Franco Smith, Italia: “Crescere in forza e intensità. In arrivo raduni anche con gruppo ‘emergenti'”

Abbiamo parlato con il CT azzurro, a pochi giorni dalla chiusura del primo raduno stagionale a Parma

Franco Smith Italia

Franco Smith Italia – ph. Massimiliano Carnabuci

Franco Smith e la sua Italia – fermi ai box da quel complesso pomeriggio di fine febbraio all’Olimpico di Roma, al cospetto della Scozia – sono finalmente ripartiti, la scorsa settimana, con il ritiro di Parma, il primo di una stagione che – emergenza sanitaria permettendo – si preannuncia densa di impegni internazionali (a partire dai probabili recuperi del Sei Nazioni 2020, il 24 ed il 31 ottobre prossimi, contro Irlanda ed Inghilterra) come non mai.

Un ritiro particolare, privo di contatto, con focus primario sulla condizioni fisica dei 28 (più 8) atleti presenti in Emilia. Ne abbiamo parlato dettagliatamente con l’head coach della Nazionale azzurra Franco Smith, prima di addentrarci anche in altri temi interessanti, tra lista di atleti d’interesse nazionali e possibili raduni di un gruppo ‘emergenti’, ed il futuro in azzurro di Sergio Parisse.

Franco Smith, per l’Italia che raduno è stato?

Sicuramente è stata un’esperienza particolare, vuoi per la situazione contingente, segnata dall’impossibilità di fare contatto, vuoi per il fatto che fosse un ritiro lontano dalle competizioni, ma direi comunque molto utile. Da un lato per rinsaldare lo spirito di gruppo e riportare i ragazzi tutti assieme, dopo quella pausa inattesa. Da un altro, soprattutto, per testare realmente da vicino la loro condizione fisica.

Abbiamo raccolto una serie di dati molto importanti sullo stato di salute atletica di ogni singolo coinvolto, e abbiamo potuto così dare dei feedback molto chiari alle due franchigie in ottica Nazionale a lungo termine.

Soddisfatto per quanto visto?

I ragazzi si sono presentati con grande entusiasmo ed energia. Tutti hanno mostrato un’etica del lavoro eccezionale. Questo è il primo passo fondamentale per iniziare un percorso, il primo dei tre ingredienti del DNA (etica del lavoro, fisicità, imprevedibilità, ndr) che vorrei vedere instillato in tutto il movimento italiano. Sull’imprevedibilità ci lavoreremo adeguatamente, mentre l’aspetto su cui siamo più carenti è quello fisico.

Cosa manca?

Forza, intensità ed esplosività, soprattutto in alcuni ruoli chiave, a partire dai primi cinque uomini. Dobbiamo perdere qualche chilo di grasso e trasformarlo in muscoli, in forza bruta. Abbiamo bisogno che il nostro workrate salga esponenzialmente, e che si mantenga di altissimo livello per 80’.

Per essere all’altezza di chi ci troviamo regolarmente di fronte, ci servono atleti con corpo esplosivo e con un cuore allenato che permetta loro di essere reattivi, forti e lucidi su ogni azione, che possano incidere per davvero su ogni placcaggio, pulizia e maul, ed al tempo stesso essere brillanti e puntuali in ogni fase statica. Sempre e dovunque, senza soluzione di continuità.

Chiediamo ai ragazzi un percorso che li porti ad essere, in otto mesi/un anno, sempre più fit, fast and powerful. Pronti per giocare, veloci ed esplosivi, e forti. Su questi tre parametri non poniamo limiti di crescita, si deve sempre puntare verso l’alto.

Avete identificato diversi giocatori giovani, soprattutto in prima linea, che possono intraprendere questo percorso con efficacia…

Per quello che è il gioco moderno, anche davanti hai bisogno di atleti forti ed esplosivi a 360 gradi. Essere performanti nelle fasi statiche è importante, ma non basta. Serve che le prime linee riescano ad incidere – in attacco ed in difesa – in giro per il campo. I giovanissimi che abbiamo lanciato o confermato come Marco Riccioni, Giosué Zilocchi e Danilo Fischetti hanno sicuramente gran potenziale in tal senso, ma non sono gli unici. Abbiamo visto cose molto interessanti anche in elementi under come Matteo Drudi e Filippo Alongi, ma pure in ragazzi che sono già passati dall’azzurro, come Cherif Traore o Tiziano Pasquali.

