Il 49enne romagnolo attuale il presidente del Comitato dell’Emilia Romagna ci racconta il suo programma e la visione per il rugby italiano del prossimo quadriennio
Giovanni Poggiali, 49enne imprenditore romagnolo, è attualmente il presidente del Comitato regionale dell’Emilia Romagna. Un’esperienza da giocatore al CUS Siena negli anni ’90, e poi la lunga carriera da dirigente sportivo in ambito ovale, con la creazione del Romagna RFC, una franchigia che ha unito e rafforzato negli anni il rugby romagnolo. Candidato di “Pronti al Cambiamento” si propone ora, per la prima volta, alla carica di presidente FIR per il quadriennio 2021/2024. Così come gli atri sei candidati, lo abbiamo raggiunto per una chiacchierata in cui ci ha illustrato il suo programma rispondendo alle nostre domande.
In fondo a questo articolo trovate il link per consultare le biografie e programmi completi di tutti i sette candidati, nonché i link per leggere le rispettive interviste che abbiamo pubblicato.
Poggiali, ci spiega cosa sia esattamente PALC?
Un cartello elettorale – nato nel 2016 – in sostegno alla candidatura di Marzio (Innocenti, ndr). All’indomani dell’esaltante, benché perdente cavalcata delle scorsa tornata elettorale, ho proposto di non disperdere lavoro e persone alla base del movimento, dando una struttura a tutto ciò.
Quali sono le motivazioni che la spingono ad impegnarsi con tale enfasi?
Credo valga la pena battersi per migliorare questo sport e che in Italia ci siano delle risorse importanti, ma dobbiamo superare alcuni limiti: creare strutture mentali e culturali per vincere le diffidenze ed essere più onesti con noi stessi ed il nostro vicino, e poi possiamo parlare di numeri. Il rugby ha dei valori importanti, talvolta abusati, ma che sono reali: se li rispetti, ti fanno volare. Se li tradisci, ti affossano.
Quando decisi di lanciare, ormai più di 20 anni fa, il progetto Romagna, mi sarei aspettato che qualcuno della federazione venisse ad ascoltarmi, ed aiutarmi. Invece, si era e si è fermi alla politica del pallone e del nastro tagliato, nulla più. E lo dico con spirito critico, ma senza animosità, ma se questa situazione era insostenibile già nel ’99, figuriamoci nel 2021.
A proposito di cambiamento, entrando subito nel vivo della nostra intervista, nel programma date un vostro punto di vista piuttosto chiaro sulle Zebre, imputando le responsabilità delle difficoltà ai management susseguitisi e lasciando intendere la volontà di modificare il vertice dirigenziale dei ducali…
Alle Zebre – che per non dissipare risorse devono rimanere dove sono – c’è sempre stato, evidentemente, un problema di “managerializzazione”.
Con tutte le attenuanti del caso che si possano accampare valutando la questione, non essere riusciti, in questi anni, a cucire una valida tela ovale proprio lì, nel cuore di un’area che comprende Parma – città di un grandissimo dirigente sportivo italiano come Dondi, seppur mi sia scontrato, anche duramente e più volte, con lui -, Piacenza, Viadana e Reggio è un problema.
I fondamentali di base ci sono tutti, come strutture, territorio ad alto tasso ovale e competenze di alto profilo. Ergo, non hanno funzionato i pool manageriali – senza incolpare i singoli, perché è impossibile fare un’analisi seria in tal senso, visto che è sempre questione di contesto -, soprattutto quelli precedenti all’attuale, che tutto sommato è andato un po’ meglio.
Quindi…
Quindi dovremo cambiare il management, mantenendo invece il contributo attuale. Togliere denari alle franchigie, o togliere addirittura una franchigia, non avrebbe senso: dobbiamo cambiare la qualità, non la quantità delle risorse investite.
Franchigie che stando al vostro programma dovrebbero avere due team di sviluppo.
Due team Under 23, che disputino la Celtic Cup, integrati nelle rose delle franchigie stesse, che supportate – e sospinte – anche dall’allargamento del progetto dei giocatori di interesse nazionale, dovranno avere 60 giocatori, 25 dei quali rientranti sotto la suddetta soglia d’età.
Cambierebbe anche la struttura accademica?
Ci sarebbe la presenza di una sola Accademia Nazionale Under 19, sicuramente non a Remedello, una location “naif”. Stiamo ragionando su quale possa essere il luogo adeguato per la sua sede, di certo non dove è ora.
Con la crescita dei giovani che passerebbe ancor più, quindi, dal territorio….
Abbiamo proposto un vestito nuovo, con la divisione in 8 aree geografiche, più o meno omogenee in termini di numeri, con il recupero dell’attività delle selezioni regionali, il lancio delle selezioni di Area, e l’incentivo ad una collaborazione territoriale tra club.
Otto aree, tutte con la presenza di un ‘area manager’, con stipendio adeguato, accompagnato eventualmente da una segreteria e da altri strumenti. Una voce di costo importante, ma giustificata dal fatto che si sia al cospetto di una persona con competenze di un certo rilievo, in grado anche di ricavare e cavalcare sinergie con le istituzioni, che portino risultati in termini economici, di persuasione e penetrazione sempre più efficace nella testa di chi ci governa. Spesso perdiamo – o non sfruttiamo – risorse perché purtroppo non siamo ‘vicini’ a chi le eroga. Ciò detto, i comitati, regionali per come è strutturata la politica italiana, anche a livello sportivo, continueranno ad avere un importante ruolo di rappresentanza, perciò, a prescindere dalle aree, devono e dovranno rimanere.
Come vede, invece, il massimo campionato?
