Il sistema di formazione dei giovani scozzesi non sta funzionando a dovere, dicono alcuni
Uno dei temi costanti del rugby scozzese nell’era professionistica è stata la continua promessa da parte dei vertici federali di una formazione efficace dei giovani, e l’altrettanto continuo fallimento nel raggiungere tale risultato, scrive il blog specializzato The Offside Line.
L’appropriata crescita dei giovani talenti è un tema centrale anche in Italia, dove da più di un decennio si discute di accademia sì, accademia no, accademia come. Vale la pena affacciarsi in Scozia, forse il movimento che per numeri globali assomiglia di più a quello italiano, per analizzarne comuni punti di forza e debolezze e per avere gli elementi di base per offrire un raffronto.
In Scozia il sistema federale prevede quattro accademie regionali e prende in considerazione i giocatori di età compresa fra i 14 e i 20 anni. La formazione è divisa in tre gradi: gli stage 1 e 2 selezionano i migliori talenti a livello regionale e nazionale, quindi lo stage 3 si occupa della formazione dei giovani di èlite, mettendo sotto contratto gli atleti con la federazione e affiliandoli a una delle franchigie di Pro14.
Nel 2020/2021 90 giovani rugbisti sono stati selezionati per gli stage 1 e 2, mentre in 30 hanno ricevuto un contratto per lo stage 3.
Nei suoi 4 anni da capo allenatore, il CT scozzese Gregor Townsend ha fatto debuttare dal 2017 ad oggi 32 giocatori con la maglia della nazionale.
Di questi, meno della metà (15) sono passati dal programma di formazione scozzese, mentre 17 sono stati formati all’estero. Numeri inferiori a quelli che ci si potrebbe attendere dal programma.
“La mia priorità è sempre quella di sviluppare e produrre giocatori cresciuti in Scozia – ha detto Jim Mallinder, l’inglese che ha assunto il ruolo di director of rugby della Scottish Rugby Union – Abbiamo bisogno che la maggior parte dei giocatori passi attraverso il sistema. Quindi guarderemo in seconda analisi ai giocatori eleggibili per la Scozia, che è un altro nostro interesse.”
“Dobbiamo dare ai nostri allenatori la possibilità di mantenere competitive le nostre squadre. Con due sole squadre professionistiche, quando abbiamo sovrapposizioni con gli impegni internazionali perdiamo un sacco di giocatori. Uno potrebbe dire: buttiamo dentro dieci giovani scozzesi, ma gli allenatori sono qui per vincere qualcosa. Vogliono vincere, si vogliono qualificare per l’Europa.”
“Noi vogliamo squadre vincenti. Vogliamo vincere e vedere la Scozia vincere.”
Secondo The Offside Line, le dichiarazioni di Mallinder negano in parte le storture presenti nel sistema. Talenti come il pilone Zander Fagerson o Scott Cummings, per citare due esempi di giocatori passati per una delle quattro accademie regionali fondate dalla federazione con la montagna di soldi ricevuta nel 2014 dai diritti televisivi ceduti a BT, sarebbero emersi comunque: sono altri i giocatori a cui serve aggiungere quel qualcosa in più per trasformarli da buoni giocatori a ottimi professionisti con la possibilità di diventare atleti internazionali.
I principali problemi sarebbero la mancanza di intensità e il livello troppo basso delle competizioni a cui partecipano i giovani scozzesi fra i 16 e i 18 anni, gli scarsi fondi di cui godono le accademie e la poca fiducia accordata ai giovani più talentuosi dalle franchigie di Pro14.
Il declino del sistema giovanile scozzese traspare anche dai risultati della nazionale under 20: dopo l’ottimo quinto posto del 2017, ai mondiali di categoria sono arrivati un decimo posto nel 2018 e l’ultimo nel 2019, con la retrocessione nel Trophy. Il Sei Nazioni giovanile li ha visti ultimi classificati nelle edizioni degli stessi anni, mentre nel 2020, prima dell’interruzione, avevano ottenuto due inaspettate vittorie in tre partite, compresa una contro gli Azzurrini a Reggio Emilia (29-30).
Se è vero che la Scozia è riuscita comunque a produrre notevoli talenti negli ultimi anni (Adam Hastings, George Horne, Blair Kinghorn, Darcy Graham), sul lungo periodo una produzione quantitativa così ridotta potrà diventare un problema sempre crescente: la possibilità di attingere da risorse formate all’estero non sarà sempre infinita.
Lorenzo Calamai
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