Il leggendario numero 10 racconta cosa (sorprendentemente) ricorda della sua prima partita con la Nuova Zelanda
Con il rugby che sta vivendo la sua consueta pausa estiva, in Nuova Zelanda ne approfittano per far rivivere ai tifosi qualcuno dei più importanti momenti del recente passato degli All Blacks: tra questi senza dubbio si può inserire il debutto con la maglia nera di Daniel Carter, nel primo dei suoi 112 caps che lo avrebbero consacrato come uno dei migliori di sempre. Se nel paese della lunga nuvola bianca sono il cricket, con la serie dei Black Caps contro il Pakistan che inizierà a breve, e la Coppa America di vela a farla da padrone del presente, i vari account social della Nazionale più famosa di ovalia stanno “agitando” gli scorsi decenni permettendo ai tifosi di vedere le prime volte dei loro grandi campioni.
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Il debutto di Carter con la Nuova Zelanda è, se ce n’è uno, il segnale di un predestinato. Ne parla lo stesso ex-numero 10 (che poi tanto ex non è, dato che non si è ancora ufficialmente ritirato seppur non abbia giocato coi Blues nel Super Rugby Aotearoa), inquadrando il tutto nel contesto di quel periodo. Estate (boreale) o inverno (australe) 2003, con la Coppa del Mondo in avvicinamento gli All Blacks ospitarono per i test match l’Inghilterra, il Galles e la Francia. La prima sfida, giocata a Wellington il 14 giugno, era nettamente la più attesa tra tutti i test match, e infatti regalò uno spettacolo magistrale. Uno scatenato Wilkinson guidò, con 4 piazzati e un drop, l’Inghilterra al 15 a 13 finale, in quello che tuttora è l’ultimo successo dei bianchi in Nuova Zelanda. In panchina tra i padroni di casa c’era Carter, che però non si alzò mai per il debutto ufficiale, e il suo numero 21 rimase bello pulito fino al fischio finale. Racconterà lo stesso Carter che: “Wilkinson è stato incredibile, era il miglior numero 10 al mondo. Ricordo che quando finì la partita nello spogliatoio il clima era quello di un funerale. Li, nonostante fossi al debutto con quel gruppo, ho capito che sei giochi per gli All Blacks non puoi perdere. Mai. Men che meno con l’Inghilterra”.
Una settimana dopo ad Hamilton l’avversario si sarebbe chiamato Galles, e sin da subito le cose presero una prospettiva interessante: “Già al lunedì facemmo la sessione video. Quindi uno degli allenatori mi disse che sarei partito titolare contro i Dragoni. Per qualche strano motivo mi sentivo più rilassato rispetto a quando avevo saputo di dover debuttare con i Crusaders. Forse perché arrivavamo da una sconfitta, ricordo di essermi goduto l’avvicinamento alla partita fino alla fine della Haka”. Indossando la divisa numero 12, mentre la 10 toccò a Carlos Spencer, Daniel Carter era così pronto per debuttare con la Nuova Zelanda: come detto era in arrivo una gara da predestinato. Una meta, segnata nel secondo tempo su assist di Spencer, e sei conversioni, per 20 punti totali nel 55 a 3 finale (tutt’oggi il peggior scarto tra le due formazioni). Quali sono quindi i suoi ricordi della partita? “Niente. Ricordo il calcio d’inizio e poi stop. Ero così concentrato su quello che dovevo fare in campo che non ho avuto tempo di immagazzinare emozioni. Sono arrivato alla fine della gara e mi sono chiesto se fosse tutto qui”.
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