Un giorno Thierry Dusautoir fece piangere gli All Blacks. Gli servirono una meta e 38 placcaggi
Nel 2007 gli All Blacks furono clamorosamente eliminati ai quarti della Coppa del Mondo dai padroni di casa francesi, che per quel Mondiale diedero fiducia a una terza linea con soli 3 caps all’attivo. Non se ne sono mai pentiti. L’Anonima Piloni vi racconta di Thierry Dusautoir, che gli uomini neri si sognano ancora.
Bello quando tutto sembra girare per il verso giusto. Tanta roba. Vincere il 6 Nazioni all’ultimo respiro, organizzare una Coppa del Mondo perlopiù n casa, con un percorso netto verso almeno almeno una semifinale sicura. Bello tutto, ma non è che tutto venga senza sudare, né tutto va sempre come previsto. Soprattutto se stiamo parlando dei nostri cugini transalpini, da sempre i più grandi istrioni mai visti su un campo di rugby. Personaggi contemporaneamente da commedia e da tragedia nel giro di meno di 80 minuti. Non è un caso che la Parigi-Roubaix, gara altimetricamente piatta come un biliardo trasudante insidie che nemmeno il Ventoux controvento saprebbe riservare, batta bandiera transalpina. E allora il Mondiale 2007, quello che i francesi organizzano in casa, diventa un tornado di emozioni: di cadute, di risalite, di altari, di polvere. Diventa lo specchio di quel che sanno essere tante volte i transalpini: scostanti magari, incostanti il più delle volte, sicuramente mai scontati.
Quel che è sicuro è che sabato 17 marzo, giorno di San Patrizio, i francesi tolgono di mano la Guinness agli irlandesi e vincono praticamente allo scadere il 6 Nazioni. Oh, una mano la diamo anche noi ai cugini, segnando con De Marigny una meta allo scadere, ma il resto lo fanno loro, segnando 6 mete di cui l’ultima, con il tempo ormai “rosso”, firmata da Elvis Vermeulen, devastante numero 8 di Clermont. Vermeulen diventa così l’eroe del 6 Nazioni, ma qualche giorno dopo la fine del Top 14 si deve fermare. Il referto è tremendamente crudo nella sua chiarezza: ernia del disco. Urgono operazione e riposo. Ergo, ciao Coppa del Mondo.
Per carità, i francesi sono profondi sia negli avanti che nei trequarti, come numero 8 possono permettersi pure di lasciare a casa Louis Picamoles, giovane talento di Montpellier, tanto hanno già il basco Harinordoquy e, all’occorrenza, l’Orco, al secolo Sébastien Chabal, che Laporte vorrebbe schierare in seconda per puntellare il pacchetto ma che potrebbe tornare utile anche nella retroguardia della mischia. Piuttosto il selezionatore francese decide di portarsi alla Coppa del Mondo un flanker in più e pesca a Tolosa.
Ci torniamo fra un attimo, abbiate pazienza.
La Francia affronta Inghilterra e Galles prima dei Mondiali, porta a casa due vittorie convincenti e la consapevolezza di poter arrivare molto lontano. Anche perché il girone, non dei più facili in verità, se concluso in prima posizione porterebbe ad un quarto morbido contro una tra Italia e Scozia, sommerse di mete al 6 Nazioni.
Certo, in semifinale si affronterebbero i favoritissimi Springboks, ma a quel punto se vuoi alzare la Coppa le più forti le devi affrontare.
E batterle, se possibile.
La Francia il suo lo fa, scherza con Namibia e Georgia e sbatte fuori una irriconoscibile Irlanda. Bello quando tutto sembra girare per il verso giusto. Tanta roba. Vincere il 6 Nazioni all’ultimo respiro, organizzare una Coppa del Mondo perlopiù n casa, con un percorso netto verso almeno almeno una semifinale sicura. Bello tutto, ma non è che tutto venga senza sudare, né tutto va sempre come previsto. Si, bello, solo che al debutto contro i Pumas la Francia non ci capisce niente e butta all’aria progetti, percorsi facili e tante altre belle parole. Quello se lo meritano gli argentini, che faranno tesoro di tutto e faranno cose grandi.
