Nelle scelte di Wayne Pivac, ma anche dei colleghi, si riflette un momento di transizione importante per tutti
Il rugby internazionale è la massima espressione dello sport con la palla ovale, e per questo è un gioco estremamente votato ai risultati. Le squadre che giocano di più affrontano un massimo di 11/12 partite, e il numero di vittorie o di sconfitte è in ultima analisi quello che conta nel giudizio globale del lavoro fatto dai giocatori e dagli staff.
Come Franco Smith, ma in maniera ancora maggiore Wayne Pivac e Ian Foster, stanno imparando sulla loro pelle, ogni risultato negativo porta con sé un accumulo di pressione e critiche: c’è semplicemente poco spazio per sperimentare, inventare, mettere alla prova.
Questa Autumn Nations Cup, finora pallida imitazione dei classici test match autunnali, ma sicuramente più intrigante delle tournee estive, sta però finalmente permettendo agli head coaches di operare quel ricambio generazionale tipico di un ciclo quadriennale che inizia, incominciando la lunga marcia verso la prossima Rugby World Cup.
In questo fine settimana il Galles ha selezionato un reparto arretrato costituito da quattro giocatori su sette senza nemmeno una partenza da titolare in nazionale: Hardy, Sheedy, Rees-Zammit e Johnny Williams. Nick Thompkins ne ha 4, Johnny McNicholl una soltanto. Per tutti contribuisce l’estremo Liam Williams, alla cinquantanovesima partenza dal primo minuto in carriera.
In più, ci saranno i debuttanti James Botham (terza linea, in campo) e Ioan Lloyd (mediano di mischia, in panchina).
Starting debut for Wales scrum-half (pro era) – Rob Howley 1996, Gareth Cooper 2001, Mike Phillips 2003, Martin Roberts 2008, Tomos Williams 2018, Kieran Hardy 2020
9 of Wales 23 will have been given their debut by Pivac
— Russ Petty (@rpetty80) November 19, 2020
Non è solo Wayne Pivac, costretto un po’ dai risultati sotto gli standard, un po’ dalle necessità anagrafiche dei suoi giocatori, a dover cambiare le carte in tavola, anche se nessuno lo fa in maniera così massiccia.
Nel secondo turno della Autumn Nations Cup anche le due grandi sfidanti di giornata, Inghilterra e Irlanda, si affidano ad alcune novità: per i padroni di casa giocherà con la maglia numero 13 Ollie Lawrence, per gli ospiti fiducia a Caelan Doris come terza centro e a Ronan Kelleher come tallonatore, oltre al più contingente cambio della guardia in mediana.
Lawrence, centro 21enne dei Worcester Warriors, è chiamato a ricoprire il ruolo che fu di Ben Te’o e Manu Tuilagi, il primo emigrato in Giappone, il secondo infortunato gravemente. Si tratta di un giocatore che rientra all’interno della definizione di centro potente, ma con sfumature diverse rispetto a quelle dei predecessori: un giocatore più rapido e guizzante, nonostante una stazza non certo da trascurare.
In Irlanda l’impressione del ricambio è meno accentuata perché i volti nuovi abbiamo imparato a conoscerli tra le fila di Leinster, una sorta di scuola di specializzazione per aspiranti internazionali. Doris e Kelleher, entrambi classe ’98, sono emersi molto rapidamente nel corso dell’ultima stagione di Pro14, ma tutti gli osservatori ne hanno immediatamente riconosciuto i talenti, preconizzando una loro rapida titolarità in nazionale.
Se Kelleher ha però avuto il favore di una congiuntura generazionale che ha fatto sì che dietro Rory Best non si formassero giocatori così forti da essere competitivi con il rampante dublinese, altrettanto non è per il terza linea Doris, che questa settimana batte nomi come Will Connors e Josh van der Flier per giocare titolare, e scalza uno dei leader del pack irlandese dalla propria posizione preferita, prendendosi la maglia numero 8 di CJ Stander.
E’ la nouvelle vague del rugby internazionale: una nuova generazione di talenti pronta a prendersi il palcoscenico, come già accaduto in Francia, dove adesso si attende con curiosità di vedere cosa faranno le seconde scelte che vedranno la luce contro l’Italia, e nel nostro paese, con Franco Smith che ha selezionato per la partita contro la Scozia di sabato scorso 12 giocatori che non hanno giocato la Rugby World Cup 2019.
L’unica formazione ancora fuori dal giro di questa piccola rivoluzione è la Scozia. Un po’ perché i giovani scozzesi di maggiore talento si sono già presi la loro porzione di visibilità in maniera piuttosto immediata, un po’ perché si tratta di un gruppo che lavora insieme da oramai 6 anni, e che ambisce a portare a casa risultati più subitanei. Chissà che questo non possa però guastare gli ingranaggi in vista dell’obiettivo più importante di tutti: Francia 2023.
Lorenzo Calamai
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