Elezioni presidenziali FIR 2021: intervista al candidato Marzio Innocenti

Il 62enne toscano, attuale presidente del comitato veneto, ci racconta il suo programma e la visione per il rugby italiano del prossimo quadriennio

Marzio Innocenti candidato alla Presidenza della Federazione Italiana Rugby per Renovatio Italia Rugby

Marzio Innocenti candidato alla Presidenza della Federazione Italiana Rugby per Renovatio Italia Rugby

Marzio Innocenti, 62enne medico livornese trapiantato a Padova, è da anni alla guida del comitato regionale veneto. Una straordinaria esperienza da giocatore tra la seconda metà degli anni ’70 e l’intera decade degli ’80, sublimata dal capitanato azzurro alla Coppa del Mondo neozelandese del 1987, la prima della storia, prima di iniziare una carriera da allenatore e da dirigente sportivo, in ambito ovale. Con il suo “Renovatio Rugby Italia” si propone ora per diventare presidente FIR per il quadriennio 2021/2024, dopo averci provato nel 2016, all’epoca alla guida di “Pronti al Cambiamento”Così come gli atri sei candidati, lo abbiamo raggiunto telefonicamente per una chiacchierata in cui ci ha illustrato il suo programma rispondendo alle nostre domande.

In fondo a questo articolo trovate il link per consultare le biografie e programmi completi di tutti i sette candidati, nonché i link per leggere le rispettive interviste che abbiamo pubblicato.

L’intervista inizia con una premessa importante, senza giri di parole, da parte dello Stesso Innocenti: “Da 20 anni, ormai, ci si rende conto che la scelta fatta, una volta entrati nel Torneo, di puntare quasi esclusivamente sull’alto livello, ha portato pochi risultati sportivi ed una perdita sempre più pesante di quello che potremmo definire tessuto connettivo del nostro movimento”.

Intende quindi intervenire tagliando qualcosa alla Nazionale maggiore?

Voglio subito sgombrare il campo da qualsiasi dubbio: non ci sarà nessuna riduzione in termini d’impegno ed investimento economico sulla nazionale seniores. Dobbiamo tornare il prima possibile a vincere: è prioritario, fondamentale. Quindi la selezione maggiore, in questo senso, non sarà minimamente toccata, anzi. Sicuramente, però, razionalizzeremo la spesa, puntando prima di tutto sul risultato sportivo – nell’ottica dell’assunzione di tecnici e/o altre figure specifiche -, che sarà, come per ogni realtà che fa sport, la nostra stella polare. Come razionalizzare? Ci saranno spostamenti di spesa nelle voci del bilancio, dall’attuale capitolo di spesa principale – come franchigie e accademie – progressivamente andremo verso un maggiore equilibrio tra le suddette e l’investimento sulla struttura territoriale, che dovrà essere sempre più forte.

Partiamo dalla riforma delle Accademie allora…

Il sistema accademico, come detto, andrà riformato in maniera radicale, e anche da questo passaggio abbiamo la possibilità di risparmiare fondi, da spostare da sull’attività territoriale. Sia chiaro, per ogni situazione che riguarda la gestione, ristrutturare, per quanto ci riguarda, non vuol dire cancellare: non vogliamo fare tabula rasa immediatamente, anche perché, attualmente ci sono circa 200 ragazzi nel sistema, e non è che si possa dire a questi giovani e alle loro famiglie, che hanno iniziato un percorso, ‘grazie e arrivederci’. Ci sarà un periodo di transizione, in cui valuteremo da vicino anche tutte quelle cose che, di questo sistema con alcune falle di peso, in realtà funzionano, e magari vale la pena mantenere.

Cosa intende fare?

La riforma intende togliere alcune storture: i giocatori, oggi, vengono prelevati dai club sui 15/16 anni, molto precocemente, diventando, di fatto, dei corpi estranei alle società, finendo spesso per non riuscire ad aiutare ne loro stessi ne i club nel percorso di crescita, e perdendo subito senso di appartenenza con la realtà dove sono diventati grandi. I ragazzi, quando tutto sarà a regime, si muoveranno verso i centri di alta specializzazione solo in quarta e quinta superiore – quando si ha già un’idea più chiara sulla possibilità e sulla reale volontà di diventare un atleta pro -, non prima, anche per evitare problematiche di riflesso con la scuola, che mantiene grandissima importanza.

Cercheremo di spostare sempre di più l’impegno generale della federazione verso i club piuttosto che verso le accademie, valutando peraltro la possibilità di pianificare solo periodi spot lontano dalle proprie società, magari a campionato/tornei fermi.

