Il momento di Federico Mori, tra Nazionale, popolarità ed una famiglia di campionissimi

Abbiamo parlato con il giovane azzurro, nella cui crescita c’è anche lo zampino dello zio Fabrizio, fuoriclasse dell’atletica leggera

Zebre’s Federico Mori – Credit: ©INPHO/Laszlo Geczo.

Non se lo aspettava. Non era nei suoi pensieri, almeno per ora. Ma il centro livornese, classe ’00, del Calvisano Federico Mori – nipote e fratello d’arte, lo zio Fabrizio e la sorella Rachele sono grandi firme dell’atletica italiana -, domattina, sarà a Parma – dove sta vivendo la pre season da Permit Player delle Zebre Rugby – al ritiro degli azzurri, invitato ufficialmente dal CT Franco Smith, per assaporare per la prima volta il clima della Nazionale maggiore, dopo la lunga trafila delle Nazionali giovanili, dalla Under 17 sino alla Under 20, vissuta da assoluto protagonista nella trequarti di Fabio Roselli.

Lo abbiamo raggiunto per approfondire assieme a lui diverse tematiche interessanti, tra presente, futuro e famiglia.

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Federico, questo invito ti risolleva il morale dopo la cancellazione del Mondiale Under 20 in Italia?

“Non me l’aspettavo, è una sorpresa fantastica. Speriamo sia un solo inizio, e che aiuti me ed i compagni di Under con cui condividerò il ritiro a dimenticare la delusione per la cancellazione del Mondiale.

Sicuramente è un enorme peccato non aver potuto competere nel contesto iridato. Quest’anno, il secondo per me a livello Under 20, avevamo un ottimo gruppo, con atleti 2001 con grande qualità. C’era, anche forte coesione fuori dal campo, un aspetto non da sottovalutare. Avevamo iniziato alla grande il Sei Nazioni, con quel successo in Galles, mostrando di essere competitivi anche nelle altre gare. Perciò aspettavamo tanto questo torneo, davanti ai nostri tifosi e nel nostro paese. Volevamo divertirci ed ottenere il miglior Mondiale di sempre”.

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Come si vive la selezione Under 20, da atleta? Rappresenta un momento fondamentale per le vostre carriere…

“Penso che ci sia tanta ansia, prima di cominciare questa avventura, che poi ti consente di vivere un coacervo indescrivibile di emozioni. Si tratta realmente del primo passo che ti proietta nel rugby vero. Ho vestito l’azzurro anche in Under 17 e 18, esperienze importanti, ma non è assolutamente la stessa cosa, anche perché sei ancora in una fase di formazione. In Under 20, diventi uomo. Poi, cambia tutto anche in campo: impatti, intensità di gioco ed atmosfera sugli spalti: assomiglia tutto al rugby che guardi in tv”

Ed arriva anche la popolarità…

“Sicuramente è un qualcosa che fa piacere a tutti noi. Essere seguiti, essere contattati da ragazzini ed in generale da appassionati è un bello stimolo. Dal momento in cui ti accorgi che inizi ad essere un ‘punto di riferimento’ per qualcuno, tuttavia, soprattutto nel mondo social di oggi, dove tutto corre alla velocità della luce, devi dare sempre il buon esempio, dentro e fuori dal campo. Devi essere responsabile. A questo, peraltro, tiene moltissimo il nostro coach dell’Under 20, che ritroverò anche alle Zebre, Fabio Roselli.”

In campo, hai formato un’ottima coppia di centri con Giulio Bertaccini….

“Con Giulio mi sono trovato molto bene come persona. Lo reputo un grandissimo amico, e penso si veda come il feeling tra di noi fuori dal campo si trasformi in sintonia sul rettangolo verde. Un aspetto fondamentale per una coppia di 12-13, ruoli così delicati. Siamo stati molto consistenti in difesa, sia dai lanci del gioco che in generale, e questo ti conferisce una marcia in più”.

“In attacco, invece, siamo giocatori – seppur con morfologia differente – dalle caratteristiche simili. Ad entrambi, anche se lui magari è più elusivo ed io più da dritto per dritto, piace essere diretti ed incisivi, lavorando nel miglior modo possibile sull’offload. Anche perché la continuità diretta è uno degli aspetti più importanti del gioco di oggi. Spero di poterci tornare a giocare assieme in futuro”.

Su cosa stai lavorando alle Zebre come focus primario, in vista della prossima annata agonistica?

