluppando più squadre competitive possibili, con 40 giocatori che militano in Europa, non solo 20.”
Un ultimo pensiero alla nazionale, a ciò di cui avrebbe bisogno in questo momento di ricambio generazionale: “I nuovi giocatori hanno bisogno di creare i loro ricordi speciali. Momenti come la vittoria contro la Francia del 2011 o quella del 2016 contro il Sudafrica rimarranno con me per sempre. Proprio quella giornata a Firenze è il mio ricordo migliore, non dimenticherò mai quegli ultimi tre minuti sulla linea di meta degli Springboks, quella meta annullata dal TMO e poi George Biagi che ruba alla grande quella rimessa laterale per vincere la partita. Quelle sono giornate che ricordi per sempre, quelle da raccontare ai figli, ed è cruciale per il rugby italiano che i nostri giovani vadano a prendersi momenti come quelli.”
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