L’head coach ducale ha affrontato diversi temi in una lunga intervista su OnRugby, dopo aver ottenuto il titolo di allenatore dell’anno in Pro14
“Un premio assegnato dai coach del torneo, con tutto il rispetto non da stampa, social o supporter. Gli allenatori del torneo hanno riconosciuto il lavoro svolto in questi mesi alle Zebre. Chiaro che se si guarda esclusivamente ai meri numeri (4 vittorie e 12 sconfitte, peggior difesa in termini di punti complessivi subiti, ndr) sembra non aver troppo senso, ma se si guarda al lavoro ed alla qualità delle prestazioni, ne assume eccome”. Esordisce così, raggiunto da OnRugby poche ore dopo la partita persa in volata contro Bath nei quarti di Challenge Cup, fotografia sintetica ma efficace della crescita in delle Zebre in stagione, Michael Bradley, head coach ducale, parlando del premio di ‘Coach of The Year’ del Pro14 ’20/’21, ricevuto recentemente dall’irlandese.
Lavoro di qualità, il suo e degli assistenti Andrea Moretti e Fabio Roselli, che ha dato i suoi frutti step by step, settimana dopo settimana, non intaccato da un mese di ottobre, in avvio di stagione, molto difficile: “Tornando agli albori dell’anno agonistico, ricordo le difficoltà in avvio. I primi tre match, dopo una pausa lunghissima inframezzata solo da due derby estivi, furono complessi per tutti. Eravamo con gli internazionali – condizione anche dei nostri avversari – e non siamo stati performanti. Nelle prime due sfide contro Blues e Dragons, pur non sfoggiando grandi partite, abbiamo comunque avuto un’occasione per vincere, senza essere in grado di coglierla, contro Leinster, invece, al netto della loro forza, abbiamo giocato probabilmente la peggior partita dell’anno, con una serie di errori evitabili ed una performance complessiva non all’altezza”.
Una partenza che, tra mille polemiche per le prestazioni negative, certificate anche da risultati eccessivamente pesanti, avrebbe steso chiunque, ma non staff e giocatori ducali, che hanno cambiato passo nelle sfide immediatamente successive. “Da quelle prime tre settimane, nonostante quel k.o. con Leinster fosse stato pesante, siamo riusciti a trarne degli insegnamenti di rilievo e quando siamo tornati in campo – senza gli internazionali – abbiamo sfoderato due prestazioni molto positive. Nella prima parte della partita contro gli Ospreys – che poi abbiamo vinto faticando troppo nel finale -, ed anche nella trasferta di Llanelli (sconfitta con gli Scarlets 18-17 in volata), ho visto una squadra con grande confidenza nei propri mezzi. Due sfide che, al netto poi di momenti segnati dai tanti infortuni, hanno lanciato una stagione in cui abbiamo avuto in tante partite quantomeno l’occasione concreta di portare a casa il successo finale (4 vittorie in tutto in campionato, ma almeno altre 6/7 sfide in bilico sino ai minuti finali). A volte ci siamo riusciti, altre no, ma abbiamo avuto con regolarità una certa consistenza, ancor più nel corso del 2021” spiega Bradley, aggiungendo poi uno dei motivi del salto di qualità prestativo, lungo tutto l’arco della stagione.
“Di certo, rispetto agli scorsi anni, il gruppo dei ragazzi (ancora) non internazionali ha capito realmente cosa si chiede in allenamento ed in partita per essere competitivi in Pro14, ed è cresciuto moltissimo a 360 gradi, e questo è un fatto. In tale maturazione diffusa, non legata solo ad uno o due ragazzi (non solo Bruno o Giammarioli, che sono magari la punta dell’iceberg) bensì ad un elevato numero di atleti, un peso importante lo hanno avuto i due nuovi assistenti Fabio (Roselli, ndr) e Andrew (Andrea Moretti, ndr)”.
L’impatto dell’ex staff dell’Under 20
“Stanno lavorando su una serie di dettagli tecnici con competenza e con la capacità di riuscire ad entrare in profondità nella testa dei ragazzi, portando ogni settimana tre/quattro messaggi chiari agli atleti – da riportare nel match – che li seguono con grande attenzione. Questo ha portato a grandi miglioramenti sia in termini di efficacia, in diversi frangenti del gioco (attacco, difesa, incisività sui punti d’incontro), sia in termini di disciplina, con il numero dei nostri calci di punizione tecnici, nel gioco aperto, che è sceso in maniera importante rispetto al recente passato”, dettaglia Bradley, dando credito ai suoi assistenti anche per tante delle buone cose viste contro gli inglesi, venerdì scorso.
“La partita contro Bath, per la quale come detto siamo delusi dal risultato, ma in parte soddisfatti per la qualità della preparazione alla gara e per la performance, ci regala una bella possibilità per esemplificare quanto detto. Purtroppo abbiamo fatto fatica in chiusa – dove invece molte altre volte abbiamo lavorato bene -, ma depurando i penalty concessi lì, più i 2 in maul, in tutta la partita, pur giocando sui nostri limiti massimi, quindi sotto ovvia pressione sia in attacco che in difesa, ci sono stati fischiati contro solo 4 calci. Un dato eccellente, la chiave per essere arrivati a giocarci una partita come quella, al cospetto di un avversario di valore come Bath, in volata. Un’altra cosa molto positiva è stata l’impatto con il match: nel 1’, salita della rete difensiva egregia, buon lavoro al placcaggio e turnover nel breakdown con Fischetti. E’ un qualcosa su cui avevamo lavorato bene in settimana, e che ha funzionato nel corso del match. Quando hai feedback di questo genere, e vedi i ragazzi portare a casa risultati – benché parziali – durante ogni incontro, significa che il lavoro sta dando frutti”.