C’è grande collaborazione con le franchigie…

Se vogliamo avere un prodotto finale di una certa qualità, che sia la Nazionale al Sei Nazioni, o le stesse franchigie all’opera in Pro14 o nelle coppe europee, dobbiamo remare tutti dalla stessa parte sotto ogni aspetto. Il DNA che deve sviluppare il movimento italiano – aspetto di cui ho parlato numerose volte in tempi recenti – deve essere il medesimo ai diversi livelli della priamide.

La relazione Nazionale-club è migliorata rispetto a quando lei allenava al Benetton?

La situazione da questo punto di vista, rispetto a quando allenavo Treviso, è migliorata molto. All’epoca non c’era questa collaborazione. I coach delle franchigie pensavano primariamente al loro risultato, più che al fine ultimo della Nazionale. Anche se servirebbe ancora più cooperazione, oggi le cose sono cambiate in meglio da questo punto di vista.

Anche grazie al lavoro dei direttori sportivi…

(Antonio, ndr) Pavanello e (Andrea, ndr) De Rossi, persone che hanno calcato campi internazionali ad un certo livello, che oggi dirigono la gestione tecnica di Leoni e Zebre, hanno portato il loro know-how all’interno delle due strutture, che sono salite di colpi. Conosco molto bene il Benetton, ma recentemente sono stato una settimana con le Zebre e ho preso coscienza di come funzionano le cose pure in quel di Parma. Ho visto come lavorano e sono soddisfatto.

La tua figura, da ex coach di franchigia, può aiutare ulteriormente nel facilitare i rapporti?

Sono assolutamente convinto che il fatto di aver guidato per anni due franchigie comunque di “sviluppo”, sia in Italia (Benetton) che in Sudafrica (Cheetahs), possa darmi una grossa mano nella gestione dei rapporti con Zebre e Treviso. So esattamente cosa può essere utile ed importante a Bradley, ed ai ragazzi. Ogni mia decisione sarà ben ponderata, anche riflettendo sulla mie esperienze precedenti.

Anche perché, vedendo molto poco i giocatori, il loro percorso di crescita passa dai mesi vissuti dai giocatori in seno ai club. Si parlava – in tal senso – di una lista 55 atleti di interesse nazionale, seguiti regolarmente anche dallo staff nazionale nel corso dell’anno. Può spiegarci chi sono e come sono stati selezionati?

Ne stiamo ancora parlando, a livello formale il tutto verrà definito nelle prossime settimane. Per competere a livello internazionale, considerando infortuni ed inevitabili oscillazioni per quanto concerne la condizione dei giocatori – anche dei migliori – soprattutto immaginando un calendario sempre più fitto, non basta avere un gruppo di 30 giocatori spendibile sul palcoscenico principale.

Il nostro obiettivo è quello di arrivare a formare un gruppo di 55 ragazzi di “interesse nazionale”, che possano essere più o meno intercambiabili, senza che la qualità scenda vertiginosamente nel caso in cui dovessero venire a mancare elementi del raggruppamento “iniziale”.

Ovviamente stiamo partendo affidandoci ai 30 di cui ci fidiamo e che abbiamo visto all’opera anche al Sei Nazioni. A questi, però, aggiungeremo 20/25 ragazzi, tra elementi dell’Under 20, atleti delle franchigie che non sono stati ancora coinvolti ma che hanno grandi potenzialità, senza escludere la possibilità di innestare anche qualcuno che dimostri di valere tale chiamata direttamente dal Top12. Probabile che ci siano, ad esempio, gli inviati di questo raduno, tra i quali Paolo Garbisi e Federico Mori che, se devo essere sincero, mi hanno impressionato per qualità fisiche. Sotto quel profilo sono già pronti per il piano superiore.

Ad ogni modo, questi 55 atleti saranno seguiti e monitorati tutto l’anno con grande cura ed attenzione, a 360 gradi, all’interno delle strutture delle franchigie – sia che si tratti di giocatori sotto contratto sia che si tratti di permit/inviati.

La nostra volontà, tra l’altro, è quella di poter avere a disposizione, nel corso della stagione, anche dei raduni ad hoc per il gruppo che potremmo definire degli emergenti, cioè coloro che magari sono appena al di fuori dai primi 30/35 convocati, ma comunque lì lì per entrare a far parte del team. Questi ragazzi avrebbero così la possibilità di partecipare a ritiri veri e propri, in 20/25, con noi dello staff, come se si fosse in una settimana di gara, ma senza una partita da preparare, con concentrazione massimale su dettagli tecnico-tattici.

Leggi anche, Franco Smith Italia: “Vincere e far crescere nuovi giocatori, le nuove sfide”

Parlando di campo, invece, rivedremo il game plan dell’Italia proposto in questo Sei Nazioni anche in futuro?