Allo stesso tempo portiamo avanti lo stimolo del lavoro all’interno dei club. Non possiamo avere certezze sul fatto che solo quelli che selezioniamo a 17 anni siano i giocatori migliori in ottica azzurra futura. Dobbiamo aiutare e stimolare i club attrezzati a sviluppare una sorta di percorso accademico intenrno. Quelli che ambiscono al massimo livello italiano lo dovranno fare per forza, sugli altri, invece, sarà la struttura territoriale a dirci dove varrà la pensa spingere con tale investimento.

Ad ogni modo, una cosa dovrà cambiare a livello di concezione: oggi, i club vivono il sistema delle accademie come un qualcosa di estraneo, quasi di nemico, con la federazione percepita come una controparte. Questo leva l’entusiasmo alla base di tutto ciò che si fa. D’ora in poi, federazione e club dovranno lavorare assieme, fare squadra e andare verso un unico obiettivo, ma non solo a parole, anche con i fatti.

Passando alle franchigie, invece, come si pone sul capitolo Zebre?

Non vogliamo ridurre il budget attualmente erogato in termini ufficiali – anche se allo stato attuale costano più di quanto previsto -, ma che , se possibile, si arrivi a una situazione simile a quella del Benetton che in questi anni ha saputo strutturarsi molto bene. A differenza di quanto accaduto recentemente, ascolterò tutte le offerte pervenute – quella di Alessandro Banzato, proprietario del Petrarca, e quella di un inglese – e che perverranno, per rilevare – o contribuire in modo importante – al club. Discuteremo con questi soggetti, valutando la situazione e prendendo la decisione, in un senso o nell’altro, più consona per lo sviluppo e la crescita del movimento italiano nel suo complesso. Poi, ovviamente, abbiamo anche dei piani B, se non ci fosse la possibilità dell’entrata in scena di queste forze esterne: far sì che alle Zebre ci siano tutti gli azzurri – non già sotto contratto con il Benetton, ovviamente -, assieme ai ragazzi che escono dalla Under 20. Ad ogni modo, se si decidesse di allinearsi su questa opzione, sarà necessario ridurre i costi, investendo nello staff tecnico del team, ma snellendo il management, che dovrà essere più agile.

Qual è, in caso di sua vittoria, la prima cosa che metterebbe in atto da Presidente FIR?

Innanzitutto, attivare la struttura “di controllo” che abbiamo identificato come appoggio per gestire nella maniera migliore le risorse a nostra disposizione in FIR. Nel programma c’è una pagina intera dedicata a colui che abbiamo scelto per la presidenza del consiglio della revisione dei conti. Un professionista – propostomi su misura in base alle esigenze che avevo espresso -, che ho scelto per il CV. Ci dovrà fare da Virgilio, in giro per Ovalia, dicendoci con certezza cosa possiamo permetterci di fare, e cosa invece non è alla nostra portata in quel momento, sempre massimizzando le risorse con l’obiettivo del risultato sul campo.

Poi, per quanto riguarda la prima in assoluto in termini pratici, direi il ‘progetto sud’. Tante cose che vogliamo fare, descritte nel nostro programma, sono legate al fatto che il rugby diventi popolare e praticato dovunque, assurgendo al ruolo di secondo sport di squadra nazionale: in questo momento non siamo così capillari, e questo ci crea problemi nel penetrare nei media e nei sistemi economici della nazione.

Praticamente, come si svilupperà?

Alla guida ci sarà una persona, a me molto vicina, che si occuperà di questo progetto come manager, affiancato dai consiglieri che vi ho indicato precedentemente, con grande esperienza reale, sulle questioni meridionali. Ed io stesso, in prima persona, mi impegnerò ad essere molto presente al sud. Bisogna capire che per i club, anche avere semplicemente qualcuno che ti metta una mano sulla spalla, facendoti sentire la sua presenza, è importante. Investiremo tanto per l’impiantistica, sposteremo dei TFA (Tecnici Formazione di Area, ndr) da altre regioni, per creare tecnici di qualità su tutto il territorio. Se sarà possibile con i costi, cercheremo di avere persone di livello alto, in arrivo anche dall’estero, che possano seguire questo progetto con massima attenzione, anche con la volontà di strutturare al meglio questi club in tutte le declinazioni possibili, anche per quanto concerne, magari banalmente la segreteria, o i rapporti con gli enti locali. E’ in fieri anche l’idea/possibilità di creare un tutoraggio tra team già sviluppati, con anni di consolidata esperienza, e realtà nuove, che si stanno formando: ad esempio, un nuovo team di Lecce potrebbe essere seguito – in una collaborazione dal mutuo beneficio – da uno storico team di Bologna, instradandosi così sulla retta via, senza il rischio di fare errori, sprecare tempo/denaro.

