Nel 2013 Parisse e compagni vennero a capo di un incontro ad un certo punto troppo simile a tante sconfitte.
Il 17 marzo del 2013 gli Azzurri colsero una vittoria storica sull’Irlanda, al termine di una partita che ad un certo punto sembrava stregata. L’Anonima Piloni vi racconta di quel pomeriggio di sole, uno degli ultimi tinti di azzurro.
Quando Antonio Pavanello si libra in volo e intercetta la palla lanciata dagli irlandesi ce lo siamo detto in tanti, “forse questa è la volta buona”. Forse stavolta si entra davvero nella storia, ripetendo sì le due vittorie già ottenute nel 2007, ma con la sensazione che stavolta il salto di qualità sia arrivato per davvero. Perché è vero, battere la Francia all’Olimpico dopo ottanta minuti in cui abbiamo sbagliato poco è un grandissimo risultato e in altri anni basterebbe per dare un senso a carriere, generazioni e stagioni storte.
Ma se lo stesso gruppo riesce a venire a capo di un incontro in cui ad un certo punto sembra di essere davanti al solito film già visto (grande prima parte di gara e sorpasso avversario nel finale), davanti ad una prestazione buona ma non leggendaria, ecco, forse è veramente la volta buona in cui si cresce davvero.
E dire che l’Irlanda, a febbraio, la vedevamo da distante. Difficile ad inizio torneo pensare ad una nostra vittoria contro O’Driscoll e compagnia cantante. Non dopo quel primo tempo al Millennium Stadium, quaranta minuti in cui i verdi misero pesantemente in imbarazzo il Galles campione in carica. No, pensavamo alla Scozia, alla Francia al debutto, ma non a quel tipo di Irlanda.
Il Sei Nazioni, però, dura quasi due mesi, ed è difficile tenere lo stesso ritmo per tutte quelle settimane. Soprattutto se, ad un certo punto, sfortuna e alcune controprestazioni cominciano a bersagliare il gruppo. Perdono a Dublino contro l’Inghilterra, e ci può stare. Ci sta molto meno perdere a Murrayfield, non in quel modo, non da squadra che non si aspetta il ritorno di un avversario mai famoso per arrendersi facilmente. E poi il pareggio con la Francia, apparsa povera di idee per tutto il torneo. Si fermano per strada Sexton, D’Arcy e Zebo, un eroe decorato come Ronan O’Gara mostra contro la Scozia di essere un giocatore sul viale del tramonto. A Roma arriva una squadra che ha smarrito tante certezze e in cambio ha trovato solo cerotti e sconfitte, non un gran viatico nemmeno se il calendario dice che è San Patrizio.
Hanno vinto la prima, proprio come noi.
Cercano la seconda vittoria, proprio come noi.
Già, noi.
Ci eravamo illusi, dopo la vittoria contro la Francia. Una partita quasi perfetta, con una difesa piavesca e due mete da contrattacco, con un Orquera mai visto così in azzurro e una prestazione corale da leccarsi i baffi.
Certo che parti da favorito, contro la Scozia vista al debutto a Twickenham, troppo brutta per essere vera.
Solo che in Scozia facciamo tutto quello per cui siamo famosi: falliamo la prova del nove. E ci facciamo malissimo, subendo un’umiliazione che riporta coi piedi ben piantati per terra. Ad aggravare la situazione a Sergio Parisse viene comminato un cartellino rosso che ha del farsesco: l’arbitro Cardona sente un insulto in inglese, si gira ed espelle il capitano. Che parla di default francese, italiano e spagnolo, e che per controbattere non avrebbe bisogno di usare la lingua di Shakespeare. Fanno due settimane di squalifica, poi ridotte ad una perché il rosso era pretestuoso ma la federazione transalpina non poteva ammettere la frittata fatta, ma intanto Sergio contro il Galles non gioca. In campo balbettiamo, non sbrachiamo, ma nel finale i gallesi prendono il largo. Sembra il lento declinare verso uno dei nostri classici 6 Nazioni composti da una vittoria e da almeno un’altra occasione sprecata, ma a Twickenham facciamo tremare gli inglesi con un secondo tempo mostruoso e un assedio finale che avrebbe meritato maggior sorte.
E allora sì, con gli irlandesi ce la possiamo davvero giocare.
Perché è vero, le touche sono storicamente territorio verde, ma mischia e maul azzurre sono superiori. In mischia ci sono Parisse, Ghiraldini, Lo Cicero al passo d’addio, un Alessandro Zanni in versione Robocop, Lorenzo Cittadini chiamato a sostituire Castro, Simone Favaro, un vero unsung hero come Quintin Geldenhuys e Joshua Furno.
Basterebbero loro, ma Masi, Gori e McLean sono al loro meglio e aggiungono ottani al serbatoio.
Sì, possiamo dirlo, siamo favoriti.
Ma dobbiamo fare le cose per bene.
E le cose per bene all’inizio le fanno gli irlandesi: commettiamo tre falli in quattro minuti, Paddy Jackson prende la mira dalla piazzola e porta avanti i suoi per 3 a 0. Poi ci svegliamo e cominciamo ad erodere il terreno: costringiamo al fallo gli irlandesi grazie a un signor carrettino, Orquera centra i pali e pareggia. E comincia un’altra partita: siamo più presenti in campo, più attenti dal punto di vista disciplinare, e gli irlandesi cominciano a pagare sia dal punto di vista disciplinare, sia da quello fisico: abbandonano il campo per infortunio Earls, Madigan e Marshall, ad un certo punto a far l’ala ci va O’Mahony, sono finiti i trequarti.
