Gavin Henson, non di solo rugby

Difficile essere oggettivi quando si parla di talenti sprecati. Gavin Henson, però, sa mettere tutti d’accordo

Gavin Henson

Gavin Henson – Ph. S. Pessina

Un palmarés ricco e invidiabile, un talento incredibile, stimoli non sempre allineati. A volte certe carriere avrebbero meritato più concretezza e meno divagazioni. L’Anonima Piloni vi parla di Gavin Henson, che nel mondo ovale non ha reso per quanto avrebbe potuto.

Due Sei Nazioni vinti con tanto di Grande Slam, 130 punti in Nazionale in 33 presenze, un Tour dei British & Irish Lions, più di mille punti segnati in carriera pur non essendo quasi mai stato il calciatore designato delle squadre in cui ha militato. Numeri spicci, nudi e crudi per cui chiunque abbia mai litigato con il rimbalzo di una palla ovale metterebbe la firma. Solo che se dovessimo dar retta alla vecchia cara parabola biblica dei talenti, il signor possessore della carriera qui sopra descritta dovrebbe finire nelle tenebre, tra pianto e stridore di denti. Perché qui si parla di un giocatore baciato dal talento, da tanto talento. Forte, fortissimo, incontenibile.

Bello, avventuroso, ribaldo, con un grande futuro davanti anche quando il sole sta per tramontare.
Uno che piace, a tutti e a tutte.
E si piace.
Forse troppo.

In due parole, Gavin Henson, piombato nel gotha del rugby e destinato, fin da subito, a non schiodare così facilmente: nel 2001 viene eletto miglior giocatore under 19 del mondo e in estate debutta con la maglia del Galles.

Certo, buona parte di quella Nazionale è in Australia per il tour dei British and Irish Lions, ma Graham Henry, allora selezionatore dei Dragoni, non ha grossi dubbi su chi diventerà quel ragazzino. Lo schiera apertura contro la nazionale romena e gli toglie la pressione dei calci. Non brilla particolarmente in quel frangente, ma nemmeno sfigura. Col ritorno dei titolari prosegue il suo apprendistato a Swansea e con la Nazionale A, poi nel 2003 il rugby gallese decide di proseguire la sua strada con la creazione delle franchigie. A Swansea entrano in scena gli Ospreys, e anche a livello europeo si comincia a capire che il ragazzino che aveva fatto debuttare Henry non è più esattamente una promessa.

Gavin Henson è cresciuto, e non solo anagraficamente: si è evoluto in un giocatore in grado di giocare ad altissimi livelli come apertura, centro ed estremo, ma non è solo questo. Ha appoggi fantascientifici, sembra stia passeggiando e invece è già oltre, neanche fosse Alberto Tomba a Schladming. E piazza: ha una pedata precisa e potente, sopra i 50 metri la piazzola difficilmente non diventa di sua proprietà. Sarebbe già ottimo materiale per la Coppa del Mondo del 2003, ma Steve Hansen non lo vede. Non vedrebbe nemmeno l’ala di quegli Ospreys, Shane Williams, che considerava troppo piccolo per quel livello, ma si ricrederà.
E, col tempo, di valutazioni imparerà a sbagliarne meno.

Gavin Henson, però, resta a casa. Tornerà presto a giocare in Nazionale, perché il successore di Hansen, Mike Ruddock, va pazzo di quel centro. Lo schiera a primo centro e gli chiede di giocare quello che vede, senza troppe sovrastrutture tattiche e mentali. La cosa funziona alla grande, perché i test autunnali del 2004 rivelano al mondo un giocatore mostruoso: contro gli Springboks suona la carica dopo un avvio gallese disastroso. La sua prima meta internazionale è da rivedere tutte le volte che non riuscite a capire cosa sia la “vista periferica”: a 5 metri dalla linea di meta riceve palla da Stephen Jones, cambia angolo, rompe un placcaggio. È questione di centesimi di secondo: vede, o forse sente, arrivare un placcaggio disperato, frena nello spazio di una moneta da un euro, evita e schiaccia.

