Due cartellini gialli sul più bello possono essere deleteri per chiunque. Il Benetton Treviso del 2012-13, però, non era una squadra qualunque.
Vincere in casa degli Scarlets non è cosa da poco, soprattutto se la partita ad un certo punto sembra piegare da un’altra parte. L’Anonima Piloni vi racconta un incontro unico, nel quale Treviso seppe dilagare nel momento più difficile.
Uno, due. Uno dietro l’altro, in fila per uno col resto di uno.
Cartellini. Gialli per fortuna, nessuna porta del non ritorno.
Sì, ma 10 minuti in 14, per di più in una partita tirata, sono un’eternità che le omelie del sacerdote nelle domeniche mattina di primavera in confronto sono dei modesti monosillabi. Fate 10 minuti per due, che questa volta non fa venti.
Dieci, dodici minuti in 13, se non hai le stimmate della grande squadra e/o se non vesti una maglia nera dotata di felce argentata di serie, sono letali. Soprattutto se sei una squadra italiana in terra straniera, dove ogni piccolo difetto, ogni piccola mancanza, storicamente la paghi il doppio.
Al Parc y Scarlets non si è mai sfuggiti da questa logica.
Cartellino? Lo paghi.
Errore di foga quando la benzina sta per finire? Benissimo, bancomat o contanti?
È la stessa sensazione che stanno provando i tifosi sugli spalti discretamente vuoti dell’impianto di Llanelli, bellissima quanto difficilmente pronunciabile cittadina gallese a pochi chilometri da Swansea.
Da una parte ci sono i tifosi di casa, già un po’ preparati alla fuga e alla conclusione di una bellissima stagione regolare, coronata con la qualificazione alle semifinali per il titolo, dall’altra ci sono gli sparuti tifosi della Benetton Treviso, che da quasi un’ora stanno assaporando il gusto dolce della vittoria esterna, provato solamente poche volte, meno di quelle che si vorrebbero.
Bello vincere fuori casa, tra il silenzio e gli sporadici applausi della maggioranza degli astanti. Fa sempre un certo effetto. Treviso ha espugnato Parma e Edimburgo, andando a una trasformazione dal portare a casa 5 punti da Ravenhill, fortino dell’Ulster, altra squadra potenzialmente da titolo.
Non proprio tantissime, soprattutto se si considera il ruolino di marcia a Monigo: due sconfitte di un punto, contro le corazzate Leinster e Ulster, una partita sbagliata contro Glasgow Warriors, e un pareggio contro Connacht nella notte in cui Dan Parks decise di fare il fenomeno. Per il resto vittorie su vittorie. Alcune pesantissime, come quella contro il Munster, altre in scioltezza, come contro Edimburgo, Dragons e Cardiff. Alcune meravigliose, come contro gli Ospreys campioni in carica al debutto. O come contro gli Scarlets, ottenuta grazie a un calcio da metà campo di Alberto di Bernardo a 20 secondi dal termine dopo una rimonta monumentale.
Già, gli Scarlets. La squadra di Simon Easterby, ex ferocissima terza linea irlandese, sembra avere finalmente trovato la quadratura del cerchio. Finalmente riescono a trovare, tra gli avanti, un assetto maturo, fatto di gente tosta come Turnbull, Ken Owens e Aaron Shingler. Dietro, invece, sono da cassazione: Liam Williams, George North, Scott Williams, Andy Fenby, forse il meno fortunato dei quattro, non il meno talentuoso. È una linea di trequarti che, sarà il colore, delle maglie, sarà che sono gallesi, ma pare di avere davanti la Nazionale del Dragone. La ciliegina sulla torta si chiama Jonathan Davies, praticamente mostruoso. Gli Scarlets in campionato partono fortissimo, rifilano 45 punti all’esordio al Leinster, poi hanno una flessione invernale. Si riprendono e si presentano all’ultima giornata in quarta posizione con 4 punti di vantaggio sugli Ospreys, che però all’ultimo giro di valzer dovrebbero presentarsi a Dublino e vincere col bonus. Mettiamola così, manco gli All Blacks. Manca solo l’aritmetica, quindi, e l’avversario sulla carta non è neanche così imbattibile. Se non altro non può chiedere molto alla sua classifica.
