Italia, Franco Smith: “Stiamo costruendo una cattedrale dando le giuste opportunità ai giovani”. E su Minozzi…

Il ct dell’Italia traccia la via per il prossimo Sei Nazioni e per un futuro a medio-lungo termine. Insieme a lui anche Luca Bigi

Italia Franco Smith

Il ct dell’Italia Franco Smith mentre risponde in conferenza alle domande dei giornalisti (ph. Sebastiano Pessina)

La marcia di avvicinamento dell’Italia di Franco Smith al Sei Nazioni 2021 è ufficialmente iniziata. Con la conferenza stampa di presentazione del torneo, nella quale sono intervenute anche le istituzioni (fra cui il presidente del CONI Giovanni Malago, la sindaca di Roma Virginia Raggi e il presidente della FIR Alfredo Gavazzi), il ct azzurro – accompagnato dal capitano della squadra Luca Bigi – ha fatto capire, rispondendo alle domande della stampa, come l’Italia affronterà l’imminente inizio della kermesse.

L’head coach ha spaziato su vari argomenti, dalla costruzione del gruppo alla vicenda Minozzi, mentre lo skipper azzurro ha spiegato ai giornalisti come si vive nella bolla e quali sono le aspettative verso l’esordio, fissato per il 6 febbraio, contro la Francia

Qui Italia, Franco Smith: il roster giovane, il futuro verso il 2023, poi Minozzi e Parisse
“In un anno – ha esordito il ct – sono successe tante cose per noi, che siamo partiti con un ciclo dove volevamo immettere nuove idee, nuovi elementi e un nuovo stile di gioco. Dopo le prime tre partite del Sei Nazioni, il torneo e il mondo si sono dovuti fermare. Alla ripartenza, poi, abbiamo avuto una nuova ed entusiasmante opportunità: quella di trascorrere insieme un lungo periodo per completare il torneo e giocare l’Autumn Nations Cup.
Questo ci ha consentito di lavorare ancora meglio su noi stessi aiutandoci fra l’altro, vista la ripetitività degli avversari, a portare dei termini di paragone rispetto a quanto fatto a febbraio e poi a novembre. Siamo cresciuti sotto tutti i punti di vista, con vari innesti in un gruppo che ha molti elementi giovani ma che hanno già dell’esperienza internazionale: è vero, sappiamo che il benchmark ce lo danno le altre ma sappiamo anche che abbiamo un gruppo più pronto a tornare a lottare e quello che di quest’anno non sarà un restart ma la prosecuzione di un determinato percorso”.

Sulla questione di una rosa giovane e con poca esperienza: “In questo momento vedo il mio lavoro come quello del costruttore di una cattedrale. L’obiettivo è quello di portare l’Italia a vincere in due/tre anni. Quando sono arrivato qui, sapevo quello che mi aspettava: dopo la Rugby World Cup era inevitabile pensare a un ricambio generazionale e vi dico che questa è una cosa di cui avevo discusso anche con Conor O’ Shea. La domanda che in molti ci hanno posto è stata: come possiamo finalizzare le buone prestazioni delle nostre Under 20 affinché arrivino sulla scena internazionale? La risposta che posso dare io è quella di fornire opportunità e aprire una strada per i tanti ragazzi che sono in nazionale adesso, cosìcché possano acquisire esperienza e diventare dei nuovi riferimenti come lo sono stati Parisse, Zanni, Ghiraldini e Lo Cicero.
Se dovessero esserci poi tante assenze in alcuni ruoli continueremo a battere il tasto sui giovani: ogni volta che pensiamo al poter chiamare un “vecchietto” in nazionale – ammette Franco Smith facendo una battuta – blocchiamo la potenziale crescita di un giovane. Dobbiamo essere coraggiosi e devo essere io il primo a fare questo, altrimenti poi diventa difficile chiederlo ai ragazzi”.

