Elezioni presidenziali FIR 2021: Intervista al candidato Paolo Vaccari

Il 50enne architetto bresciano ci racconta il suo programma e la sua visione per il rugby italiano del prossimo quadriennio

Paolo Vaccari candidato alla Presidenza Federazione Italiana Rugby per Italia Rugby 2030.

Paolo Vaccari candidato alla Presidenza Federazione Italiana Rugby per Italia Rugby 2030.

Paolo Vaccari, 50enne architetto bresciano, è attualmente consigliere federale. Un’esperienza straordinaria da giocatore, tra Calvisano e Nazionale azzurra, tra anni ’90 e primi ’00, e poi la lunga carriera da dirigente sportivo in ambito ovale, con l’ingresso in Consiglio Federale -in quota giocatori-, poco dopo il 2000. Candidato di “Italia Rugby 2030” si propone ora, per la prima volta, alla carica di presidente FIR per il quadriennio 2021/2024Così come gli atri sei candidati, lo abbiamo raggiunto per una chiacchierata in cui ci ha illustrato il suo programma rispondendo alle nostre domande.

In fondo a questo articolo trovate il link per consultare le biografie e programmi completi di tutti i sette candidati, nonché i link per leggere le rispettive interviste che abbiamo pubblicato.

Vaccari, la prima cosa che farebbe dopo l’eventuale vittoria?

In tutte le professioni, si va sempre di più verso una specializzazione, persino esasperata, dei ruoli. E’ necessario avere singoli competenze specifiche e dettagliate, adeguate ad ogni ambito della federazione. Innanzitutto, dobbiamo dotarci di un direttore generale, che sia in grado di gestire al meglio tutte le attività di amministrazione, marketing e commerciali, e di un nuovo Director of Rugby straniero, perché non vedo figure italiane attualmente in grado di assumere quella carica con efficacia.

Come vedrebbe il suo ruolo in caso fosse eletto presidente federale?

Io dovrò coordinare le risorse, anche umane. Credo di poter affermare di avere avuto una belle carriera da giocatore e, come dirigente, di aver maturato una buona esperienza tra commissione della gestione impianti e credito sportivo, ma onestamente non sarò io colui il quale dovrà scegliere un coach per la nazionale o decidere altre questioni in ambiti specifici. Toccherà farlo alle persone con la competenza specifica nel settore in questione.

Le competenze sembrano essere una parola ed un concetto a cui tiene molto…

Competenze, professionalità, programmazione e lavoro di squadra: sono per me quattro punti chiave. Ah, quando parlo di squadra, vorrei potermi riferire alla “squadra Italia”, rimettendo tutti sulla stessa lunghezza d’onda, con un unico obiettivo. Pare utopico – visto i recenti dissidi -, ma io ci credo realmente. Nel mio percorso, ho dimostrato di aver sempre creduto nel progetto del Italia: anche da giocatore, giusto per fare un esempio, ho avuto diverse possibilità di andare a giocare in club esteri dove avrei sicuramente guadagnato di più, non solo economicamente, ma ho sempre concepito il rugby come passione e divertimento, nonché motivo di realizzazione, tra progetto del club e della nazionale.

Per risollevare il movimento, si parte dal vertice o dalla base?

Credo siano due temi entrambi fondamentali. Vorrei che l’Italia tornasse a vincere nel Sei Nazioni il prima possibile, perché è da lì arrivano i fondi economici che possiamo immettere di riflesso nel rugby di base. Sul quale, però, va fatto un lavoro di qualità, con altrettanta attenzione. Di certo, in questi ultimi anni c’è stato un netto scollamento tra base ed alto livello: è mancato un confronto di livello sufficiente tra federazione, comitati e società. Questo è l’aspetto della gestione attuale su cui mi trovo maggiormente in disaccordo, attorno al quale ritengo sia necessaria una svolta.

Come si può fare?

