Alessandro Zanni, per esempio

Udine, Calvisano, Treviso, Nazionale. L’epopea di Alessandro Zanni, esempio da seguire

Alessandro Zanni

Alessandro Zanni- ph. Corado Villarà

L’Anonima Piloni vi racconta del suo primo incontro ravvicinato con Alessandro Zanni, all’epoca giocatore della Benetton Treviso. E di come, nella sua storia ovale, sia sempre stato un esempio da seguire.

Qualche anno fa, quando ancora cercavo qualche ispirazione che mi riempisse un foglio bianco, cercavo autografi in giro per gli stadi ovali più vicini a casa: Rovigo, coi suoi pali che mettono soggezione anche e soprattutto in caso di nebbia, Padova, tra centro Geremia e Plebiscito, Treviso. A Treviso più tardi, in verità. Non lo so, mi ha sempre frenato il PUT, la vecchia Circonvallazione trevigiana, capace di irretire chi non ha troppa dimestichezza con le auto e con la pazienza al volante.
Recuperai in fretta, però.

Dal basso del mio metro e settantacinque vedevo gente che con le maglie del club e con quella della Nazionale uscivano malconci dal prato verde e si preparavano a ingollare birre o a scambiare qualche parola con qualche avversario e, a cancelli aperti, con i pochi tifosi superstiti.

Di solito, a foglio vergato, stringevo la mano di chi mi aveva dedicato quei due secondi di gloria.
Una sola volta mi ricordo di essermi sentito allo stesso tempo forte e indifeso, al sicuro e inerme. Era una mano grande, in cui anche le falangi avevano i muscoli. Era una mano friulana, di un ragazzo di poche parole e tanti placcaggi. Era la mano di Alessandro Zanni.

Chissà quanti palloni ha toccato, chissà quanti avversari ha afferrato insieme alla sua dirimpettaia. Dai tempi di Udine, nelle serie minori, dove Alessandro era un vero fattore. Dai tempi di Calvisano, che gli sono valsi le prime convocazioni in Nazionale. A Treviso, luogo in cui si è consacrato come una delle terze linee più forti del pianeta.

Poche parole nei momenti giusti, tantissima legna in mezzo al campo. Un giocatore a cui nessuno dei suoi allenatori ha mai rinunciato facilmente. Il primo ad essere chiamato in causa quando c’erano compiti di una certa rilevanza, come quando Mallett gli chiese di giocare da terza centro per sostituire Parisse infortunato.
Era il 2010, quello era un signor Parisse.

Sarebbero tremati i polsi di qualunque terza temeraria, mica è semplice sostituire il capitano e far finta sia la stessa cosa. Non quelli di Alessandro, che contro l’Inghilterra tira fuori una prestazione monumentale e viene eletto Man of the Match. Perché quello era un signor Zanni, un uomo nei suoi anni migliori, devastante pure in attacco, implacabile ed implaccabile. Il primo a suonare la carica contro la Francia nel 2011, quando tutto sembrava perduto, l’ultimo a mollare contro gli irlandesi alla Coppa del Mondo dello stesso anno, quando in ballo rimaneva soltanto l’onore della resa. Una nomination quale miglior giocatore del Sei Nazioni 2013, una giornata da Leone a Twickenham, una convocazione coi Barbarians.

Pure gli infortuni, così comuni e dolorosi a questi livelli, hanno fatto fatica a contenerlo, se è vero che dal 2008 al 2014 non salterà un solo incontro del Sei Nazioni.
E quando l’hanno preso e costretto a fermarsi e a rifiatare si sono dovuti arrendere. Perché Robocop mica lo fermi così, mica lo tieni lontano a lungo.

Da terza a seconda linea, perché le gambe non saranno più quelle di prima, ma la vis pugnandi è rimasta intatta. Fino al 2020, anno in cui smette di giocare e diventa preparatore atletico. Ce lo saremmo voluto godere di più, Alessandro Zanni, almeno un ultimo scampolo di stagione.
Magari coi playoff, magari con una ultima – doverosa – standing ovation di Monigo, simile a quella di Fontanafredda nel giorno della sua prima meta azzurra.

Simile a quella di Calvisano nel giorno dello scudetto del 2009, prima di passare a Treviso.
Simile a quando la Benetton si issava per le prime volte in classifica, con Franco Smith in panchina e Antonio Pavanello in campo.

Simile a quando il sottoscritto raccoglieva autografi tra Padova, Rovigo e Treviso.
Mi sentivo forte e sicuro, quasi sempre.
Una sola volta mi ricordo di essermi sentito allo stesso tempo forte e indifeso, al sicuro e inerme. Era una mano grande, in cui anche le falangi avevano i muscoli. Era una mano friulana, di un ragazzo di poche parole e tanti placcaggi. Era la mano di Alessandro Zanni.

Del preparatore atletico Alessandro Zanni, che se saprà applicare fuori dal campo quell’immenso esempio dato tra le linee bianche, presumibilmente forgerà altre colonne di un certo calibro.
Il bloc-notes è pronto, il PUT non mi fa più paura.
Grazie di tutto.

Cristian Lovisetto – Anonima Piloni

 

Tutte le precedenti puntate di Anonima Piloni le trovate qui.

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