Easterby però, tra i mugugni generali, non risparmia la pratica Treviso a nessuno dei titolari.
Cosa li mette in campo a fare, risparmiali per i playoff.
Lo dicono in tanti, nei forum gallesi.
Già, peccato che qualcuno si sia dimenticato che qualche centinaio di chilometri più giù, vicino a Venezia, un ex mediano di apertura Springboks abbia portato al suo apice un manipolo di giocatori di qualità, grintosi e vogliosi di far vedere all’Europa che quelli là, quelli che vivono nello Stivale, nel rugby contano qualcosina.
Franco Smith allena a Treviso dal 2007, in Italia ha vinto qualsiasi cosa, anche da giocatore. Ma in Europa, soprattutto nei primi anni, sono scoppole da paura. Troppa differenza di qualità e di competitività dal vertice. Vittorio Munari, allora direttore generale, diceva che in certe partite bisognava scegliere: o perdere di 30 e perdere per infortunio due o tre giocatori, o perdere di 60 e “salvarsi”.
Piano piano, però, le cose cambiano. Si rende conto che potenzialmente ha una mischia di livello assoluto, ma l’impatto con il gotha europeo non può essere immediato: ci vogliono un paio di stagioni di rodaggio, condite da vittorie insperate e qualche sconfitta non preventivabile, ma all’alba della stagione 2012-2013 capisce che si può veramente osare: ci sono giocatori come Leonardo Ghiraldini e Alessandro Zanni che in Europa potrebbero essere titolari ovunque, un Robert Barbieri con una forma fisica e uno status mentale visti poche volte in pochi giocatori internazionali. Ma, soprattutto, un pacchetto di mischia e delle fasi statiche in certi momenti orgasmici. I primi 8 uomini, con l’aggiunta di Parisse, Mauro Bergamasco e Geldenhuys, saranno tra i grandi protagonisti del 6 Nazioni del 2013, ma intanto fanno piangere gli avversari in campionato. A questi vanno aggiunti un Francesco Minto di livello enorme e lo sbocciare completo di due centri come Luca Morisi e Michele Campagnaro, che là dietro cominciano a dare spettacolo insieme ad Alberto Sgarbi, anch’egli alla sua miglior stagione di sempre.
A tutta la pattuglia italiana vanno aggiunti tre o quattro stranieri che, finalmente, sono di prim’ordine: tra i trequarti arrivano Christian Loamanu, già visto con la nazionale giapponese, e Doppies La Grange, centro sudafricano, forse il più forte tra i neoacquisti, ma perseguitato dagli infortuni. Non giocherà molto, ma quando metterà piede in campo lascerà sempre il segno. Davanti c’è il neozelandese Dean Budd, magari meno performante di altri in difesa (imparerà), ma un cavallo di razza in attacco e Jacobus Roux, pilone sudafricano, di gran lunga il meno forte della compagnia, ma comunque funzionale per tenere la panchina lunga e ben oliata. Roux è titolare a destra nell’ultima recita annuale, così come La Grange e Loamanu.
Treviso parte male, al primo possesso Scarlets l’arbitro fischia e Owen Williams va per i pali, ma poi accelera: su una loro rimessa i gallesi non si intendono e Barbieri smanaccia la palla verso i suoi. La prende Zanni, che fa qualche passo con due uomini addosso, poi va a terra. Si rende conto che, nella selva di maglie rosse, c’è uno sprazzo del suo stesso colore. Serve il pallone, è Antonio Pavanello, che ha visto un buco e si è fiondato a velocità Mach 2.
Pavanello corre una quarantina di metri, viene fermato a pochi centimetri dalla meta, ma a sua volta vede del bianco e del verde alla sua destra e ricicla il pallone. A ricevere c’è Robert Barbieri, praticamente inarrestabile se lanciato ai 5 metri dalla linea di meta. Burton trasforma.
Nel primo tempo non è che succeda poi molto: tre calci di Williams danno l’impressione che gli Scarlets possano dilagare nella ripresa, ma per due volte Burton rispedisce al mittente la minaccia.