Serve un cambio di passo. Dobbiamo dare risorse di un certo tipo ai club: economiche, sicuramente, ma anche e soprattutto risorse “umane”, per aumentare formazione e competenze degli staff tecnici e dirigenziali delle varie società. Se fai crescere e gestisci bene la base, puoi raccogliere tantissime risorse sul territorio. Con progetti tecnici, sportivi, ma non solo; faccio un esempio: anche i progetti legati all’inclusività del nostro sport sono importanti e bisogna svilupparlo e saperli portare avanti. Bisogna capire che per diverse aziende, e anche per pubbliche amministrazioni, legarsi a certe situazioni è motivo di prestigio e questo può portare valore aggiunto al nostro sport in termini economici ma anche di visibilità.

Andando sul pratico: come si fa aumentare formazione e competenze?

Mandando persone, formate da FIR, in giro per i club, con lo scopo di formare altre persone. Vi garantisco che c’è tantissima gente con voglia, risorse ed entusiasmo, in giro per il nostro paese ovale, che ha solo bisogno di essere instradata e aiutata in un percorso professionalizzante. Gente che con un certo tipo di percorso alle spalle, sospinto anche dalla federazione, può restituire moltissimo al movimento.

Capitolo Zebre, domanda che abbiamo fatto a tutti i candidati. Lei cosa ne pensa?

Ho sempre creduto nell’importanza del discorso franchigie, perché sia da giocatore che da dirigente ho maturato la convinzione che sia opportuno poter avere in gestione il tuo patrimonio di giocatori. Sia chiaro, qualcosa è mancato, perché non siamo ancora riusciti a creare delle situazioni “intriganti” come all’estero. Fatto dovuto anche a budget inferiori, ergo, dobbiamo essere capaci di trovare nuovi introiti. Entrando nel dettaglio delle Zebre: vorrei fossero una franchigia stile Benetton, privatizzata, con aiuto FIR. E che entrambe le squadre poi – con l’aiuto di professionisti di settore – riescano a crescere nella capacità di attrarre nuove risorse, passando attraverso la costruzione di un’immagine ad hoc, che sia realmente efficace e che generi sempre più interessi nei loro confronti.

E del Top10 che pensa?

La sua funzione non è definita, oggi come oggi: dobbiamo chiarirla. Penso che debba e possa nascere una lega di club, a patto che sia sostenuta dalla federazione nei primi anni. Sempre che, però, ci sia una certa voglia di collaborazione da parte delle società coinvolte, cosa che negli ultimi anni è mancata. Di certo, dovrebbe nascere un settore commerciale, anche in questo caso sospinto almeno inizialmente da FIR, in attesa che i club strutturino un loro sistema, che metta un bel “vestito” – coerentemente ai valori proposti in tal senso anche per le franchigie – al Top10, migliorandone la potenzialità attrattiva.

Venendo al capitolo elettorale, cosa ne pensa del fatto che si siano 7 candidati?

Vedremo quanti presenteranno realmente la candidatura in assemblea generale e poi faremo dei ragionamenti. E’ talmente una situazione confusa che non voglio fare considerazione per ora. Per quanto mi riguarda, scendo in campo mettendo a disposizione del movimento tutto il mio amore per il rugby e l’esperienza maturata in questi anni.

Come è nata l’idea della candidatura?

Dopo la presa di coscienza, maturata in anni, che si possa fare meglio.

Ho parlato in consiglio più di un anno fa con Alfredo (Gavazzi ndr) della mia volontà di fare il presidente. Avevo una visione diversa di gestione, rispetto a quella che stavo vivendo. Dicono che non sono “nuovo”, ma io penso che uno possa rinnovare ed innovare solo avendo la giusta conoscenza del funzionamento di una cosa. La mia visione di “Una squadra con tutti più forti di me”, ovvero con team di persone competenti e in grado di decidere ognuna nella propri sfera di competenza, cozza con la gestione attuale.

Vede comunque accordi possibili?

Rispetto le idee di tutti – tengo a sottolineare che non sono in contrasto con nessuno -, ma voglio portare avanti le mie convinzioni. Punto a prendere il 51% (sorride, ndr). Sarebbe una delusione per me se così non fosse.

Le biografie e i programmi completi dei sette candidati alla presidenza FIR sono consultabili a questo link.

Leggi anche: intervista a Gianni Amore – intervista a Elio De Anna – intervista ad Alfredo Gavazzi – intervista a Marzio Innocenti – intervista a Giovanni Poggialiintervista a Nino Saccà

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