Per ora, ancor prima che focalizzarci nell’analisi sul game plan, è fondamentale trovare il giusto equilibrio in campo tra la freschezza, l’esuberanza e l’incoscienza dei giovani, ed il controllo dei veterani. Ci stiamo lavorando alacremente, sin dalle prime settimane a gennaio. Sia su questo aspetto, che sulla comprensione più profonda di quanto possa realmente darci ogni singolo giocatore.

Poi, il piano tattico non sarà necessariamente sempre quello che si è visto in inverno, ma cambierà anche a seconda delle nostre necessità e delle caratteristiche dell’avversario di turno.

Quindi ci sarà varietà da questo punto di vista. Non è detto che si riveda il doppio playmaker con Canna a numero 12?

Carlo è un giocatore speciale, che ha tutte le qualità che servono a un trequarti per occupare con costrutto entrambe le posizioni. Può stare in campo a livello internazionale sia all’apertura che a primo centro. Non è detto che debba per forza giocare a numero 12. Nella mia carriera, poi, ho fatto giocare più volte estremi in mezzo al campo, centri all’ala, o aperture a primo centro, per sfruttare al meglio le caratteristiche di un giocatore in base alla particolare necessità del sistema di gioco scelto in una partita o in una fase della stagione.

Cosa si aspetta da Monty Ioane?

Partiamo dal presupposto importante che tutti i giocatori che sono qualificati per poter giocare con l’Italia – se hanno qualità che possono fare al caso nostro – entrano nella nostra lista d’interesse. Nel caso specifico, anche portandolo a Parma in questi giorni, abbiamo dimostrato attenzione nei confronti di Monty (Ioane, ndr). Il ragazzo è un buon giocatore, che, peraltro, ha ancora margini importanti di crescita. Eviterei comunque di mettere troppa pressione sulle sue spalle.

Ce ne sono altri di equiparati che possono fare comodo? Viene in mente Hame Faiva (tallonatore del Benetton, ndr)…

Faiva diventerà eleggibile a sua volta nei prossimi mesi, ed è sicuramente una situazione che monitoriamo. Ma non è necessariamente l’unica. Il fatto di portare – o meno – un ragazzo equiparato in rosa, però, non dipende esclusivamente da noi, per ovvie ragioni. Quindi è un tema su cui preferisco non addentrarmi più di tanto.

Desensibilizzazione: il fatto di poter contare su ragazzi non italiani, che vivono probabilmente meno l’emotività che porta con sé il fatto d’indossare la maglia azzurra, può rappresentare un aiuto – in qualche modo – per tutto il gruppo, in termini di tranquillità?

Sicuramente vivono la situazione con più serenità, ma non bastano 3/5 persone ad invertire la rotta della barca in tal senso. Abbiamo bisogno che tutto il sistema Italia abbia una mentalità positiva e propositiva, che dia una spinta attiva verso il successo. Lo staff, i giocatori, ma anche i tifosi, la stampa e non solo…

All’interno del team, peraltro, sta già facendo un ottimo lavoro, in tal senso, il mental coach Claudio Robazza, uno che conosce bene le pressioni che si provano su un campo da gioco di altissimo livello.

Quali sono gli obiettivi a medio termine di questa squadra?

Rispondo sempre restando con i piedi per terra a questo genere di domande. Non mi piace fare promesse, ma piuttosto cercare di sviluppare un percorso di crescita, che poi ci possa permettere di replicare a tale quesito con i fatti, tra qualche anno. Noi scendiamo sempre sul campo – che sia allenamento o partita – con il desiderio di migliorarci e la voglia di vincere le partite, quello è inevitabile, ma è inutile fare proclami in tal senso.

Ecco, inizialmente sarà sicuramente importante sbloccarci e tornare a vincere una partita al Sei Nazioni. Sul medio termine, però, non fisso un obiettivo particolare in termini di vittorie, anche perché porre l’asticella ad una certa altezza, paradossalmente, potrebbe anche assomigliare a mettere un limite massimo di crescita plausibile. Cosa che non voglio fare, perché non dobbiamo porcene di confini.

Sergio Parisse giocherà un’ultima partita ufficiale in azzurro? Sarebbe sceso in campo contro l’Inghilterra?

Probabilmente avrebbe giocato contro gli inglesi. Purtroppo, però, sappiamo bene che la questione non si è mai potuta porre, alla luce di quanto è successo. Con Sergio ho parlato diverse volte, da allora, ma non entrando mai in questo discorso. Oggi non è un tema. Siamo focalizzati al 99,9% sul futuro. Sullo sviluppo di una Nazionale il più forte e competitiva possibile con questa nuova generazione molto interessante.

Matteo Viscardi

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