I galletti arrivano secondi e la strada diventa improvvisamente l’Alpe d’Huez. Anche perché da secondi si meritano coloro i quali hanno effettivamente massacrato azzurri e scozzesi, oltre a romeni e portoghesi. Portano la felce argentata sul petto e hanno appena finito di segnare 311 punti nel loro girone, subendone appena 35. Nel match in cui si “limitano” con il pallottoliere ne segnano 42, perdono solamente a calcio contro i portoghesi dopo avergliene dati 108 con la palla ovale in mano. Non sono i favoriti per la vittoria finale, il rugby sudafricano nel 2007 è nettamente superiore rispetto al resto del mondo, ma gli All Blacks puntano a giocarsela fino alla fine con una squadra giovane e un coach, Graham Henry, a cui chiunque ami il rugby deve qualche birra per lo spettacolo offerto dalle sue squadre. Ulteriore beffa: il secondo posto nel girone sfratta di fatto i transalpini, costretti a giocarsi la semifinale a Cardiff.
Si gioca il 6 ottobre, è un sabato sera.
La Marsigliese risuona a chilometri di distanza, i francesi si danno la carica. Poi tocca alla haka. Raphael Ibanez, il capitano, porta i suoi quasi a contatto con gli All Blacks, che non sfoderano il classico nero. Maglia grigia con inserti. Segnatevela, non la vedrete mai più. Maglie rosse, bianche e blu a disegnare il tricolore. L’atmosfera è da brividi. Betsen, considerato da tutti il miglior placcatore francese in campo, è costretto ad uscire per concussion dopo pochi minuti. I neozelandesi sono più forti sia davanti che dietro, hanno due semidei, Dan Carter e Richie McCaw, giovani, belli e dannatamente efficaci. Oltre a loro ci sono due ali pesanti e devastanti come Sivivatu e Rokocoko, una terza che comprende il compianto Jerry Collins e Rodney So’oialo. Ali Williams, Luke McAlister, che è considerato il numero 10 del futuro ma che nel frattempo fa il centro. Se accettate un paragone extraovale qui si parla del Brasile di Telè Santana, quello del 1982. Quasi imbarazzati da tanta grazia. E la loro prima meta è di stordente bellezza: Carter serve un cioccolatino a McAlister, buco di 20 metri, palla a Collins, poi ancora McAlister a sostegno. Ciao. Fanno 10 a 0. Intendiamoci, la Francia è ordinata, Beauxis e Traille al piede tengono discretamente, ma cosa vuoi fare quando quelli giocano così?
Gli All Blacks aggiungono altri tre punti, ma alla lunga non sembrano promettere la tempesta di gusto e buon odore promessa nei primi venti minuti. Anche perché tra i francesi comincia a farsi spazio, nel silenzio, il frutto delle ultime convocazioni di Laporte che avevamo lasciato in sospeso. Il commissario tecnico, senza più Vermeulen, cambia rotta e decide di convocare un flanker. Lo individua a Tolosa, ha 25 anni e soli 3 caps con i transalpini, tutti conquistati nel 2006. A guardare le semplici statistiche trattasi di gregario addetto a scaldare la panca.
Piano, però. Il ragazzo è da 15 anni in Francia, ha mamma ivoriana e ha cominciato a giocare a rugby nel 1997, a 16 anni. Prima faceva arti marziali, anche a buoni livelli. Si chiama Thierry Dusatoir, si sciroppa i due test con Inghilterra e Galles, poi debutta da titolare contro la Namibia. Segna una meta, per il resto è ordinaria amministrazione. Da lì in poi, però, il numero 7 titolare è lui.
Non è velocissimo, ma ha una capacità psicomotoria impressionante, sa sempre come e quando correre, prende angoli incredibili e per placcare, beh, gli avversari scappatigli si contano in poche dita di poche mani. Non ha la devastante ruvidezza di Chabal, ma le arti marziali gli hanno regalato l’arte del tempismo. Il placcaggio è elegante, efficace, e se ne accorge subito Jerry Collins, piantato a terra qualche decimo di secondo dopo aver ricevuto palla.
Il Millennium, che da buon intenditore di placcaggi se ne intende, apprezza.
Quando è uscito Betsen Dusautoir è passato al lato chiuso, ma nessuno sembra accorgersene. La Francia, a poco a poco, si riprende, segna i primi tre punti con Beauxis e va a riposo sotto di 10 punti. Dusautoir fa segnare quindici placcaggi, che sarebbero un discreto risultato già se fossero fatti in 80 minuti.
Gli All Blacks non se l’aspettavano.
Pensavano di chiuderla in breve tempo e di andarsi a giocare la semifinale contro gli inglesi convalescenti dalla cura Wilkinson, ma la partita è ancora aperta. I francesi sono ancora vivi e prendono coraggio. Cominciano a farsi vedere anche i celeberrimi trequarti, l’incedere di Jauzion, i cavalli di Clerc e Heymans. Beauxis calcia un chip velenosissimo, McAlister ostacola Jauzion senza palla, l’arbitro tira fuori il giallo. Arrivano altri tre punti, la Francia è sotto il break. Gli All Blacks accusano il colpo, il Brasile di Telé Santana visto nel primo tempo ha lasciato spazio a una squadra timida, dimessa, impaurita. quattordici Bambi con la felce argentata. I francesi attaccano, entrano nei 22 e la palla va al largo. Superiorità numerica, sfreccia il numero 7 di Dusautoir, è pareggio.