Avete letto tutto?
Ecco. Lui, a farlo, ci ha messo meno.
Contro il Giappone picchia ventotto punti, suo record personale, poi arrivano gli All Blacks. Per ottima parte del match i neozelandesi devono rincorrere, poi Rokocoko e Mealamu li prendono per mano ed evitano il patatrac. Henson segna due piazzati, uno praticamente da casa sua. Il Galles perde di un punto, ma fa capire a tutti che per il Sei Nazioni 2005 sarà dura per tutti.

E, per mettere in chiaro le cose, decide di portarsi in giostra Matthew Tait, nuova stella della Nazionale Inglese e di Newcastle: per due volte il biondino in bianco punterà il piede per cambiare direzione, per due volte Gav lo prende e lo riporta a casa sua. Perché dimenticavo: Gavin Henson placca, e non esattamente piano. Per non farsi mancare nulla decide il match: calcio da distanza siderale, posizione ingobbita, palla in mezzo ai pali.
In un Twickenham ammutolito.

È il viatico per uno Grande Slam straordinario e per un tour dei Lions che si prospetta molto promettente. Peccato che Clive Woodward non abbia visto molto rugby negli ultimi due anni e decida di convocare una serie di giocatori inglesi che con il livello non c’entravano più nulla. Sarà il tour che rivelerà al mondo Daniel Carter e che, per Gavin Henson, significherà l’inizio di altro.
Perché Gavin Henson indubbiamente piace.
Ma altrettanto indubbiamente si piace.

In Nuova Zelanda viene messo in camera con Brian O’Driscoll, prevedendo che una coppia del genere in campo potrebbe creare allo stesso tempo una unione d’intenti e un dualismo generazionale. O’Driscoll è il primo testimone di un nuovo lato del gallese quando si ritroverà ad attendere il proprio turno per andare al bagno per almeno tre ore.

Quando tocca a lui si rende conto che Henson è completamente sbarbato e depilato, cosa a cui un rugbista fino ad allora era poco avvezzo, e che da allora conta pochi adepti. Ci tiene all’immagine riflessa nello specchio, e si ripeterà quando, appena tornato da un altro infortunio, salterà un allenamento piuttosto importante con la Nazionale per andare a farsi una lampada. Il sabato, contro l’Irlanda, entra in campo prima del tempo per un infortunio occorso a Stephen Jones e non conosce una chiamata che sia una. Conosce in compenso la Evian, acqua minerale francese tendente al costoso, con la quale suole massaggiarsi le gambe prima e dopo le partite.

Nel 2007 subisce un altro infortunio importante e deve saltare la sua seconda Coppa del Mondo. Torna per il 6 Nazioni, ed è ancora Grande Slam con Warren Gatland in panchina, ma sono gli ultimi grandi botti in Nazionale. Ben presto il rugby comincia a perdere colpi nella sua personale graduatoria, tanto da indurlo a prendersi un anno sabbatico nel 2009. Lo fa dopo un Sei Nazioni in cui si fa riconoscere per una notte brava con Lee Byrne ed Andy Powell e in cui comincia ad annoiarsi. Staccherà completamente per un anno, parteciperà ad un paio di reality show, poi prova a riprendere in mano la sua carriera.

Lo mettono sotto contratto i Saracens, ma la forma degli anni precedenti non la puoi recuperare con qualche allenamento e viene tagliato. Lo prende il Tolone, dove va un po’ meglio, ma si fa riconoscere per una rissa con Matt Henjack, mediano di mischia australiano e compagno di squadra. Riesce però ad essere selezionato da Gatland tra i 45 giocatori in lizza per un posto alla Coppa del Mondo, ma in un test contro l’Inghilterra si lussa un polso e saluta la Nazionale. Rob Howley, assistente di Gatland, lo chiamerà per dirgli che senza l’infortunio il Mondiale l’avrebbe giocato. Resteremo sempre col dubbio di cosa avrebbe potuto fare un Gavin Henson in quel tipo di Galles, perché un cervello come quello avrebbe potuto fare la differenza. Resta ben chiara una cosa: come succederà nel 2015, Gatland lo aspetterà fino alla fine. E stiamo parlando di quell’allenatore che non si è mai fatto grossi problemi a tener fuori dai suoi Lions gente come Brian O’Driscoll e Jonny Wilkinson.