Lo spreco è un qualcosa che sembra colpire tanti settori del nostro rugby, sentendola parlare…

Già. Oggi nessuno di pesante vuole entrare nel rugby: faccio esempio di Barilla, a Parma, con le Zebre. Questo succede perché non piace il sistema generale.

In che senso?

Dobbiamo necessariamente toglierci di dosso l’aura che attualmente si porta dietro il rugby: quella di sport provinciale e mal gestito!

Da dove partiamo?

Dal dimostrare a tutti che gestiamo il nostro mondo nel modo più trasparente e corretto possibile. E magari (ri)strutturando i campionati – sin dal secondo o al massimo dal terzo anno del mandato, per avere riscontri entro il quadriennio – in maniera che siano realmente appetibile, su ogni fronte.

Come?

Divideremo nettamente il rugby professionistico, da quello professionale e ludico, quest’ultimo comunque estremamente importante, perché in grado di tenere attivi regolarmente migliaia di appassionati, che possono avvicinare altri amici, o avere figli che scelgono più facilmente l’ovale.

Dopo anni di professionismo “straccione”, vogliamo che anche il nostro domestic diventi Pro. Come? Con una super lega, stile NBA, alla quale si accede non per merito, ma soddisfacendo dei criteri: economici, organizzativi e tecnico-sportivi. Criteri ai quali stiamo lavorando con una squadra di professionisti del settore. Ci sarà un “commissioner” che – ovviamente negli interessi della lega e dei club coinvolti – si occuperà di organizzare il campionato, di raccogliere sponsor, gestire i rapporti con i media, con l’obiettivo di rendere il vestito del torneo elegante, ed indossabile nelle più svariate occasioni commerciali.

Questa competizione assegnerà un titolo di campione nazionale – e tramite accordi con l’EPCR, vorremmo garantisse un posto in Challenge Cup, con il team in questione che verrebbe aiutato dalla FIR con i giusti contributi -, ma parallelamente continueremo ad avere anche il torneo di massima divisione “professionale” (atleti si allenano in strutture di livello, con allenatori e dirigenti professionistici, ma continuando a fare altri lavori) al quale potranno partecipare anche club con una franchigia in super lega, basta che presentino liste di giocatori totalmente distinte. Questa prima divisione sarà alla base della piramide dei campionati, fino alla quarta divisione. Cosa cambierà qui? Che ci saranno molte più promozioni/retrocessioni rispetto ad ora, così che ci siano più squadre che possano avere obiettivi ed aspirazioni concrete ad ogni stagione.

Per il femminile ed i campionati giovanili?

Per far sì che il settore femminile cresca, servirà avere un torneo di serie A, comparabile all’attuale girone élite a sé stante, per garantire partite di assoluto livello con costanza, settimana dopo settimana. L’ultima squadra retrocede in Serie B, seconda serie che dovrà essere composta da tre gironi, con la possibilità di conquistare un posto al vertice della piramide l’anno successivo.

Per le giovanili: passaggio dalle categorie con gli anni pari a quelle con gli anni dispari. Poi, ci sarà un sistema che porti nei nostri campionati domestici una chiara visione di quali siano le fasce di livello dei vari team, anno per anno: una prima fase “uniti”, e successivamente la divisione in tre fasce: prima, seconda e terza, per avere il maggior numero di partite equilibrate, visto che la crescita può avvenire anche tra squadre di fascia “bassa”, ma dai valori vicini. Questo non accade invece se ci sono partite con enormi differenze.

Strutturalmente questo si deve interconnettere con l’attività di selezione dei comitati, anche questa da fare per fasce, per allargare il numero di giocatori sotto osservazione per il livello di alta specializzazione, che inizialmente sarà sotto il controllo della federazione, e poi spero che proceda anche con l’attivazione in tal senso dei club particolarmente attrezzati.

E poi c’è l’idea del draft…

La crescita a 360 gradi dei club e dei rispettivi settori giovanili sarà fondamentale per alzare la qualità non solo in ottica nazionale, ma di tutto il movimento, tra franchigie e Super Lega, con diversi ragazzi che ogni anno, in uscita da un sistema efficiente, vorranno provare il salto nel rugby pro. Verrà stilata una lista dei giocatori interessati, con i criteri del caso per l’acceso, ad entrare nella SL, e si procederà con un draft in stile NBA: la squadra giunta ultima nella stagione precedente potrà scegliere che giovane inserire nel proprio roster per prima, la penultima per seconda, e così via, sino ad esaurire gli atleti disponibili.

Super Lega e giovani selezionati con i draft saranno in qualche modo ancora collegati anche con le franchigie?

