Il seconda linea che ha il record di presenze da capitano delle Zebre ripercorre la sua carriera in questa video-intervista
Una lunga carriera appena terminata e un libro dei ricordi da aprire e da scoprire. George Biagi, a pochi giorni dall’annuncio del suo ritiro, si è concesso a una lunga video-intervista (che vi proponiamo in calce all’articolo) nella quale ha ripercorso la sua lunga e brillante carriera. Il 34enne nato a Irvine, in Scozia, ha vissuto le ultime sette stagioni con la maglia multicolor della franchigia federale, condendo la sua esperienza parmigiana con 119 gare giocate, 51 delle quali da capitano (dato questo che fa di lui il primatista in materia in casa Zebre), oltre a 23 presenze con la maglia azzurra dell’Italia.
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Quella delle Zebre è per lui l’ultima maglia vestita in carriera, dopo aver indossato tra le altre quelle degli Aironi, dell’Amatori e del Grande Milano, di Bristol e dei Cavalieri Prato, senza poi dimenticare la convocazione con i Barbarians del novembre 2019. Seconda linea con grande disponibilità al sacrificio, Biagi ora resterà comunque legato al mondo del rugby visto che rivestirà il ruolo di Rugby Operations Manager (figura che fungerà da punto d’incontro tra società ed area tecnico-sportiva) alle Zebre. Di seguito proponiamo la video-intervista fatta con Leonardo Mussini, responsabile comunicazione e marketing della franchigia federale, quindi riportiamo alcuni dei passaggi più importanti della chiacchierata.
Le sensazioni più belle di più di questi anni di rugby internazionale con le Zebre? “Sicuramente vittorie inaspettate all’estero, come a Cardiff, a Connacht, a Parigi, a Worcester. Sono tutte sensazioni particolari: in Italia siamo partiti dall’Eccellenza e siamo arrivati in questo campionato confrontandoci con le squadre più forti d’Europa, e da qualche anno anche del Sudafrica. E’ un torneo in continua evoluzione e di alto livello”.
Invece cosa pensi ti mancherà di più del rugby giocato e della tua squadra? “Quando sei un giocatore il focus della settimana è tutto concentrato sulla preparazione della partita. Ogni giorno lo trascorri in compagnia dei tuoi compagni di squadra e ogni cosa è finalizzata alla performance del fine settimana. Credo che mi mancherà soprattutto quest’aspetto del rugby giocato”.
Sei riuscito a raggiungere il tuo sogno sportivo? Come immaginavi la tua carriera 20 anni fa quando hai cominciato a giocare a rugby al Fettes College di Edimburgo, in Scozia? “Sicuramente non avrei mai immagino di raggiungere certi risultati: ho superato qualsiasi possibile immaginazione. Tempo fa parlavo con qualcuno dei vecchi compagni del liceo e se penso che all’età di 13 anni ho iniziato a giocare e non sapevo nemmeno passare un pallone e successivamente ho calcato i campi più importanti d’Europa e del mondo è incredibile. Non ci ho mai pensato, la mia carriera è stata la conseguenza di tanti fattori, ma in definitiva è stata un’avventura incredibile”.
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Con 110 gare nel Guinness PRO14 sei uno dei giocatori italiani che ha vissuto questi primi 10 anni di torneo celtico in Italia: come si è evoluta questa competizione internazionale e qual è il suo ruolo nella crescita tecnica del nostro movimento? “E’ fondamentale per la crescita tecnica di tutti i ragazzi, perché una volta uscita dall’Under 20 o dall’Accademia Nazionale non si è ancora pronti per l’alto livello del PRO14. Eppure, è proprio mettendosi alla prova con i migliori d’Europa che si cresce, non ci sono altri modi. Il torneo continua ad evolversi e diventa anno dopo anno più spettacolare, veloce e spumeggiante. Per i tifosi penso sia una delle più belle competizioni da assistere, anche perché è composta da Paesi diversi, ognuno con le sue peculiarità, i suoi climi e il suo tipo di rugby”.
Come vedi il futuro delle Zebre tu che hai conosciuto tutte le fasi di sviluppo della franchigia federale? “Il futuro delle Zebre lo vedo molto roseo. Adesso ci aspettano altri due anni di lavoro con Mike ed è giusto dare continuità al progetto tecnico intrapreso nel 2017 con lui, perché sono convinto che sia produttivo. La società non è mai stata così solida grazie alla gestione del dottor Dalledonne che ha dato alla franchigia un imprinting aziendale ben preciso. Tutto ciò consente ai giocatori e allo staff tecnico di pensare solamente al rugby giocato e ai dirigenti del club di lavorare col territorio per costruire legami e identità. Questa credo sia la formula giusta per sviluppare un progetto sostenibile di medio-lungo periodo, coinvolgendo la città di Parma e le realtà del territorio”.
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