Un interessante pezzo d’opinione paragona il Championship europeo al torneo per franchigie neozelandesi
L’autorevole sito Rugbypass ha pubblicato un pezzo d’opinione decisamente interessante, nel quale il rugby del Sei Nazioni viene definito come “il rugby di Neanderthal direttamente dagli anni ’50” se messo al confronto con il Super Rugby Aotearoa. Ovviamente, e l’autore lo specifica subito, è complicato mettere a confronto diretto un torneo giocato tra nazionali e uno tra franchigie, però viene fatta notare la grande differenza a livello di skills, passaggi e impegno dei trequarti, contro un Championship al quale mancherebbero anche verve, fantasia e imprevedibilità.
Chiaramente, ci verrebbe da aggiungere, la posta in palio in un torneo multi-milionario ma sopratutto dove ogni squadra gioca cinque sole partite, come fossero tutte finali, è molto più alta rispetto a un campionato giocato su 10 giornate (più la finale). Però, sempre citando il pezzo di Rugypass “un passaggio sbagliato è sempre un passaggio sbagliato, una palla calciata è sempre una palla calciata”.
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Campbell Burnes ha analizzato le tre gare giocate nella quarta giornata del Sei Nazioni mettendole a confronto con Crusaders-Chiefs e Blues-Highlander (curiosamente terminate entrambe 39-17). Se su Italia-Galles c’è stato poco da dire, se non sottolineare le accese collisioni e gli scontri, a proposito di Scozia-Irlanda a Burnes non sono piaciuti i tantissimi calci alti per spostare il gioco da una parte all’altra del campo, una tendenza che avevamo già evidenziato anche noi negli scorsi mesi. Per quanto riguarda Inghilterra-Francia – scrive l’autore – è stata sicuramente una bella partita, ma con tanti errori nel mantenimento del possesso: il talento dei francesi contro la potenza e la capacità di mantenere il possesso degli inglesi, che poi hanno vinto 23-20 una partita al cui finale “molti telespettatori hanno ringraziato il fatto che sia arrivato il fischio finale” (cit).
Nel Super Rugby Aotearoa invece il primo pensiero di tutti i giocatori secondo Burnes è sempre quello di usare e muovere la palla al meglio. C’è stata una meta solo sfiorata da Rieko Ioane dopo un passaggio di 25 metri del fratello Akira (che all’anagrafe ovale sarebbe una terza linea) con l’autore che si chiede se, ad esempio, Billy Vunipola avrebbe mai potuto pensare a una giocata del genere. Il livello di abilità mostrato viene definito molto più alto nel torneo neozelandese, e questo non solo offre più spettacolo ma permette anche alle squadre di provare una maggior quantità di set-pieces per superare delle linee difensive comunque performanti.
Forse, visto che Burnes è neozelandese, l’analisi sembra un po’ semplicistica e di parte ma è sicuramente piuttosto interessante perché mette in luce aspetti del nostro rugby su cui si discute ormai da qualche tempo ed evidenzia la sempre maggior divergenza delle strade prese tra il rugby del Vecchio Continente e quello neozelandese.
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