Chi sono e da dove vengono le quattro squadre che faranno parte della competizione e del futuro del rugby europeo
Da aprile arriva la Rainbow Cup, una nuova competizione fra le dodici franchigie europee del Pro14 e quattro sudafricane, una sorta di corposo antipasto a quello che sarà, con ogni probabilità, il Pro16 del 2021/2022.
Quattro squadre che, malgrado la natura episodica del torneo che affronteranno, sono sul palcoscenico per rimanerci: falliti i Southern Kings, declassati senza tante remore i Cheetahs, ecco al proscenio le ex protagoniste del Super Rugby sudafricano, ovvero Bulls, Sharks, Lions e Stormers.
Pro e contro della Rainbow Cup
L’espansione della lega celtica a un numero più alto di squadre sudafricane era oramai una certezza anche prima dell’annuncio di ieri da parte del Pro14. Che questo significasse un’immediata rivoluzione della stagione in corso era molto meno scontato.
Da una parte questa operazione ha chiari meriti sportivi ed economici. In un campionato già di per sé sbilanciato in termini di rapporti di forza verso le titaniche franchigie irlandesi e che aveva bisogno di innalzare il livello della competizione, inserire quattro squadre di Super Rugby con diversi campioni del mondo a registro non può che far bene.
Il ruolo della Rainbow Cup come apripista del tour dei Lions in Sudafrica, poi, rende goloso lo scenario del 2021 per gli spettatori e gli amanti del gioco, che avranno una sorta di prima misurazione sia per la situazione degli Springboks che per quella di diversi protagonisti della selezione in rosso.
Lo rende però appetitoso anche per chi ha intenzione di aprire i cordoni della borsa e investire nella trasmissione televisiva del torneo, uno dei principali motivi per cui si è deciso di sconvolgere la stagione 2020/2021, in cerca di quel gruzzolo necessario a tenere in piedi tutto l’edificio del rugby celtico. In periodi di difficoltà come questi, è una fontana che si presenta all’assetato.
D’altra parte, però, ci sono anche dei contro: in primo luogo, sembra una scelta azzardata quella di annunciare proprio adesso, per la prossima primavera, un torneo che si deve svolgere fra quattro paesi diversi, su due emisferi, con lunghe trasferte aree e attraversando sette diverse giurisdizioni sanitarie.
Al netto di queste considerazioni logistiche, può essere discutibile anche l’idea di sacrificare sull’altare del profitto l’intera stagione sportiva 2020/2021. Accorciando in maniera brusca il Pro14 e soprattutto distruggendone le fasi finali, lo si priva fondamentalmente di quasi tutto l’interesse nei risultati da qui a marzo, e che grande ambizione potrà essere vincere il trofeo della Rainbow Cup, torneo realizzato su due piedi, con una formula improntata all’occupare i weekend disponibili e nulla più, senza un background sportivo alcuno?
I protagonisti della Rainbow Cup
Abbiamo imparato a conoscere le squadre che parteciperanno al nuovo torneo non solo durante il Super Rugby originale, ma anche durante la recente versione Unlocked, quella autoctona sudafricana. Lì, abbiamo scoperto un po’ i nuovi rapporti di forza del rugby springbok, con i Bulls che si sono rivelati i migliori.
La franchigia di Pretoria è stata storicamente quella più forte all’interno del super-campionato dell’emisfero sud, vincendolo per ben tre volte, ma nell’ultimo decennio era stata in declino, inanellando diverse stagioni deludenti.
Oggi è una squadra che unisce vecchie glorie (Morné Steyn, Trevor Nyakane, Duane Vermeulen, Juandre Kruger) a giovani solidi e di belle speranze (Jason Jenkins, Sintu Manjezi, Muller Uys).
Insieme a loro la squadra più attrezzata sono gli Stormers, che annoverano una quantità di campioni del mondo impressionante: Kitshoff, Malherbe, Mbonambi, solo per fermarsi alla prima linea; e poi, Pieter-Steph du Toit, Siya Kolisi, Damian Willemse, Warrick Gelant. Una squadra che sarà divertente veder misurarsi con il rugby europeo.
Durante il Super Rugby Unlocked, gli Sharks hanno ottenuto più o meno gli stessi risultati degli Stormers. Capitanati da Lukhanyo Am, la squadra di Durban ha un serbatoio di giocatori molto ampio, tutti con l’ambizione di essere la prossima generazione di Springboks, come Curwin Bosch che vuole finalmente prendersi una maglia da titolare della nazionale, o la terza linea classe 2000 Celimpilo Gumede che scalpita nel pack.
Infine i Lions, che dai fasti delle finali di Super Rugby si sono risvegliati un po’ ristrutturati, con tanti giocatori che hanno preso la via dell’Europa. Rimane il solito Elton Jantjies a guidare la squadra con la sua pettinatura storta, è tornato Jaco Kriel dopo la deludente esperienza a Gloucester, ma per lo più a Johannesburg si penserà a sviluppare giocatori sul nuovo palcoscenico europeo.
A questo punto dobbiamo solo aspettare qualche mese per vedere Kolisi e Vermeulen calcare i campi di Monigo e del Lanfranchi.
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