Quando tornerà in campo, però, si farà notare sempre meno, se decidiamo di restare dentro ad un campo da rugby: viene ingaggiato dai Cardiff Blues, ma al ritorno da una trasferta beve due bicchieri di troppo e infastidisce pesantemente una hostess, la squadra lo scarica. Va al Bath, ma viene ben presto tagliato per lasciar spazio al giovane Tom Homer. Ah, viene messo al tappeto da Carl Fearns al pub, anche qui dopo averci dato dentro coi bicchieri. L’avventura inglese procede a Bristol, nella seconda serie, ma si rompe una tibia e deve dire addio a contratto e Coppa del Mondo.

Nel 2017 torna in Galles, sponda Dragons, dove firma un contratto biennale. Gavin Henson ha 35 anni, non può più essere il ragazzino sbocciato a Swansea ad inizio secolo, e allora si accontenta di sopravvivere in assenza di grazia. Si toglie lo sfizio di segnare altri 98 punti in 15 presenze e di inanellare alcuni notevoli spezzoni di partita, ma il meglio è ormai alle spalle. Si ritira nel 2019, riservandosi un’ultima apparizione per il 2020, nel match di addio al rugby dell’amico James Hook.

Due Sei Nazioni vinti con tanto di Grande Slam, 130 punti in Nazionale in 33 presenze, un Tour dei British & Irish Lions, più di mille punti segnati in carriera pur non essendo quasi mai stato il calciatore designato delle squadre in cui ha militato. Non giocando mai una Coppa del Mondo, mettendo altro davanti al rugby per larghi tratti della sua carriera, lasciando poche amicizie in seno al mondo ovale

Con altri stimoli, forse, avremmo assistito ad un duello di quelli generazionali con Brian O’Driscoll, e forse solo loro sanno quanto avrebbero potuto divertirsi e far divertire. Forse è maturato, forse no. Gli anni d’oro con la maglia numero 12 del Galles restano nei cuori di tanti, ma il tempo fa brutti scherzi e fa girare avanti le lancette dell’orologio anche se non lo vogliamo. C’è chi si fa sempre trovar pronto, chi meno. C’è chi sta sempre sul pezzo e chi viene sorpreso a fare anche dell’altro. C’è chi sputa polmoni e sangue per avere una possibilità e chi le butta via, una dopo l’altra, per un motivo o per l’altro. C’è chi festeggia per un cap in Nazionale e c’è chi ha fatto due Grandi Slam e ancora ha il motore ingolfato delle Ferrari prese per andare a fare la spesa due isolati più in là.

Gavin Henson è stato una cometa luminosissima, più di tante altre, di quelle che passano solo una volta ogni tanto ma di cui conservi sempre il ricordo. Ma ha deciso che un cielo solo, quello ovale, non era sufficiente. Ha ballato, bevuto, scopato, viaggiato. Un giorno ha messo il rugby da qualche parte, tra una bottiglia, una scazzottata, un reality e qualche Venere di una notte soltanto, come si fa con certe fotografie di quando eravamo più giovani e credevamo di avere il mondo in mano, quelle che un giorno riponi in un cassetto con la promessa di passare a riviverle il prima possibile.

E ad incazzarti quando, a differenza di quelle foto, il tempo è già sfuggito di mano.
Perché con Gavin Henson, e con quelli come lui, un minimo abbiamo tutti il diritto di incazzarci.
Dopo averlo applaudito un po’.

 

Cristian Lovisetto – Anonima Piloni

 

Tutte le precedenti puntate di Anonima Piloni le trovate qui.

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