L’ex capitano azzurro ha parlato del suo addio internazionale e degli azzurri, sul sito ufficiale del Six Nations
L’addio di Leonardo Ghiraldini al rugby internazionale, ufficializzato nelle scorse settimane dall’ex Tolosa, non è passato inosservato sul pianeta Ovalia, con diversi grandissimi – ed innumerevoli appassionati – del mondo del rugby che hanno pagato il loro tributo al tallonatore da 107 presenze (e 17 da capitano) in azzurro, tra complimenti per i traguardi raggiunti ed auguri per la futura carriera extra-campo, anche se in realtà non ha ancora annunciato l’addio definitivo all’agonismo.
Una decisione, quella di fermarsi appena compiuti i 36 anni, poche settimane dopo il ritorno in azzurro, in Autumn Nations Cup, per niente semplice, giunta al termine, però, di una riflessione oculata e razionale.
“Non è stata una decisione facile, ma rispetto la maglia e ho sempre fatto tutto il possibile per l'”azzurro” e per l’Italia. Non volevo finire la mia carriera come un giocatore attempato che cammina per il campo. Quando ho avuto nuovamente l’opportunità di giocare al massimo livello, mi sono reso conto fosse quello il momento adatto per chiudere la mia esperienza in Azzurro” – ha raccontato, con grande onestà in una lunga intervista al sito del Sei Nazioni, Ghiraldini, che si è goduto ogni istante degli ultimi suoi passi internazionali -. “Dopo gli sforzi fatti per tornare in campo, lasciando da parte anche il rugby di club, quando sono tornato in gruppo al Mondiale (dove il tifone ne impedì l’utilizzo nella sfida contro gli All Blacks, ndr), e poi in campo in ANC, mi sono goduto ogni minuto delle ultime partite, ma in carriera ho sempre detto che mi sarei fermato avendo ancora le gambe e la mente giusta per continuare”.
Il ritorno
Un ritorno in campo, a 19 mesi dal duro infortunio patito all’Olimpico contro la Francia, nel Sei Nazioni 2019, reso possibile anche grazie alla fiducia incondizionata riservatagli dal nuovo head coach Franco Smith, che in autunno ha puntato sul carisma, sulla leadership by example e sull’esperienza dell’allora 35enne Ghiraldini, nonostante la lunga assenza da una partita ufficiale.
“Devo ringraziare lo staff e soprattutto Franco Smith. Si è preso la sua responsabilità, di riportarmi nel gruppo, quando non avevo un club e non giocavo da 19 mesi. Tornare in campo a livello internazionale dopo due anni, è stato fantastico. difficile ma fantastico. Ho cercato di aiutare la squadra dentro e fuori dal campo”, ha spiegato Ghiraldini, dando poi la sua chiave di lettura su cosa manchi in questo momento agli azzurri per tornare a sorridere nel torneo.
Mentalità vincente
Azzurri a cui attualmente manca la sana abitudine alla vittoria: “I risultati recenti non buoni devono spingere tutti a migliorare, perché non siamo abbastanza bravi. A volte siamo davvero vicini alla vittoria, ma alla fine abbiamo perso perché manca la mentalità giusta. Non siamo abituati a vincere spesso: questa mancanza di confidenza con il successo proviene dalle stagioni con i club, dove non si vince abbastanza. Se hai una mentalità vincente lì, puoi portarla in Nazionale. È qualcosa su cui dobbiamo lavorare sodo, e che non arriverà in un battibaleno. Di certo, partite come quella contro la Scozia (in ANC) sono il tipo di battaglia che devi vincere per poter andare avanti”.
Leader giovani, o giovani leader?
Percorso di crescita che passerà anche dall’acquisizione, da parte dei nuovi elementi chiave del gruppo, come – su tutti – la talentuosa mediana Varney-Garbisi, di un’importante leadership, che sappia convogliare nella giusta direzione tutte le risorse umane – e contestuali energie a disposizione sul campo – nella giusta direzione. “Negli ultimi anni, gli under 20 hanno avuto buoni risultati. Il momento di passaggio è molto importante: in Francia i ragazzi che hanno vinto a livello giovanile sono stati subito coinvolti in Top14. Ho giocato con alcuni di loro a Tolosa e Bordeaux e sono subito a loro agio a giocare ai massimi livelli. Anche se i nostri giocatori sono giovani, devono assumersi le loro responsabilità. Al momento ci manca un po’ di leadership nel gruppo. Anche se hanno 20 anni, non dovrebbero aver paura di guidare il team. Se sono un buoni giocatori e hanno la capacità per farlo, devono farlo, come fatto in passato anche da gente come Marco Bortolami o Sergio Parisse”, ha spiegato senza peli sulla lingua Ghirladini, auspicandosi che riescano a farlo, nel concreto, il prima possibile.
“Devono diventare uomini adesso, perché è quello che ti chiede il rugby internazionale e lo sport in generale. Devono assumersi questa responsabilità perché il futuro è adesso. Tutti devono fare un passo avanti in termini di leadership “.
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