Non abbiamo una profondità tale da poterci permettere di slegare queste realtà. Sarebbe meglio fossero distaccate, chiaramente, ma anche nei migliori auspici, non credo che la super lega possa mai arrivare ad eguagliare i campionati francese o inglese.

All’inizio collegheremo la Super Lega con la franchigie, anche in questo caso stiamo lavorando sul come con dei professionisti. Il concetto è far diventare il rugby una squadra unica, seguendo il bene comune. Cercando di rispettare esigenze ed interessi di tutti quanti, dobbiamo vedere l’interesse generale. La fed deve stare li a fare l’olio tra gli ingranaggi.

Entrando su tema prettamente elettorale, cosa ci può dire della sua squadra?

Innanzitutto, tengo a sottolineare come chiederò il voto necessariamente solo per sei candidati, numero che garantisce la possibilità di governare in consiglio. Dentro la squadra ho voluto inserire diverse persone che vengono dal territorio. Ci sono  Nicoletta D’alto – unica donna nel sistema dei delegati Provinciali/regionali, giovane, ma già molto brava, grande esperta di amministrazione pubblica -, Grazio Menga, presidente del comitato regionale pugliese – fina mente di rugby -, Giorgio Morelli, presidente del comitato abruzzese, grande amico e persona che più stimo nel mondo del rugby. Assieme al vice presidente del Rugby Vicenza Luigi Battistolli – campione di rally e titolare della Rangers Vicenza, grande azienda di trasposto valori e sicurezza, con numerosi filiali al sud -, che sarà l’interfaccia politica con la struttura economica della federazione, Menga e Morelli daranno una mano importante – da ‘insider’ – anche per quanto concerne il progetto sud. Poi, ci sono Carlo Festuccia, atleta ma anche uomo di spessore, in grado di costruirsi una carriera lavorativa di livello a pochi anni dal ritiro, e Francesca Gallina, ex Red Panthers ed azzurra, nonché professoressa ordinaria all’Università di Pisa, per la quale ha gestito negli anni promozioni in giro per il Mondo, e rapporti con il MIUR: sarà per noi un elemento chiave per quanto concerne il progetto scuola, fondamentale per allargare la base dei giocatori.

Sono sei, come detto, perché gli altri posti, al di là della quota tecnici (esprimono loro la persona che preferiscono, quasi sempre senza entrare nel vivo del discorso politico), arriveranno dal Territorio.

E sulla squadra operativa, invece, che ci dice?

Da statuto servirebbero un segretario generale ed un direttore generale, figure che però vanno spesso in contrapposizione. Così abbiamo deciso di unirle in un’unica persona, che abbiamo già identificato: un professionista di alto livello degli organismi Coni Sport e Salute, sul cui nome preferisco per ora mantenere il riserbo.

Detto del presidente del consiglio di revisione dei conti, poi, nell’ufficio marketing, anche in base alle risorse a disposizione ed alle indicazioni della struttura amministrativa, troveremo delle figure adeguate: sicuramente non ci sarà più un ex giocatore senza preparazione specifica nel settore. Per quanto concerne la parte tecnica, poi, pur senza voler allontanare nessuno, non è pensabile che ci sia qualcuno che occupi quella posizione da quasi vent’anni.

Tengo a ribadire, poi, come si debbano ridurre e soprattutto razionalizzare i costi: ci sono quasi 70 impiegati in FIR, tra sedi centrali e territorio. Dobbiamo sfruttarli al meglio, non al 30%.

Sul fronte meramente elettorale, con 7 candidati, che elezioni si aspetta? E’ aperto a possibili accordi?

Non farò nessun accordo e nessun accordicchio. Conto di vincere al primo turno, ma se andassi al ballottaggio non mi metterò a firmare cambiali. Sono soddisfatto dalla mia vita, non mi serve fare il presidente federale per aggiungere qualcosa al mio CV. Se posso farlo cambiando qualcosa e lasciando un ricordo importante bene, se devo farlo governicchiando come è stato fatto in questi anni – gestendo, di fatto, solo l’ordinario –, allora non sono minimamente interessato. Non farò accordi con Amore, De Anna o Poggiali, anche se vedere quest’ultimo come rivale rappresenta per me una spina nel cuore, stimando molto la persona. E sicuramente non farò accordi con chi ha portato il rugby a questo punto.

Le biografie e i programmi completi dei sette candidati alla presidenza FIR sono consultabili a questo link.

Leggi anche: intervista a Gianni Amore – intervista a Elio De Anna – intervista ad Alfredo Gavazzi Intervista a Giovanni Poggiali – Intervista a Nino Saccà Intervista a Paolo Vaccari

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