La ripresa inzia senza praticamente soluzione di continuità, con Burton che fissa il punteggio sul 16 a 12. Qui gli Scarlets hanno un sussulto e attaccano pesantemente il fortino dei Leoni. Valerio Bernabò, per evitare il peggio, è costretto al fallo professionale, cosa punita col cartellino giallo. Passano un paio di giri d’orologio e ad accomodarsi fuori è Bees Roux, colpevole di aver fatto crollare una mischia.
Uno, due. Uno dietro l’altro, in fila per uno col resto di uno. Cartellini. Gialli per fortuna, nessuna porta del non ritorno.
Sì, ma 10 minuti in 14, per di più in una partita tirata, sono un’eternità che le omelie del sacerdote nelle domeniche mattina di primavera in confronto sono dei modesti monosillabi. Fate 10 minuti per due, che questa volta non fa venti.
Dieci, dodici minuti in 13, se non hai le stimmate della grande squadra e/o se non vesti una maglia nera dotata di felce argentata di serie, sono letali.
Soprattutto se sei una squadra italiana in terra straniera, dove ogni piccolo difetto, ogni piccola mancanza, storicamente la paghi il doppio.
Al Parc y Scarlets non si è mai sfuggiti da questa logica.
Cartellino? Lo paghi.
Errore di foga quando la benzina sta per finire? Benissimo, bancomat o contanti?
Nessuna delle due.
Perché i padroni di casa vanno in touche per cercare il bersaglio grosso, ma perdono il possesso e Treviso si salva. È lunga, direte, dieci minuti e rotti con due uomini in meno è veramente come scalare un Galibier con le puntine da disegno disseminate per i tornanti. Solo che a muovere il tabellino è ancora Burton, 19 a 12.
I Leoni prendono fiato, sanno che è ancora lunghissima. Solo che gli Scarlets, improvvisamente, escono del tutto dalla partita. Treviso se ne accorge e prova ad alzare il suo baricentro. Una lunga azione degli avanti si ferma sui 5 metri gallesi, poi la palla esce e arriva nelle mani di La Grange. È un attimo: la palla arriva subito fuori all’accorrente Vosawai, che nessuno si aspetta lì, sul filo della linea di touche. Vosawai è già di suo gigantesco, ha un braccio che è una gamba e una gamba le cui referenze sono custodite verosimilmente in un ufficio catasto, pensate voi cosa voglia dire fermarlo lì, quando sente odore di area di meta. Non è cosa, è 26 a 12, rientra Bernabò.
Sugli spalti la gente tira fuori radioline e telefoni, vuole saperne di più su quel che sta succedendo a Dublino, su cosa stiano facendo gli Ospreys, perché l’aritmetica in quei frangenti è una disciplina molto rivalutabile.
Perdono netto? Bene. Rimettono via il tutto.
Ciò che è chiaro è che in pochi prima del match si sarebbero aspettati una cosa del genere. Delle cose del genere, tra le tribune e nel rettangolo verde, perché quelli là, quelli vestiti di bianco e verde, mica hanno finito di dire la loro.
Luca Morisi, appena entrato, deborda e si beve la difesa di casa, 33 a 12. Poi arriva Loamanu per il clamoroso punto di bonus. Termina le operazioni Burton, all’ultimo match con la maglia biancoverde, con un calcio da metà campo.
A rincuorare un po’ i tifosi di casa ci penserà Liam Williams allo scadere, ma il 41 a 17 resta una ferita di quelle brutte e lunghe da cicatrizzare.
A Treviso, invece, torna una squadra fortissima, magari non spettacolare come qualcuno vorrebbe, ma solida e devastante come forse solo un’altra grande Treviso, quella del 2004-2005, è riuscita ad essere.
I tempi, purtroppo, cambieranno. Quella di fatto è una delle ultime grandi recite europee di un certo tipo di rugby italiano prima di un paio di stagioni buie che più buie non si può.
Una, due. Facciamo anche tre.
Ritornerà.
Ci vorranno cuore, grinta, fasi statiche e uomini giusti al posto giusto.
E qualche radiolina, improvvisamente, uscirà dalle tasche di chi non aveva fatto bene i conti con chi si trovava davanti. Forse è già capitato, siamo sicuri capiterà ancora.
Cristian Lovisetto – Anonima Piloni
Tutte le precedenti puntate di Anonima Piloni le trovate qui.
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