A 150 anni dal primo test match internazionale una ricerca storica cerca di stabilire la parentela fra calcio fiorentino e rugby
Alla prima giornata del Sei Nazioni 2021 si sono celebrati i 150 anni dal primo incontro internazionale di sempre nella storia del rugby, Scozia-Inghilterra.
È per questo gap storico e culturale nei confronti del gioco scaturito nel 1823 dall’atto ribelle di William Webb Ellis che quando quelli del XV della Rosa oltrepassano la Manica e le Alpi vengono spesso definiti ‘i maestri’ del gioco, quelli che lo hanno inventato.
C’è chi sostiene, però, che in realtà ci sia un corto circuito storico piuttosto importante, e che il rugby delle origini sia strettamente imparentato con il Calcio storico fiorentino.
Si tratta di Matteo Poggi e Filippo Giovannelli. Entrambi autori di numerosi volumi storici e appassionati ricercatori di vicende sportive del passato, fiorentini e coinvolti a diversi livelli nell’attuale Calcio storico fiorentino (Giovannelli è Capitano di Guardia del Contado e del Distretto, ovvero direttore del Calcio storico fiorentino), i due hanno raccontato in una recente pubblicazione il collegamento decisivo fra i giochi.
“Ho sempre sostenuto – racconta Poggi – l’apparentamento fra il calcio in costume e il rugby, ma fino ad oggi mancava la possibilità di collegare le due cose. Ufficialmente, il calcio fiorentino era stato soppresso alla metà del Settecento, ben prima che nel college di Rugby William Webb Ellis prendesse il pallone con le mani.”
“Poi, però, nel corso di una ricerca per la Polizia Municipale di Firenze, mi sono imbattuto in un regolamento della città di Firenze del 1849, dove si trova un articolo che proibisce i giochi di palla in strada. Da lì, si evince che il calcio fiorentino era ancora praticato a livello di gioco di strada.”
Se il gioco era ancora vivo, il collegamento era possibile. Andava solamente trovato. E Poggi e Giovannelli lo hanno rintracciato grazie a un altro testo.
Nel 1857, infatti, nel Regno Unito esce Tom Brown’s School Days di Thomas Hughes, un romanzo di formazione che in Italia non è praticamente arrivato, ma che in Inghilterra è una pietra angolare della letteratura per adolescenti: racconta le vicende di un ragazzo, il Tom Brown del titolo, e della sua permanenza al college di Rugby.
Hughes aveva egli stesso frequentato la Rugby School negli anni Trenta dell’Ottocento, facendo così di Tom Brown’s School Days un testo parzialmente autobiografico.
L’autore descrive minuziosamente le partite del football alla maniera di Rugby giocato da Tom Brown a metà Ottocento, e le somiglianze fra quel gioco e quello del Calcio storico fiorentino, rimasto pressoché immutato nel corso degli ultimi cinquecento anni, sono impressionanti.
“Non va sottovalutata l’importanza dell’opera di Hughes nella diffusione del rugby in Inghilterra. Per gran parte del XIX secolo, ogni scuola propone ancora il suo gioco, con regole diverse gli uni dagli altri. Ma il successo editoriale straordinario di Tom Brown si riflette sulla popolarità del gioco che viene narrato.”
“Leggendo il capitolo che descrive in maniera specifica e analitica una partita del Rugby football, capisco che sto assistendo ad una partita di calcio storico – spiega ancora Matteo Poggi – Le similitudini sono tantissime, la nostra ricerca lo racconta e dimostra come la partita descritta da Thomas Hughes sia giocata adottando tantissime delle regole ufficiali del Calcio storico fiorentino stilate da Giovanni Bardi nel 1580, nel Discorso sopra il giuoco del calcio fiorentino.”
Proprio da Tom Brown’s School Days prendono le mosse quindi la ricerca di Poggi e Giovannelli, che si è poi spinta nella naturale direzione conseguente: qual è il collegamento che porta il gioco di Firenze fin nel cuore del Warwickshire, a Rugby?
“Il calcio fiorentino era giocato essenzialmente nel periodo di Carnevale o per i grandi eventi, come matrimoni aristocratici o importanti visite diplomatiche. Non era praticato però solo a Firenze, ma in diverse città toscane, in particolar modo a Livorno.”
“A Livorno, nel 1766, si gioca l’ultima partita per così dire ufficiale di calcio fiorentino in occasione della visita del Granduca di Toscana. Proprio per l’occasione viene ristampato il regolamento cinquecentesco del Bardi, volume per la verità già piuttosto diffuso, tanto da essere diffuso in più edizioni nel corso dei due secoli precedenti.”
“A Livorno però si gioca un calcio leggermente diverso da quello di Firenze, per due specifiche regole: il numero dei giocatori, che non sono 27 per squadra ma 50, e il modo di segnare punti. Il pallone infatti non va più depositato nella ‘caccia’ lunga tutto il lato largo del campo, ma anzi lanciato, con le mani o con i piedi, oltre una certa altezza, quella delle tribune.”
Concetti che vengono ripresi a Rugby, dove nel frattempo si gioca una delle tante varianti del gioco con la palla diffuse in Inghilterra e in tutta Europa, tutte lontane figlie dell’harpastum dei Romani.
Nelle partite della scuola inglese, quindi, le squadre prevedono 50 atleti per parte e i punti si segnano calciando il pallone sopra la traversa di una porta a forma di H, proprio come quelle di oggi.
Ci sono altre evidenze: la rimessa laterale, ad esempio, è disciplinata in maniera simile. Quando la palla esce dal campo, si riprende con una introduzione equa (che nel calcio storico viene effettuata da un arbitro) e due linee parallele di giocatori che si contendono il possesso.
Oltre alle regole, anche il modo in cui si dispongono le squadre in campo a livello tattico: la partita descritta da Thomas Hughes nel suo libro prevede quattro linee orizzontali di giocatori con compiti e ruoli che ricalcano quelli del calcio fiorentino.
“La nostra ricerca ha ricevuto grande interesse da parte delle istituzioni, e ciò ci ha incoraggiato a proseguire. Siamo in fase di accumulo di materiale, siamo riusciti a scavare ancora oltre e siamo vicini a poter dimostrare definitivamente che il gioco di Rugby abbia tratto origine, come fonte d’ispirazione, dal calcio fiorentino giocato a Livorno in quella fatidica occasione del 1766.”
“C’entra la storia particolare di Livorno: una città multiculturale dove potevano trovare rifugio dalla Controriforma gli appartenenti a culti religiosi diversi dal cattolicesimo, che nel Settecento diventa un porto franco, e che all’epoca vantava una grande comunità inglese.”
Per chiudere il cerchio si dovrà attendere la fine del lavoro di Poggi e Giovannelli, ma le premesse per riscrivere alcuni paradigmi storici ci sono. Senza dover abbandonare le buone, vecchie tradizioni del mito fondativo di William Webb Ellis, ma magari sentendoci liberi di non dover più chiamare nessuno ‘maestro’.
Lorenzo Calamai
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