Una fotografia del nostro movimento con uno sguardo particolare sulle squadre under
Il numero totale delle società affiliate alla Federazione Italiana Rugby è attualmente di 528.
La regione che vanta più club in assoluto, 90 società, è la Lombardia (che è anche la più popolosa d’Italia con oltre 10 milioni di abitanti). Segue il Veneto con 77 che risulta però essere la regione con il maggior numero di club in rapporto alla popolazione (avendo circa 5 milioni di abitanti). Poi il Lazio con 59 società, l’Emilia Romagna con 52, la Toscana con 45, il Piemonte con 36 e la Sicilia con 22. All’ottavo posto pari merito, con 20 club affiliati, troviamo: Campania, Marche e Puglia. Dietro a queste prime dieci regioni, a quota 17 società, Abruzzo, Liguria e Friuli Venezia Giulia che, con i suoi 1.2 milioni di abitanti, è secondo dietro al Veneto nel rapporto numero di club/popolazione. Troviamo poi l’Umbria a 11, la Sardegna a 9, il Trentino Alto Adige a 7, la Calabria a 4, le Basilicata a 3, il Molise e la Valle d’Aosta con 1 sola società.
Questi dati, che forniscono una geolocalizzazione del nostro rugby, sono ricavati da un documento presente sul sito FIR e relativo alla tabella dei voti per elezioni federali che si terranno il prossimo 13 marzo.
Prima di provare a fare qualche considerazione va necessariamente e doverosamente specificata una cosa fondamentale: i numeri che stiamo considerando si basano sul numero di società di rugby presenti sul territorio che non necessariamente hanno un rapporto diretto con il numero dei tesserati e dei praticanti. Per capirci meglio: Puglia e Marche hanno lo stesso numero di club (17) ma, come si evince anche dal numero di voti assegnati ai club delle due regioni nel documento federale, risulta che le società marchigiane hanno più squadre/categorie iscritte ai vari campionati e di conseguenza (ma solo con molta probabilità) più tesserati rispetto a quelle pugliesi. Possiamo quindi ragionare su dove il rugby sia più o meno diffuso ma non, se non in modo empirico, su quanto.
Le tre macro aree: nord – centro – sud
Dividendo la penisola in tre macro aree si evidenza come – per diverse ragioni di tradizione, radicamento, ma forse anche di strutture – il rugby abbia una diffusione nettamente maggiore al nord, ma anche al centro, rispetto al sud del Paese. Vediamo però con quali numeri e rapporti.
Considerando infatti Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia, Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia in cui risiedono oltre 23 milioni di abitanti le società sono in totale 297, ossia circa 1 ogni 77mila e rotti abitanti. Con il Veneto, come già detto precedentemente a fare da capolista, con 1 club ogni 64 mila abitanti circa.
In centro Italia (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Marche e Sardegna) a fronte di una popolazione di 18 milioni di abitanti le società di rugby sono 153 ossia una ogni circa 117 mila persone. Diffusione che cala drasticamente nelle regioni del sud (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia) dove per oltre 19 milioni di abitanti si registrano 78 società ossia 1 ogni 246 mila abitanti, quindi più di due terzi in meno rispetto al nord.
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Uno sguardo all’attività giovanile
Nel documento ci sono anche altri numeri interessanti che ci aiutano ad offrire una fotografia (seppur sommaria lo ribadiamo) del rugby in Italia. In particolare nell’ambito delle categorie giovanili.
Le società che hanno almeno una formazione nella categoria Under10 risultano infatti essere le più numerose, ben 331, mentre quelle che schierano gli Under 8 sono solo leggermente meno, 320. A livello di U12 e di U14 il dato, identico per entrambe le categorie, scende però a 232 club. Questi significa che quasi un terzo delle società, nel salto tra U10 e le due categorie di età superiori, non schiera più una squadra. Nel passaggio successivo, ossia da U14 a U16 (dove ci sono 185 società attive), il calo è invece già più contenuto essendo meno del 20%. Trend in ulteriore ribasso (13%) a livello di Under18 dove restano ben 165 le società che hanno una formazione nell’ultima categoria delle giovanili.
In sostanza quello che salta più all’occhio è che il calo (in gergo chiamato drop-out) più evidente del numero di squadre avviene nella fascia dei dieci/undici anni.
Un calo, che è comunque fisiologico e che si registra anche in tutti gli altri sport. A partire dal calcio dove, come emerge dal “report calcio ‘19” che abbiamo trovato sul sito FIGC, il drop-out dei tesserati (che lo ribadiamo non è perfettamente paragonabile alle squadre) segue più o meno la stessa curva per tutto il percorso under, sebbene con percentuali un po’ più basse. Differenza di percentuali (intorno al 5/6%) che è giustificabile, a nostro avviso, dal fatto che in uno sport di contatto come il rugby, oltre alle motivazioni che portano ad abbandonare una qualsiasi disciplina sportiva, possa influire il fattore “paura degli infortuni” (soprattutto nei genitori).
Oltre a lavorare all’allargamento della base, obbiettivo sicuramente fondamentale ma su cui ci scontra con la “concorrenza” di tutte le altre discipline, andrebbe posta un’attenzione particolare anche per arginare al massimo l’abbandono da parte di chi è già entrato in contatto col nostro mondo, puntando su una maggiore educazione e informazione ai ragazzi e alle loro famiglie e sulla capacità intrinseca (e “unica”) del rugby di creare e far trovare un ambiente positivo, accogliente, educativo.
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