E comincia un’altra partita.
Dan Carter è costretto ad uscire, lascia il posto a Nick Evans, che è un giocatore meraviglioso, ma che a quei livelli (e con quei rivali interni) può solo scaldare la panca. O darsi al voodoo, una delle due.
Con lui esce pure Kelleher, che era in campo nel 1999 a Twickenham e sente puzza di bruciato. Dusautoir, nel frattempo, è in completa trance agonistica: continua a buttar giù gente di grigio vestita, abbandonata all’improvviso dal lucido furore che di solito l’accompagna. McCaw, nei raggruppamenti, non sa da che parte girarsi per non trovare l’uomo nero che di solito sta sotto ai letti o dentro agli armadi.
I neozelandesi hanno però un minimo di sussulto, vanno in meta con So’oialo, ma McAlister non centra i pali, non è ancora finita. Si entra negli ultimi 10 minuti, la Francia, quando può, è arrembante. Michalak, talento spropositato dovunque poggi la seggiola in regia, fugge al largo. Il passaggio che riceve non ha tutti i crismi, sarebbe un in avanti per molti (per non dire quasi tutti) arbitri, ma Wayne Barnes non coglie infrazioni. Lo recuperano in due, fa una giravolta a 25 chilometri orari e serve Jauzion. Palla a terra, è pareggio. Michalak dalla piazzola firma il sorpasso.
E adesso?
Tanti neozelandesi in campo, a distanza di anni, ammetteranno di non aver mai pensato ad un piano B. A un drop, ad un calcio tra i pali. E dire che di calciatori ce ne sarebbero in rosa. Ad un gioco stretto fatto apposta per conquistare falli o vantaggi. Niente.
I 311 punti nel girone erano bastati per rassicurare tutti, evidentemente.
McAlister lancia ripetutamente i pochi cavalli rimasti nel motore, i francesi non perdono fiato, né terreno. Il numero 12 neozelandese il drop lo prova pure, ma da 40 e passa metri non trova né distanza né precisione. Fino all’ultima palla persa, con Elissalde che calcia in tribuna. Fino all’ultimo placcaggio di Dusautoir, in numero 38. Gli avversari, tutti gli avversari, ne fanno trentasei. È una disfatta epocale, mai nella storia gli All Blacks erano rimasti fuori così presto dalla lotta per il titolo. Per la Francia è comunque il canto del cigno: Sir Jonny guiderà in finale una squadra in crescita, ma battibile per i transalpini, poi i Pumas li estrometteranno dal podio finale. No, non gira più niente per il verso giusto.
Dusautoir non si ripeterà ancora nelle ultime due partite, ma diventerà ben presto capitano della Nazionale. Un leader silenzioso, lavoratore ed esemplare per la mole di lavoro. E da capitano sarà ancora nei peggiori incubi neozelandesi due anni dopo, quando porterà la sua Nazionale a espugnare la Nuova Zelanda a 15 anni di distanza dalla meta dell’altro mondo. E ancora alla Coppa del Mondo, nel 2011, all’Eden Park di Wellington, quando guiderà la Francia a sfiorare la vittoria finale. Sfiderà la haka andando verso gli All Blacks, mano nella mano coi suoi compagni, formando una V, la V di “Victoire”. Segnerà la meta francese, in quell’occasione, ma non basterà di fronte alla storia e al piede di Stephen Donald, richiamato in Nazionale mentre stava pescando e gozzovigliando con gli amici.
Dusautoir ha annunciato il suo ritiro nel 2017. Non giocava più in Nazionale dal 2015, ironia della sorte l’ultimo suo match lo vide di fronte ancora agli uomini in nero, ma è un’altra storia, fatta di strapotere delle felci argentate.
No, Dusautoir non giocherà più. E forse, da qualche parte nell’altro emisfero, qualcuno ha tirato un sospiro di sollievo grande quanto una Coppa del Mondo. Grande quanto il Millennium. Grande quanto 38 placcaggi a piloni, tallonatori, semidei con felce, seconde, trequarti.
Grande quanto Dusautoir, l’uomo nero dei bambini (e di tanti adulti) neozelandesi.
Cristian Lovisetto – Anonima Piloni
Tutte le precedenti puntate di Anonima Piloni le trovate qui.
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