Sul “caso” Minozzi: “Prima di tutti ci terrei a sottolineare il fatto che fra me e Minozzi non c’è alcuna frizione. Durante l’ultimo periodo di gioco vissuto insieme, quello a cavallo fra il Sei Nazioni e l’Autumn Nations Cup, lui ci aveva già raggiunto leggermente dopo, perchè stava disputando i playoff di Premiership con i Wasps, e nel confronto che avevo avuto con lui mi aveva detto di soffrire un po’ la dimensione della bolla.
Al netto di tutto questo, e anche di quello che è venuto fuori da Marler, vorrei far capire a tutti che il mondo è cambiato e che anche il rugby e i suoi protagonisti si devono adeguare: quello che viviamo oggi è meno “confortevole” rispetto a quello a cui eravamo abituati, ma se ripensiamo ai tour di tanti anni fa troviamo testimonianze di giocatori non professionisti che si muovevano in nave e non vedevano le famiglie per mesi.
La bolla crea scomodità, non possiamo non riconoscerlo. Ed è per questo che ho il massimo rispetto per la scelta onesta di Minozzi che mi ha fatto capire di non riuscire a esprimersi al massimo in questa dimensione: mi ha detto che ha bisogno di tempo per riprendersi e adattarsi. Ciò non vuol dire che per lui la porta della nazionale sia chiusa, soprattutto dal punto di vista umano: qui abbiamo bisogno di tutti, abbiamo bisogno di vincere e abbiamo bisogno dei migliori giocatori.
Ciò detto, proviamo a vedere il lato positivo della cosa anche in questo caso: ci saranno nuovi giocatori che proveranno a indossare la maglia da estremo e che saranno chiamati ad acquisire esperienza e ad aumentare il loro valore. Una cosa questa che, quando Minozzi rientrerà, aumenterà la competizione nel ruolo.
Ogni giocatore che può indossare la maglia azzurra è sempre nei nostri pensieri, ma adesso oltre a questo possiamo dire di aver creato un gruppo d’interesse nazionale che, insieme alle franchigie, condivide un progetto portandolo avanti, senza dimenticarci di chi come Minozzi stesso è importante anche in una realtà diversa”.

Sulla possibilità di chiamare Parisse visti i vari infortuni in terza linea: “Se lo chiamassi in questo momento – chiude il ct dell’Italia Franco Smith – sconfesserei quanto vi ho detto finora, rispetto al progetto. Il fatto che Steyn e Polledri siano assenti come possibili numeri 8, ci consente di provare Lamaro, Negri, Mbanda o Meyer: dobbiamo sviluppare. Gli infortuni fanno parte del gioco, non possiamo pensare di arrivare al 2023 con solo 23 giocatori competitivi a livello internazionale, ce ne servono 55. Cominciamo a farlo dal Sei Nazioni, che però non dev’essere solo il momento dello sviluppo ma anche dell’esecuzione e delle vittorie”.

Qui Italia, Luca Bigi: i muscoli del capitano. La vita nella bolla.
“La bolla è una dimensione con la quale, adesso, abbiamo preso più confidenza, anche se non è semplice. Stiamo cercando di sfruttarne i lati positivi, come ad esempio quello del maggior affiatamento sia dentro sia fuori dal campo, per non disperdere i sacrifici che il gruppo-squadra sta facendo per tutti gli aspetti possibili, fra cui anche quello di dover rinunciare al contatto con le famiglie. Come passiamo il tempo? Includendo ovviamente l’allenamento come programma base, e tutto quello che ruota intorno alle sedute sul campo o in palestra, il resto fa tutto parte di una dimensione più ludica e tranquilla in hotel: c’è chi gioca a carte, chi a biliardino, chi si guarda dei film, chi invece ne approfitta per studiare. E’ ovvio poi che quando ci sono le partite dei nostri club, ma non solo, ne approfittiamo per guardarle in una sala-video”.

“Abbiamo un gruppo giovane: è vero, non ci sono più i giocatori che hanno caratterizzato il periodo precedente (riferimenti a Zanni, Parisse e Ghiraldini, ndr), ma abbiamo voglia di far vedere e di dimostrare tanto dal nostro punto di vista”.

“La Francia al debutto? E’ una squadra super competitiva. Sappiamo cosa ci aspetta. Sono una formazione molto organizzata, che sa alternare giocate al largo e cariche degli avanti nello stretto. Con loro ci abbiamo giocato due volte nel 2020 e questo ci ha permesso di capire un po’ di più dove dover e poter migliorare le cose. Ci servirà consistenza, ma non vediamo l’ora di ospitarli nella prima partita di questo Sei Nazioni”.

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