L’Italia gioca, crea, avanza. Passa in vantaggio sul tabellone con un altro calcio di Orquera, e lo fa anche in campo, con O’Driscoll che stampa i tacchetti sul costato di Favaro e si vede sventolare il cartellino giallo. È il momento di mettere fieno in cascina, ma fatichiamo. Garcia centra i pali dalla distanza, ma prima della fine del tempo Jackson accorcia, si va al riposo sul 9 a 6. No, non si può essere così contenti. Perché siamo superiori in mischia, nei raggruppamenti e perfino in touche, storica roccaforte verde, e tre punti sono un’inezia. Ne abbiamo di più, è abbastanza evidente, ma non riusciamo a concretizzare tutta la nostra superiorità.
E non staccare l’avversario ora potrebbe costarci caro alla fine.
Il secondo tempo, però, continua a mostrarci una spanna sopra: Masi pone fine ad un ping pong tattico con una pedata che manda in crisi Kearney e ci fa installare nei 22 irlandesi. È dura sopraffare il cuore di un irlandese, quando balla una palla da rugby, e per qualche minuto è una lotta senza quartiere. Ci proviamo con le mini unit, andiamo al largo, i verdi non vogliono soccombere.
Lo faranno, perché all’ennesimo raggruppamento Giovambattista Venditti, più un quintale di cristiano, diventa un topolino e schiaccia in una selva di anime. L’arbitro Barnes non se ne rende conto subito, ma il TMO chiarisce i fatti e fa esplodere l’Olimpico. Orquera mette tra i pali una trasformazione obiettivamente difficile, andiamo avanti di dieci punti.
È fatta, perché non è pensabile che una squadra decimata, coi nervi a fior di pelle e in palese svantaggio nelle fonti del gioco possa rientrare in gara.
Non da sola, almeno.
E infatti ci pensiamo noi: Parisse atterra Madigan con uno sgambetto davanti all’arbitro, è cartellino giallo. Per gli irlandesi è l’ultima spiaggia, e cercano di sfruttarla al meglio, riversandosi a testa bassa nella nostra metà campo. Noi per qualche minuto ci capiamo poco, con O’Driscoll che ci costringe ad un tenuto e gli avanti irlandesi tenuti a fatica lontani dalla linea di meta. Paddy Jackson dalla piazzola ci mette il fiato sul collo, i verdi tornano sul meno uno.
È quasi tutto da rifare, quando rientra Sergio. E per di più comincia a tirare un’aria gelida che un sabato di marzo così non ti aspetteresti mai ti potesse regalare. Perché di partite così, condotte benissimo fino a pochi metri dal traguardo, ne abbiamo vissute tante, partite poi il più delle volte finite in mani altrui. Gori viene toccato in volo e per lunghissimi secondi rimane a terra, ma nessun irlandese viene mandato fuori. Garcia sbaglia un calcio dalla distanza, son tutte cose che quando sei abituato a perdere sul filo di lana conti per bene. Te le segni tutte.
Poi la palla esce, è touche irlandese a metà campo, rubata da Antonio Pavanello. Quando Antonio Pavanello si libra in volo e intercetta la palla lanciata dagli irlandesi ce lo siamo detto in tanti, “forse questa è la volta buona”. Non tanto perché è la storia della seconda linea trevigiana che la sua rivincita contro allenatori che in passato l’avevano scartato perché troppo basso, quanto perché è un segnale che ci siamo ancora. Che sbagliamo, non abbiamo ancora chiuso la partita, che abbiamo gettato al vento la possibilità di essere già mentalmente negli spogliatoi con la vittoria in tasca, ma che abbiamo ancora qualcosa da dire. E alla prima occasione utile Orquera mette tre punti nel carniere, a seguito di un fallo professionale punito col giallo. Luciano non sta giocando come contro la Francia, ma ha il merito di non tremare in un momento molto più delicato rispetto a quelli vissuti contro i transalpini.
Il 19 a 15 e l’uomo in meno mettono gli irlandesi in una posizione difficile, perché lo sanno benissimo pure loro di non avere in faretra una azione di meta destinata propriamente detta. Un conto è giocare per la piazzola, un altro è andare oltre, e gambe e testa non possono reggere.
Ciò non significa che, prima del fischio finale, smetteranno di lottare. Fanno a cazzotti, sputano l’anima, li ricacciamo indietro con le maul e con le mischie ma risalgono sempre il campo.
Sì, ma non lo possono fare senza mettere sul piatto una lucidità che non possono più avere.
E al primo pallone perso si invola Parisse, sulla cui groppa salgono Kearney e Jackson. Lo fermano solo nei 22, mentre Murray ha tagliato fuori irregolarmente Canale dai sostegni. Barnes gli dà il giallo, andiamo in touche a uno dal termine. La portiamo giù e a tempo rosso facciamo gli autoscontri sotto i pali irlandesi.
Poi l’arbitro fischia, calcio per noi a tempo scaduto.
Sì, è davvero la volta buona, con Orquera che calcia e arrotonda per il 22 a 15 finale. Finalmente si vince una partita in cui non tutte le ciambelle riescono col buco, contro un avversario ferito eppure famelico, venendo a capo di tante cose che in passato ci hanno fatto venire il mal di testa e ci hanno spazzato via dal match.
La cerchiamo ancora, la volta buona, e sono passati otto anni.
La cerchiamo in una touche rubata, in un raggruppamento avanzante, in una prodezza del singolo, nelle pacche sulle spalle quando conquistiamo un pallone avversario.
Ma dobbiamo ancora trovarla.
Forse un giorno ce la faremo ancora.
Cristian Lovisetto – Anonima Piloni
Tutte le precedenti puntate di Anonima Piloni le trovate qui.
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