In Nuova Zelanda non piace il TMO “a chiamata”

Giocatori e allenatori del Super Rugby Aotearoa ne criticano l’uso

In Nuova Zelanda non piace il TMO "a chiamata"

In Nuova Zelanda non piace il TMO “a chiamata” (Ph. Sebastiano Pessina)

Il Super Rugby Aotearoa ha un problema con il TMO “a chiamata”. Gli allenatori e i tecnici del campionato neozelandese di rugby, che da quest’anno aveva provato a introdurre una sperimentazione regolamentare lasciando alle squadra le possibilità di chiamare la revisione arbitrale – in alcune situazioni – in base a ciò che avevano visto e percepito durante il flusso del gioco, infatti non sembrano gradire la soluzione.

TMO: nel Super Rugby Aotearoa arriverà “la chiamata” per i capitani

In Nuova Zelanda non piace il TMO “a chiamata”

A “lanciare l’allarme” è stato per primo Scott Barrett che ha chiaramente detto: “Rallenta il gioco. A me la regola non piace, anche perché a volte va a punire cose che succedono lontane dal punto di incontro e di cui, se non eclatanti, nessuno si cura. I capitani inoltre vanno a perdere un po’ di focus sulla partita per osservare cose marginali e poi, aggiungo, alcuni giocatori sembra che se la prendano sul personale se gli fai una chiamata contro”.

Affermazioni forti, che sono state riprese e sposate anche dal tecnico dei Blues Tom Coventry: “Gli arbitri hanno buoni occhi per giudicare: lasciamo che siano loro a giudicare. Questo start and stop non fa bene a nessuno. Il rugby è un gioco che ha bisogno di flusso e di continuità, non è uno sport statico, dove c’è già un po’ più di abitudine alla “pausa”. Sappiamo che questo è uno sport difficile da arbitrare, ma così stiamo rendendo le cose ancor più complicate: armiamoci di comprensione ed empatia e lasciamo i direttori di gara tranquilli”.

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