“Sicuramente sono consapevole di dover migliorare nella gestione delle emozioni in un palcoscenico come quello del Pro14. Poi, a livello tecnico, parlano tutti di me come un giocatore potente e veloce, sempre in grado di mettere in difficoltà la difesa avversaria. Mi ci ritrovo abbastanza, ma sto cercando di lavorare sempre di più sull’efficacia del mio offload, sulla continuità diretta del gioco. Questa cosa è sempre più importante nel rugby odierno, anche guardando al rugby in giro per il Mondo”.

“Alle Zebre, ogni giorno, oltre ad allenarmi sempre più duramente su ogni aspetto del gioco, cerco di chiedere il più possibile informazioni utili alle persone di valore che ti circondano. Recepisco ed immagazzino tutto quello che reputo di peso per la mia crescita”.

Che ti deve portare a che tipo di traguardo quest’anno?

“L’anno scorso ho archiviato 3 presenze nel torneo celtico ad inizio anno. Quest’anno ne vorrei fare molte di più in maglia multicolor”.

A Calvisano invece?

“Lo Scudetto. Peraltro da ottenere con un club che ho sempre seguito con affetto sin da piccolino, guardando tante partite dei gialloneri, su RaiSport, con in campo campioni del calibro di Alessandro Zanni e Leo Ghiraldini. Quando sono arrivato nel bresciano, dopo l’esperienza in accademia, non nascondo fossi emozionato per tale opportunità”.

“Il titolo di Campione è un traguardo che nelle giovanili, con Livorno e Granducato – a livello di Under 16 ed Under 18 – mi è sempre sfuggito di un soffio e la cosa un pizzico mi brucia. Questa stagione, che purtroppo non si è conclusa, mi ha lasciato in eredità cose importanti anche dal fronte Top12. Con Massimo Brunello, ho giocato molto spesso all’ala. Sono migliorato parecchio nel nuovo ruolo, acquisendo competenze specifiche che prima non avevo e che sicuramente mi torneranno utili. A Calvisano, poi, mi sono trovato benissimo. In paese tutti seguono la squadra e ti fanno sentire un affetto incredibile”.

A proposito di affetto. Vieni da una famiglia di sportivi di altissimo livello. Com’è il tuo rapporto con tua sorella, più volte campionessa italiana giovanile di lancio del martello?

“Un rapporto eccezionale, unico. Quando la gente ci vede assieme così affiatati, ci chiede spesso se non litighiamo mai. In tutta la nostra vita, non è mai successo. Con lei, vivi lo sport a 360 gradi, solo perché non ce ne sono di più (sorride, ndr). Stiamo bene assieme e ci aiutiamo a vicenda. Io la seguo sempre, dal vivo se possibile, o su streaming, lei viene spesso a vedermi. La sua presenza, ed immagino valga lo stesso anche viceversa, mi aiuta a dare ancor di più rispetto a quello che è il mio limite”.

 

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Sempre sotto gli occhi dello zio (Fabrizio Mori, campione mondiale – e primatista italiano – nel 1999 sui 400 m ad ostacoli, ndr)..

“Lo zio, assieme a nostro padre, ci ha dato un aiuto enorme, in termini di crescita sia personale che sportiva. Nei giorni liberi in estate, ed anche durante le nostre stagioni – quando capitiamo a casa – Fabrizio ci segue in prima persona, in pista o anche con lavori in spiaggia. Ovviamente io porto avanti lavori specifici (corsa, resistenza alla velocità, esplosività), mia sorella invece si concentra soprattutto sulla tecnica di lancio. Lui ci coordina, ci guida dall’alto della sua competenza e del suo know-how e ci fa sentire bene. Poi, quando siamo via, lontani da casa, si informa sul nostro stato d’animo, su cosa ci accade ed è sempre prodigo di consigli e dritte”.

Insomma, un faro guida importante…

“Da sempre. Anche, ad esempio, sotto il profilo dell’alimentazione. Sin da piccoli, a tavola, abbiamo seguito una determinata impostazione, curando ogni dettaglio. Chissà che questo non porti buoni frutti anche ai suoi di figli. Gabriele, coetaneo di Rachele, si sta approcciando alla velocità nell’atletica leggera. Ha delle caviglie eccezionali. Il piede è la sua arma forte. Manca solo la crescita fisica, ma ci sta lavorando alacremente. La piccola Vittoria, invece, è uno spettacolo. Un fascio di nervi. Corre, salta, lancia. Fa tutto in maniera pazzesca. Speciale”.

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