La storia di Derek Redmond. Dedicata a tutti i papà

Nel giorno della festa del papà la nostra Poesia Sportiva non poteva che essere dedicata a un padre e un figlio

Derek Redmond

Derek Redmond

E’ Derek Redmond il protagonista di questo nuovo appuntamento con la rubrica curata da Alessio Di Lorenzo che con la sua pagina Instagram Poesia Sportiva racconta Il lato poetico ed autentico dello sport attraverso frasi, citazioni e racconti dei protagonisti del mondo dello sport. E nel giorno della festa del papà l’articolo di oggi non poteva che parlare di una vicenda sportiva che ha visto come protagonisti un padre e un figlio. Con un dedica speciale a tutti i papà. Oggi è la vostra festa…Auguri!

 

Uno stimato chirurgo d’Inghilterra ha una foto appesa nel suo studio. Ritrae un giocatore di una squadra inglese di pallacanestro, e la cosa bizzarra è che quel medico non segue la pallacanestro, e chi gli ha mandato lo scatto non è un parente, tantomeno un amico. E’ un velocista chiamato Derek Redmond.
Alla fine degli anni Ottanta, Derek è probabilmente il miglior quattrocentista del suo Paese, e i 400 metri sono una di quelle discipline tremende: non è velocità, poiché sul giro di pista non si riesce a mantenere lo sprint veloce, ma non è neppure mezzofondo, poiché bisogna comunque spingere sempre al massimo.

Insomma, è una gara per veri duri. E Derek Redmond lo è: gareggia con l’amico-rivale Roger Black, con cui costituisce una staffetta affiatata, e fino a che i muscoli tengono vince anche un paio di ori, ai Giochi del Commonwealth e all’Europeo di Stoccarda. Ma non senza mille difficoltà: è potente, ma fragile, e si fa male ben otto volte.
Una volta si rompe pure il tendine d’Achille, l’infortunio più doloroso per i corridori. Salta così l’Olimpiade di Seul, ma riesce a rimettersi in forma per la successiva, a Barcellona, nel 1992.

Arriva alla semifinale, e gli statunitensi sono, come al solito, tra i favoriti. Derek sa bene cosa ha passato per arrivare lì. Respira, ascolta il cuore, e parte bene. Ma metà gara si blocca: il bicipite femorale destro si strappa come una corda di violino. Una fiammata. Derek rimane per un istante senza fiato, in mezzo alla pista, e nessuno si accorge di lui. Gli americani corrono verso il traguardo.

E Derek…in fiamme…fermo…no, non fermo. Saltella su un piede solo, pur di finire la gara. Il pubblico, ora, lo guarda. E dagli spalti si alza una persona, che gli corre incontro: è suo padre.
Derek si appoggia a lui, stringe i denti, saltella ancora e, insieme al padre, supera la linea del traguardo. Solo allora Derek accetta di fermarsi non di arrendersi. Gli occhi di tutto il mondo sono su di lui, e se la memoria collettiva ha già dimenticato i nomi dei vincitori di quella gara, non ha dimenticato quelli dei signori Redmond mentre passavano la linea di fine gara.

E il chirurgo? Dopo le prime operazioni dice a Derek che “la sua carriera è finita ed è l’ora di trovarsi un lavoro vero”. Solo che non ha capito di che pasta è fatto lui. E così, due anni e mezzo, e sette operazioni, più tardi, Derek decide di mandargli quella cartolina: c’è lui, con la maglietta della squadra di basket dei Britain’s Birmingham Bullets, e una bella dedica.

[Estratto dal libro: Goals – 98 storie + 1 per affrontare le sfide più difficili]

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