Piers Francis, andate e ritorni

Quando vuoi sfondare ma non riesci nel tuo intento, puoi mollare o riprovarci. Piers Francis ha scelto la seconda opzione

piers francis inghilterra

Piers Francis

Se arriva una sconfitta personale, l’importante è saper ripartire. Parola di Piers Francis, giunto letteralmente in capo al mondo pur di giocare a rugby. L’Anonima Piloni vi parla di lui, tra Scozia, Nuova Zelanda e Inghilterra.

Se nei tuoi anni più belli ti dicono che non sei adatto, fatto accertato, c’è una buona possibilità di rimanerci sotto. Può capitare di non essere tagliati per qualcosa, per qualcuno, mica siamo tanti barattoli di nutella, mica siamo delle pizze. Ma questo lo capisci solo quando, forse, i primi peli grigi cominciano a fare capolino.
Quando sei adolescente è dura, durissima uscirne.
Può capitare di mollare di brutto. Vaffanculo, prendo e mi butto a capofitto su altro, su altri.
Si può, invece, decidere di provarci nonostante. Con la grande possibilità di far capire a chi ci aveva bocciato che aveva preso un clamoroso granchio. Bello eh, ma l’ipotesi che quelli lì avessero ragione rimarrà sempre, in ogni nostro passo.
Fidatevi di chi due bastonate nella vita le ha prese, dentro e fuori dal campo.

Mi chiamo Piers Francis, sono andato alla ricerca del mio essere ovale da una parte e dall’altra del mondo.
E, per buona parte del tempo, ho preso le mie belle bastonate.
L’Accademia dei Saracens mi ha respinto, per esempio. Troppo mingherlino, dissero.
Avevo solamente diciassette anni, non è proprio il massimo se fino a due minuti prima eri fiero di essere uno di quelli che con il rugby potevi seriamente sfondare. E niente di positivo se il tuo sogno più grande è quello di mettere, prima o poi, una rosa sul petto.
Io però volevo diventare un giocatore professionista.

Mi ero reso conto che le categorie inferiori in cui militavo durante l’esperienza in Accademia mi stavano un po’ strette, e allora presi una decisione drastica: mollai tutto e partii per la Nuova Zelanda. Avrei studiato lì e provato a capire se il Paese in cui il rugby si giocava al più alto livello avrebbe potuto darmi una chance.

Eh, direi che è andata bene, se è vero che sono riuscito ad entrare nella Auckland Accademy. Mi alleno lì e gioco ai Marist, tutto insieme appassionatamente. Non è che sia stata così facile, a dir la verità: ho lavorato a lungo da Starbucks, tra caffè, frappuccini e bicchieri personalizzati. Non ero un fenomeno, me la cavavo meglio col rugby, ma due soldini servivano eccome. Apertura, all’occorrenza centro, ho una discreta visione di gioco. Un anno dopo debutto in Mitre 10 Cup, ho 21 anni. Sono la riserva di Gareth Anscombe, che di lì a qualche mese vincerà il Mondiale under 20, ma riesco comunque a trovare un po’ di spazio. Nel 2012 vado a Waikato e gioco da titolare, mi sento pronto per provare a tornare dalle mie parti.

No, non in Inghilterra. Non ancora, credo.
Vado ad Edimburgo e faccio una discreta prima stagione, poi però mi faccio male.
E qui voi direte “Beh, a questo punto del racconto di solito l’Anonima Piloni parla della rivincita personale, del lieto fine. Oh, la bastonata in fin dei conti il buon Piers se l’è presa”.
E invece no, mi tagliano pure in Scozia.
Ci può pure stare, di quelle stagioni resta nella memoria di tanti soprattutto una mia pessima prestazione contro il Racing Metro. Quel giorno non ne feci una di giusta.

No, non doveva finire così.
Avevo bisogno di tornare dove ero stato bene.
Mollai tutto e partii per la Nuova Zelanda. Di nuovo.
Che è un bel rischio, e lo sanno tutti quelli che, stanchi di troppi giorni forse andati sprecati, provano a tornare a quando il sole splendeva e i calci entravano.
Che è un rischio gigantesco, non va quasi mai come la prima volta.
Lo sapevo benissimo, certo. Ma era il caso di provarci.
E infatti fu diverso.
Migliore.
Certo, ricominciai con la seconda squadra di Auckland, ma poi mi cercò Tana Umaga.

Stava cercando un mediano di apertura per la sua squadra, i Counties Manukau. Firmai subito, senza nemmeno pensarci troppo, l’occasione era troppo ghiotta. Giocai nove partite e destai una discreta impressione, se è vero che per il 2015 riuscii a strappare un contratto coi Blues. Per tenermi pronto firmai per tre mesi con i Doncaster Knights, squadra della seconda serie inglese, poi a marzo tornai per giocare. Restai due stagioni, condite da ventiquattro presente e 126 punti. Belle, bellissime stagioni.
Poi si fecero vivi da casa.
Questa volta ai piani alti.

Mi contattarono da Northampton, i Saints mi aspettavano.
Non avevo bisogno di altro, mi bastava l’occasione a settembre ero di nuovo in Inghilterra.
Il resto è storia recente: Eddie Jones mi convoca per i test estivi di una Nazionale senza Lions, gioco tre volte e segno una meta. Che per me potrebbe pure bastare, se non fosse che, a pochi giorni dalla partenza per il Giappone, Ben Te’o deve dare forfait per un infortunio. Eddie pensa a me e mi chiama.
Sapevo già che sarebbe toccato a me, ero la prima riserva a casa, il trentunesimo uomo.
Ma mica l’ho rubato a nessuno.
In volo ho pensato a lungo a quando i Saracens mi diedero il benservito.
Anche quando a Edimburgo niente voleva girare per il verso giusto.
E a quando seppi ripartire e rinascere a migliaia di chilometri da casa, tra un turno di Starbucks e un match in cui avrei dovuto rifornire Sonny Bill Williams.

Se nei tuoi anni più belli ti dicono che non sei adatto, fatto accertato, c’è una buona possibilità di rimanerci sotto. Può capitare di non essere tagliati per qualcosa, per qualcuno, mica siamo tanti barattoli di nutella, mica siamo delle pizze. Ma questo lo capisci solo quando, forse, i primi peli grigi cominciano a fare capolino. Quando sei adolescente è dura, durissima uscirne.
Durissima.
Ma non impossibile.

Mi chiamo Piers Francis, sono andato alla ricerca del mio essere ovale da una parte e dall’altra del mondo.
E, per buona parte del tempo, ho preso le mie belle bastonate.
Casomai vi ritroverete una rosa sul petto dopo una rincorsa su e giù per gli emisferi tra campioni del mondo, gente che ci crede ma non così tanto, caffè di dubbia provenienza e il coach più vulcanico e preparato del mondo che vi dice di correre all’altro capo del mondo il più presto possibile.
L’importante è non arrendersi.
E avere tasche che sappiano accogliere biglietti.
E sogni grandi e faticosi.

Cristian Lovisetto – Anonima Piloni

La Storia completa di Piers Francis il centro della nazionale inglese, convocato un po’ a sorpresa da Eddie Jones per la Rugby World Cup 2019 la trovate a questo link.

Tutte le precedenti puntate di Anonima Piloni le trovate qui.

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