L’ex All Black giocherà il prossimo Super Rugby Aotearoa con i Blues a condizioni economiche ben diverse rispetto a quelle del passato, per amore del gioco e della famiglia
Negli ultimi anni, dopo la straordinaria cavalcata vincente al Mondiale inglese nel 2015, Dan Carter – lasciata l’amata Christchurch e trasferitosi overseas – è stato a lungo in vetta alla classifica dei giocatori più pagati nel mondo di Ovalia, sia nel corso dell’esperienza francese al Racing 92 (nel triennio ’15-’18), che nella remunerativa avventura giapponese con i Kobelco Steelers, conclusasi negli scorsi mesi dopo la cancellazione della stagione nipponica in risposta all’emergenza sanitaria.
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La chiusura di un rapporto, quello al team di Kobe, che sembrava poter far presagire ad un addio ai campi da rugby, ma il fuoriclasse due volte campione del mondo con la maglia dei tuttineri, in realtà, ha stupito ancora una volta tutti. Dan Carter, infatti, ha deciso – a 38 anni – di tornare a calcare i rettangoli verdi del suo paese, anche se con una squadra rivale dei suoi amati Crusaders, i Blues di Auckland (con cui ha firmato ufficialmente nella giornata di ieri), e stando alle sue recenti dichiarazioni, in un podcast in compagnia di Jonny Sexton (“Oggi le carriere dei rugbisti possono andare oltre la 40ina”), ha intenzione di farlo ancora a lungo.
Almeno per quanto concerne questo Super Rugby Aotearoa (al via sabato 13 giugno, in diretta su Sky Sport anche in Italia), però, in forte controtendenza con il recente passato, l’ex All Black avrà uno stipendio su standard lontanissimi da quelli a cui era abituato nel Sol Levante. In qualità di Injury Cover, infatti, riceverà uno compenso settimanale di 1800 dollari settimanali (circa 1030 euro), al minimo salariale. Incredibile, per un campione del suo calibro, ma vero. Straordinariamente vero.
“In questa quarantena ho capito due cose: quanto mi piace stare bene con la mia famiglia, e quanto mi manca il rugby”, ha spiegato Carter, che ha umilmente accettato un simile “declassamento” economico pur di stare più vicino ai propri cari ed al tempo stesso tornare ad abbracciare l’attività che più di ogni altro lo far sta bene, scongiurando contestualmente anche la triste possibilità di un addio forzato – senza un degno finale agonistico – segnato dall’emergenza sanitaria.
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