Anche se è una cosa difficile da dire, soprattutto in campagna elettorale, è evidente come l’attuale politica federale di erogare una percentuale non indifferente del budget a squadre di Top10, che investono in figure dal valore relativo con l’unico obiettivo di vincere uno scudetto, sia una strategia sbagliata. Si tratta di uno spreco, in ottica movimento.
Oggi come oggi, dovremmo avere 8/10 squadre in massima serie, che mi piace chiamare serie A, e 14/16 in seconda serie. Compagini che dovrebbero essere “servite” dalla federazione, non tanto in termini meramente economici, ma con servizi – magari dello stesso valore dell’attuale contributo – di marketing, comunicazione ed altre cose che potrebbero sembrare accessorie ma oltremodo importanti per una società di rugby. Dare ai club un supporto di qualità, in tal senso, regalerebbe loro un forte strumento operativo che, se messo in mano a chi deve andare a chiedere sponsor o aiuti di varia natura, potrebbe permettere di rientrare velocemente dagli investimenti necessari. Solo accompagnare i club in questo senso farà sì che si crei una vera e propria cultura dirigenziale che poi potrà portare alla nascita di una lega.
A proposito di squadre, come è composta la vostra?
Premessa: squadra è la parola chiave.
Io non ho un cursus honorum classico da presidente federale, ma quando nessun altro voleva metterci la faccia, ho deciso di metterci la mia. Posso portare le esperienze e le competenze maturate nella mia storia di imprenditore: valutazioni di uomini – credo molto nella delega -, strutture e situazioni, conoscenza di statuti e abilità nel capire come, quando e dove intervenire operativamente. E quando ho avuto la certezza di avere una grande squadra con me ho accettato con entusiasmo ed energia questo impegno.
Nel team, ci sono due consiglieri attuali: Roberto Zanovello, che è stato anche osteggiato – in virtù di normative discutibili – uomo di più grande esperienza del team che viene dal CUS Padova, ed Erika Morri, che rappresenta il mondo femminile e la zona padana. Hanno combattuto grandi battaglie, ma sempre con grande senso di responsabilità – dando l’ok, ad esempio, all’approvazione di bilanci, soprattutto in questo momento così particolare – e facendo proposte, cosa inusuale all’interno di una federazione, dove spesso, i consiglieri dell’opposizione vengono visti quasi come nemici, e non come dice il nome, appunto, consiglieri del presidente.
Poi, Franco Tonni, per l’alto livello, persona in cui riscontro grande competenza e carattere straordinari, fondamentali per dare una sterzata alla situazione attuale. L’avvocato Biasiolo, che ha dato una grande mano ai club sul territorio, mostrando abilità lavorative e dedizione per la causa, il commercialista Emanuele Lusi, della Primavera Rugby, dotato di straordinaria capacità di analisi del bilancio e Francesco Urbani, aquilano che è diventato nel tempo anche un amico personale, con dote speciale nel trattare tutto ciò che concerne il mondo del rugby di base. Senza di lui, il progetto Romagna, ben scritto e formato sulla carta, non si sarebbe mai potuto implementare nella realtà.
Infine, il presidente Riccardo Roman, che non viene dal rugby, ma che si è preso sulle spalle l’associazione. Una persona capace di mediare e tenere unito un gruppo come il nostro – composto da una ventina di elementi – che presenta diversi caratteri forti. Ad ogni modo, poi, abbiamo a disposizione – più o meno indirettamente – anche una serie di figure arbitrali, del mondo femminile.
Entrando nel merito elettorale, come vede la situazione con così tanti candidati?
La presenza di sette candidati crea scompiglio in chiunque abbia la responsabilità di votare. Questo numero alto di papabili presidenti può sembrare, superficialmente, un arricchimento, ma il rugby italiano non è fatto da centomila teste pensanti con voglia e desiderio di investire tempo ed energie.
Sarebbe irragionevole pensare che ognuno dei candidati non si fermi un attimo a riflettere, chiedendosi come ricomporre questo puzzle tanto variegato, perché così rischiamo di andarci a schiantare, comunque vada a finire la votazione.
Quindi non esclude la possibilità di accordi…
Bisogna che si parli tra di noi: siamo tutti sulla stessa barca, e siamo, allo stesso tempo, tutte persone abbastanza sagge e ragionevoli. A volte è la mancanza di conoscenza personale che fa venir meno la possibilità dell’apertura ad un giusto compromesso. Farò sicuramente le mie telefonate per capire fino in fondo il panorama generale. Così, allo stato attuale, si rischia il flipper, la spaccatura, ed una serie di amarezze postume. Per dirla alla romanesca, non sono un ‘inciuciatore’ di natura, mi piace la battaglia, la lotta per i propri ideali e principi e fatico, spesso, a trattenermi in tal senso, ma trovo del tutto irragionevole non provare a mettere insieme i pezzi del frastagliato mosaico che ci si presenta. E’ del tutto evidente, ad ogni modo, che c’è una sola candidatura con la quale non potremo sederci al tavolo assieme, quella del Presidente uscente. Sul resto, non c’è preclusione per nessuno. Dobbiamo ancora vedere nel dettaglio alcuni degli altri programmi, ma alcuni, come quello di Saccà, hanno dei principi che vengono incontro alla nostra linea. Poi bisogna sempre capire la sostanza delle persone…
Le biografie e i programmi completi dei sette candidati alla presidenza FIR sono consultabili a questo link.
Leggi anche: intervista a Gianni Amore – intervista a Elio De Anna – intervista ad Alfredo Gavazzi – intervista a Marzio Innocenti- Intervista a Nino Saccà – Intervista a Paolo Vaccari
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