Grandi gesti ovali: la potenza di una carezza

Più forte della sfortuna

carezza

Ghiraldini – ph. Sebastiano Pessina

I requisiti fisici, la logistica, gli stipendi sempre più elevati. L’iperprofessionalizzazione del rugby ci porta spesso a parlarne lasciando da parte il lato più umano e sportivo, nel senso di ricco di sportività. Senza scadere nella retorica stantia dei valori e dello spirito del gioco, allora, prendiamoci un attimo per raccontarci i momenti più densi di significato assoluto: benvenuti a Grandi Gesti.

Se avete degli episodi da segnalarci, siano essi avvenuti in campo o fuori, scriveteceli nei commenti in calce alla notizia: ne parleremo nelle prossime puntate di questa nuova rubrica.

Le altre puntate di “Grandi gesti ovali”:

– Quella volta che gli All Blacks vennero battuti dal Portogallo

– Una pacca sulla spalla, mille significati

Roma, 16 marzo 2019.

Sotto un sole tiepido di fine inverno, l’Italia affronta la Francia allo Stadio Olimpico, in una gara valida per l’ultima giornata del Sei Nazioni dello scorso anno. In campo, lo spettacolo non è straordinario. A farla da padrona è la paura, su entrambi i fronti, con le squadre che faticano a trovare ritmo, continuità, sopraffatte dal nervosismo che attanaglia le due compagini, alla luce dell’importanza del match.

Gli azzurri di Conor O’Shea, all’ultima gara sulla panchina italiana nel torneo, sono a caccia della prima vittoria nell’era dell’irlandese nel 6N, i francesi di Jacques Brunel, reduci dal k.o. in Irlanda, hanno vinto solo in Scozia e – sommersi dalle critiche in patria – rischiano di chiudere l’edizione in penultima piazza.

La tensione, già alle stelle nella prima frazione, aumenta esponenzialmente nella ripresa, con l’Italia che domina possesso e territorio, ma fatica oltremodo a marcare punti preziosi per prendere la leadership dell’incontro, al cospetto di una Francia eufemisticamente poco brillante, ma di fatto sempre con la zampa davanti sul tabellino.

Leggi anche: Rugby in tv: sarà Mediaset a trasmettere i match dell’Italia, dell’Autumn Nations Cup

Al minuto 56′, Tito Tebaldi – all’altezza dei 5 metri – attacca in prima persona vicino al raggruppamento, disinnescando la difesa francese con una finta ed avvicinando l’Italia nel punteggio, riportandola nuovamente sotto break. Sembra il possibile inizio di una grande rimonta, con il pubblico che si accende, si surriscalda.

Il boato per la marcatura pesante, la prima e purtroppo l’unica della partita degli italiani, tuttavia, lascia ben presto spazio al silenzio, purtroppo sferzato e per certi versi rovinata da una ola senza particolari significati in quel momento, colmo prima di stupore e poi di tremendo dispiacere per l’improvviso e doloroso – sia a livello emotivo, che, purtroppo, pure sul piano fisico – infortunio di Leo Ghiraldini, pilastro azzurro degli ultimi lustri, che dopo un colpo subito si accascia a terra, toccandosi amaramente il ginocchio, già consapevole della gravità del problema.

Assumendo i connotati di una sineddoche umana (in rappresentanza dei 60mila assiepati sugli spalti), nel breve volgere di pochi istanti, Yohan Huget e Maxime Medard, fieri rivali i giornata di Ghiraldini, ma compagni a Tolosa ed amici dell’ex Benetton Rugby, accorrono appresso al tallonatore azzurro, chinandosi e porgendogli una carezza di affetto, di calorosa vicinanza – assorbendo tutta l’energia del pubblico e restituendola così al campione italiano – in uno dei momenti più brutti della carriera.

Uscire in tal modo, nel giorno del commiato ad uno stadio, ed una platea, che ne hanno esaltato le gesta, tra alti e bassi azzurri, riconoscendone sempre la straordinaria grandezza, dentro e fuori dal campo, non è esattamente quello che un uomo, ancora prima che un atleta, si augurerebbe di trovare, aprendo il cassettino ‘ultima in azzurro’, in dote dalla sorte.

Una sorte che, travestita da ciclone Hagibis, peraltro, ha detto male a Ghiraldini anche 7 mesi dopo, cancellandogli la possibilità di un’ultima battaglia – che sarebbe stata senza dubbio da ricordare – contro gli All Blacks. Sorte amara, beffarda. Terribile, ma mai più potente – e mai in grado di sopraffare – della forza squassante di quella carezza e di tutto il suo valore.

Un destino poi reso innocuo – nel più classico, ma forse insperato, dei finali lieti -, 20 mesi dopo, ad inizio novembre del 2020, quando, grazie alla straordinaria attitudine e ad una forza di volontà con poghi eguali, nonostante sia senza squadra, Leonardo Ghiraldini, anche approfittando delle numerose assenze nel ruolo, riconquista la chiamata azzurra.

Convocazione a cui fa seguito, nelle settimane successive, anche il ritorno in campo, con l’ex Benetton che convince Smith a lanciarlo nuovamente nell’arena dei Test internazionali, guadagnandosi un posto nei 23 in distinta gara per l’esordio in Autumn Nations Cup, a Firenze contro la Scozia. Una partita in cui provare, stavolta a restituire, le emozioni e la forza di un’altra carezza (tecnica e morale) a tutti i (tanti) giovanissimi azzurri che avranno la fortuna di condividere – almeno per una volta – spogliatoio e rettangolo verde con un tale leader by example, più forte della sfortuna.

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