Una crescita generalizzata, nonostante l’assenza di un leader totale
Una crescita, quella delle Zebre, passata anche attraverso la maggior presa di responsabilità di tutti i ragazzi, in assenza di capitan Castello, ai box da due anni dopo l’infortunio in Inghilterra del 2019, sul cui ritorno in campo, Bradley nutre ancora delle speranze. “Tommaso (Castello, ndr) ci manca molto, sia come giocatore che – a maggior ragione da capitano – come punto di riferimento, come leader del gruppo. Chi l’ha sostituito in termini di capitanato ha fatto un grande lavoro, ma la leadership di Tommy è comunque fondamentale. A volte si tende a sottovalutare questo aspetto del gioco, ma nel rugby e non solo avere in campo – e nello spogliatoio – persone in grado di prendersi certe responsabilità può far la differenza tra vincere e perdere partite/battaglie/incontri in equilibrio. La sua situazione è ancora in divenire, speriamo possa tornare dopo le operazioni, ma dobbiamo aspettare ancora un po’”, racconta Bradley, orgoglioso di come Tommy Boni stia facendone le veci, alzando peraltro i suoi standard di gioco.
“Tommaso Boni lo sta sostituendo in modo esemplare da capitano e sta giocando molto bene. E’ super concentrato sul suo rugby, sia che venga schierato a 12 o a 13. Ed è anche “fitter”: è calato 3/4kg, ma senza perdere potenza. E’ più leggero, con tutti i lati positivi della cosa, senza aver perso minimamente efficacia. Credo si stia divertendo in campo, sia in allenamento che in partita e si vede. Così come Renato (Giammarioli, ndr), che ha trovato continuità in campo, e questo gli ha dato grande slancio. Lavora focalizzato solamente sulla prestazione negli 80’: sta rendendo in modo eccezionale. Questo tipo di prestazione consentirà loro di tornare in gioco anche per conquistare una maglia azzurra, anche se nel merito si tratta ovviamente di decisioni che spettano a Franco (Smith, ndr) ed al suo staff”.
Lo stile di gioco – l’importanza dell’offload
Un traguardo, per Bradley, quello del Coach of The Year, raggiunto mantenendo la stessa filosofia, nel corso degli anni, adattando però il sistema di gioco alle difese avversarie mutate nel corso del tempo. “Nel corso degli anni non è cambiata la nostra filosofia – “attacca lo spazio” -,ma si è modificata l’opposizione degli avversari. La stagione precedente al mio arrivo, le Zebre giocavano tanto off-9 e con uso massiccio del piede, andando poi a portare la pressione. L’attacco, così, però, era semplice da difendere, vicino al breakdown, e si concedevano tanti possessi agli avversari”.
“Allora decidemmo di giocare molto di più off-10, muovendo la palla da ogni angolo del campo e mettendo in difficoltà le difese rivali, che magari si aspettavano cose diverse. Poi, negli anni a venire, hanno iniziato a difenderci in modo diverso, portando più persone sulla linea, e lasciando più spazio dietro”.
“Noi, però, come detto, abbiamo proseguito con la stessa filosofia, creando diverse opportunità in base alla proposta degli altri: spazio sulla linea? Muoviamo e proviamo ad attaccare in quel modo. Spazio dietro? Possiamo usare il piede in modo opportuno oppure esplorare gli avversari nell’uno contro uno diretto, con l’opzione del riciclo”.
“Unica cosa che non cambia mai nel nostro game-plan è il valore del’off-load, in ogni zona del campo. Senza giri di parole, è fondamentale. Se hai l’opportunità di eseguirne uno, con costrutto e logica, significa che stai per avere la possibilità di marcare una meta. Non devi avere paure di tentare l’offload, se è la soluzione migliore in quel momento”.
Uno sguardo sul fronte internazionale, tra Italia e Georgia
Sul sistema Italia: “Ci sono tanti giocatori giovani molto interessanti. E questo regala grande speranza ed energia positiva a tutto il movimento. Se si migliora ulteriormente la struttura per portare il più velocemente possibile tutti i ragazzi migliori a livello Pro14, si avrà sempre più possibilità di essere competitivi anche con la nazionale. Si lavorerà in quest’ottica anche con il nuovo presidente, cercando il meglio per il nostro movimento”.
Differenze con la Georgia, dove Bradley ha allenato per diversi anni, in seno allo staff della selezione maggiore: “Hanno un sistema razionale, proiettato verso l’alto livello, simile alle altre union tier 1. Tutte le risorse vanno nella direzione delle nazionali, maggiore in primis, e le altre a cascata. Tutti i club lavorano per questo, ed hanno grande importanza nella ricerca e nello sviluppo del talento. Inoltre, negli ultimi anni stanno portando il rugby nelle scuole in maniera efficace. Se dovessi fare una fotografia in grande del movimento, tuttavia, va sottolineato come la “famiglia ovale” del paese sia piuttosto piccola. Nel Sei Nazioni farebbero molta, molta più fatica dell’Italia, alla quale sono convinto che, per un reale salto di qualità, manchi soprattutto un pizzico di confidenza, ma le cose potranno andare decisamente meglio nei prossimi anni” chiude Bradley, prima di godersi l’amato sole emiliano, in un meritato giorno di break. “Qui avete il sole sei mesi l’anno, in Irlanda lo abbiamo per sei… sei… sei giorni all’anno, non potrei tornare indietro (sorride, ndr)”.
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