Il mediano di mischia ha voglia di misurarsi con la realtà del Pro14
I tempi, quelli di gioco e pure quelli scenici, per un mediano di mischia probabilmente sono la cosa più importante che ci sia e Alessandro Fusco, permit player delle Zebre, proveniente dalle Fiamme Oro, sembra averlo capito molto bene. Il trequarti di origine partenopea pare avere le idee chiare per il futuro, spinto da una capacità di riflessione e da una motivazione non comune.
In questa intervista lo abbiamo solleticato su diversi aspetti della sua vita ovale: dall’approdo in Emilia alla stirpe ovale della sua famiglia, passando per aspetti tecnici, ambizioni e impiego. Ecco che cosa ne è venuto fuori.
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Alessandro, iniziamo con la più classica delle domande che si fanno a un permit player: che cosa ti aspetti da questa stagione?
“Spero di ritagliarmi un po’ di Spazio qui a Parma con le Zebre essendo il più presente possibile, soprattutto negli allenamenti e magari, perchè no, riuscire a fare l’esordio in Pro14”.
Il tuo ruolo è quello del mediano di mischia: una figura che nel gioco di Bradley, fatto di velocità di trasmissione, è uno dei fulcri del sistema. Che sviluppi ti aspetti a livello tecnico e tattico?
“Velocità, comprensione del gioco e capacità decisionale: sono queste le cose su cui mi devo focalizzare per migliorare, senza dimenticare di sviluppare ovviamente una sinergia tattica con i mediani d’apertura. Sicuramente al mio fianco ho tre ottimi compagni di reparto (Violi, Palazzani, Casilio). Hanno caratteristiche simili: sono in grado sia di attaccare gli spazi ampi, sia di lavorare sul punto d’incontro.
Bradley, dal canto suo, sta cercando già da adesso di farci capire quanto sia importante la velocità chiedendoci di accelerare le operazioni quanto più possibile nelle varie fasi di gioco”.
Sei stato fra i mediani di mischia della nazionale Under 20 nel biennio 2017-2019, ora ritrovi Fabio Roselli come allenatore dei trequarti. Questo può favorirti, dal momento che conosci già il suo metodo di lavoro o ti aspetti comunque uno step in più rispetto a quello che facevi in precedenza?
“Da una parte sono, ma anche siamo, perchè siamo in tanti, sicuramente avvantaggiato perchè so come lavora il coach e cosa si aspetta da noi ragazzi.
In una visione più globale, posso dirvi che credo inevitabilmente che ci sarà richiesto un salto di qualità: per quanto il percorso internazionale con la nazionale Under 20 sia stato importante, portandoci in una dimensione comunque superiore, il Pro14 si presente come un campionato dal livello altissimo specialmente in alcune gare; di conseguenza anche le metodologie di lavoro saranno su degli standard più elevati”.
In qualità di permit player, tu resti comunque nell’orbita Fiamme Oro: l’anno scorso non hai avuto gran minutaggio (180′, ndr)…
“Voglio giocare e potermi esprimere con questa maglia nel Top12. Nella stagione scorsa non ho avuto grande spazio, poi è arrivata l’interruzione che sicuramente non mi ha favorito. Facendo una riflessione su permit e invitati, la cosa che mi auguro è quella, una volta rientrati nei nostri club, di riuscire a portare sul campo tante cose positive”.
In generale, rispetto allo stop che purtroppo c’è stato, tu ti senti fortunato ad essere stato chiamato dalle Zebre, nonostante un impiego non elevato nel campionato domestico, oppure pensi di non aver completato a pieno un percorso di maturità che – giocoforza – andrà recuperato allenamento dopo allenamento?
“Dopo aver giocato nel Top12 e con la maglia della nazionale Under 20, penso che prima si arrivi in una delle due franchigie e meglio sia. Io la ritengo una cosa positiva: avrò la possibilità di misurarmi con la realtà del Pro14, ad un livello sempre alto.
Da un lato è chiaro che lo stop ci abbia tolto qualcosa, dall’altro però ha aumentato voglia e motivazioni: tutti non vedono l’ora di tornare a giocare e misurarsi”.
L’ultima domanda che ti faccio riguarda la tua famiglia, che è probabilmente un unicum nel rugby italiano: tre generazioni di giocatori (suo padre Lorenzo, i cugini di suo papà e lo zio di suo papà, tutti trequarti ndr). Qual è il segreto dietro a questa passione e a questa continua realizzazione? Lo vivi come un peso o una motivazione?
“Nessuno di noi ha mai sentito il peso di questa cosa quando è sceso in campo, indifferentemente dal categoria nella quale è poi arrivato a giocare, anzi ha sempre rappresentato una spinta positiva.
In famiglia non c’è mai stata imposizione verso il rugby, tutti hanno iniziato per divertimento e passione. Mio padre mi ha insegnato questo dicendomi poi che quello che sarebbe arrivato avrebbe fatto parte della mia componente di merito”.
Di Michele Cassano
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