La partita contro l’Irlanda è un’altra pesante sconfitta dalla quale l’Italia può trarre poco per il futuro
Il particolare amaro in bocca che ha lasciato Italia-Irlanda, finita 10-48 per gli ospiti e finita in archivio come la terza sconfitta consecutiva degli Azzurri nel Sei Nazioni 2021, deriva dalla sensazione che era nell’aria dopo la prestazione di Twickenham: qualcosa sta per cambiare, pareva.
Lo ha sostenuto anche Luca Bigi nella conferenza stampa del dopopartita londinese di un paio di settimana or sono: “Quello che stiamo creando con questo gruppo di giocatori è qualcosa di speciale. Con tanti giocatori che erano in campo abbiamo condiviso l’anno dei playoff con il Benetton e ritroviamo quel sentore che qualcosa stia cambiando. Abbiamo bisogno di una vittoria importante per avere una conferma che tutto il lavoro che stiamo facendo sia davvero giusto come noi crediamo che sia.”
Un’evoluzione di cui l’Italia ha però lasciato poche testimonianze sul prato dello Stadio Olimpico, dove si è ripetuto un copione che contro l’Irlanda va avanti ormai costantemente da cinque anni.
Come nessun’altra delle avversarie del Sei Nazioni, l’Irlanda sembra perfettamente a suo agio contro l’Italia. Le competenze di èlite della squadra di Andy Farrell in alcuni aspetti del gioco, infatti, vanno a colpire proprio là dove la squadra azzurra è invece sistematicamente carente: il confronto fisico e le competenze nel punto d’incontro.
La partita di sabato era stata preparata in maniera minuziosa a livello strategico. Lo si è visto dal dettaglio con il quale erano stati leggermente variati i movimenti in rimessa laterale per sfuggire alle abilità degli irlandesi in quel frangente, dall’attenzione posta dagli Azzurri nel tagliare le linee di corsa dei trequarti irlandesi in caccia del pallone sui box kicks di Gibson-Park, nella volontà di mantenere il possesso per toglierlo agli avversari.
Forse proprio questa maggiore tensione verso il risultato ha giocato un brutto scherzo all’Italia, che è mancata invece là dove l’Irlanda è forte, nel rugby denudato da ogni orpello e giocato in direzione brutalmente verticale.
La squadra di Andy Farrell è stata perfetta nell’area di gioco in cui è la squadra migliore al mondo: il punto d’incontro. Ha conservato ogni proprio possesso con grande serenità, garantendo palloni veloci e di qualità, ed ha rallentato quando non sottratto il possesso a tante offensive italiane.
L’indisciplina azzurra ha quindi minato le residue possibilità di potersi giocare la partita e dimostrato una volta di più quanto incida l’inesperienza del XV tricolore, incapace di adattarsi al metro arbitrale di un Mathieu Raynal che, in direzione ostinata e contraria, ha posto specifica attenzione su aspetti del gioco solitamente meno al centro dell’attenzione della maggior parte dei direttori di gara.
Alla fine dei conti, l’Italia esce dalla terza pesante sconfitta (139 punti e 19 mete subite in tre partite) con le medesime certezze che aveva alla vigilia.
Leggi anche: Galles-Inghilterra 40-24, i Dragoni ottengono la terza vittoria nel torneo
Dal lato delle poche note positive Paolo Garbisi è in questo momento l’imprescindibile fulcro di quanto di buono l’Italia riesce a fare, Johan Meyer è il giocatore più in forma della squadra.
Dopo un anno di lavoro non abbiamo ancora un drive da rimessa laterale degno di questo nome e ogni tentativo finisce in un misero accrocco di corpi, come ha tristemente certificato la maul con dieci uomini impostata alla fine del primo tempo e addirittura rimandata indietro dalla difesa irlandese, prima che il guizzo di Garbisi cancellasse tutto.
Se questo può essere un aspetto del gioco dove ancora la mano dello staff tecnico non è riuscita a lavorare in modo approfondito per i tanti settori su cui si sta lavorando, come dice Franco Smith, spaventa di più la conferma che ad alcuni interpreti mancano le competenze individuali necessarie per poter stare a questo livello.
Come sottintendono neanche troppo velatamente le parole del Commissario Tecnico nelle ultime settimane l’Italia sta lavorando al miglioramento di aspetti di abilità e competenze dei giocatori che dovrebbero già essere consolidate e pienamente sviluppate quando mettono piede in Nazionale, ma è difficile farlo quando i titolari della squadra hanno più caps che partite in Pro14.
Di questa responsabilità però non possono farsi carico giocatori e staff dell’Italia. L’unica via è ripetere lo stesso mantra: la strada è lunga e in salita, ci saranno alti e bassi, ma il percorso affrontato ci porterà un domani a essere più competitivi. E a noi non resta che sperare che il domani arrivi presto.
Lorenzo Calamai
Cari Lettori,
OnRugby, da oltre 10 anni, Vi offre gratuitamente un’informazione puntuale e quotidiana sul mondo della palla ovale. Il nostro lavoro ha un costo che viene ripagato dalla pubblicità, in particolare quella personalizzata.
Quando Vi viene proposta l’informativa sul rilascio di cookie o tecnologie simili, Vi chiediamo di sostenerci dando il Vostro consenso.