Dal 1995 in poi il livello degli stranieri nei campionati italiani è progressivamente calato. Con poche, felicissime eccezioni.
Brendan Williams è stato uno degli stranieri più forti mai apparsi sui campi da rugby italiani negli ultimi vent’anni. L’Anonima Piloni vi racconta vita, talenti e debolezze del trequarti aborigeno, giocatore di cui si sente la mancanza.
David Campese, John Kirwan, Danie Gerber, Naas Botha, Joel Stransky. Ma anche Billy Bush, Buck Shelford, Greg Martin, Chester Williams. Breve, anzi brevissima lista di campioni di rugby. Manchevole, anzi, manchevolissima. Ce ne sarebbero parecchi altri, ma questi un po’ si assomigliano: hanno giocato tutti, chi più chi meno, in Italia. C’è chi alle nostre latitudini ha cambiato ruolo (Campese apertura e Gerber ala sono capolavori tutti made in Padova e made in L’Aquila), chi ha continuato a seminare il panico con lo stesso numero di maglia, così come aveva già fatto in giro per il mondo.
Tutti i campioni citati hanno però un’altra cosa in comune: sono arrivati in Italia prima del 1995, anno che funge da vero e proprio spartiacque nella storia della palla che rimbalza ubriaca. Il 1995 è l’anno dell’avvento del cosiddetto professionismo, l’anno in cui le grandi federazioni decidono che i loro campioni è meglio che non svernino più in campionati competitivi sì, ma meno sentiti e impegnativi dei loro. Si racconta che Petrarca e Treviso, durante la Coppa del Mondo del 1995, si fossero mosse sottotraccia per mettere sotto contratto rispettivamente Joost van der Westhuizen e Jonah Lomu, ma purtroppo non era più tempo per movimenti di mercato così clamorosi. Sarebbe stato bello vederli qua vicino, a scambiarsi placcaggi come in quella finale del 1995.
Dopo quella Coppa del Mondo, da noi, non è più stata la stessa cosa: gli stranieri più forti rimangono a casa loro, nei nostri campionati fioccano vecchie glorie senza più nulla da chiedere alla propria carriera, giovinastri ancora imberbi (se passate per Viadana, chiedete di Tana Umaga e Inoke Afeaki) o seconde scelte. Pure terze, di quelle buone per il brodo o poco più. In tutto questo movimento di giocatori dal non sempre eccelso valore, negli ultimi vent’anni, qualche gemma si è vista. Franco Smith, per esempio, apertura Springbok chiusa troppo presto da Henry Honiball, già comunque visto a Modena nei primi anni ‘90. Gerard Fraser, anche lui apertura, neozelandese cresciuto a Canterbury finché non si è trovato davanti un certo Dan Carter e un certo Aaron Mauger. Marius Goosen. E poi, anzi prima, un aborigeno di Sidney, mai famoso per aver vissuto una vita morigerata ma con gambe che, da queste parti si erano viste solo ai tempi di del primo della lista qua sopra, di Campese.
Già, gambe come quelle di Brendan Williams non si vedevano da un bel po’.
Williams a fine anni ’90 è una delle stelle del Randwick, formazione del massimo campionato australiano per club. Il rugby a 15 l’ha scoperto a 16 anni, viene dal rugby a 7 pur non facendosi mancare una puntatina anche nel rugby league. Non ha avuto un’infanzia facile quello che in Italia diventerà famoso come “Dingo”: nasce infatti a Redfern, uno dei quartieri più malfamati di Sidney, ma anche grazie al rugby riesce a tirarsi fuori da un futuro sulla carta non troppo roseo. Il ragazzo ha un fisico “normale”, colleziona 175 centimetri per un’ottantina di chili. Se prima dell’era professionistica quelle misure gli potevano garantire una tranquilla carriera in quasi tutti i ruoli della linea dei trequarti, con l’avvento di certi fisici mostruosi il suo compito si rivela ben più difficile.
Eh, ma il ragazzo è elettrico, ha uno spunto veloce non indifferente e un cambio di direzione da furetto. Se servito con il giusto angolo lo prendi solo con un fucile a canne mozze. È una delle stelle del Randwick, si diceva, nel 1998 viene eletto Rookie dell’anno.
È già stato avvistato dai Waratahs, ma non se ne fa nulla.
Il ragazzo è un viveur,gli piace uscire con gli amici, gli piace la birretta facile. Meglio se più di una alla volta. Il fatto è che questo tipo di alimentazione e una vita sociale non propriamente da eremita cozzano terribilmente con quello che prevede ed esige il nuovo professionismo, e allora per il momento le trattative si bloccano. A muoversi per lui, nel 1999, è Vittorio Munari, desideroso di portare a Padova quello che, per il campionato italiano, potrebbe essere un vero e proprio crac. Munari non è propriamente l’ultimo arrivato, negli anni ’80 barattava VHS del campionato australiano con la registrazione di concerti operistici di cui alcuni suoi amici dell’emisfero sud andavano matti. A questo aggiungete che a Randwick l’ex allenatore e ora dirigente del Petrarca conosce un paio di “amici”: uno è Michael Cheika, ex terza linea del Randwick e appena diventato nuovo allenatore proprio del Petrarca, l’altro è David Campese, amico fraterno di Vittorio sin dai tempi della prima calata del fenomeno australiano in Italia. I due in qualche modo consigliano una boccata d’aria al ragazzino terribile, lui li ascolta.
Fa una stagione incredibile, segna 22 mete ed è di gran lunga il giocatore più forte del campionato. Non è sufficiente per portare lo scudetto all’ombra del Santo, ma a Sidney qualcuno deve aver dato un’occhiata a qualche quotidiano sportivo italiano. Brendan Williams viene richiamato in patria, diventa ufficialmente un giocatore dei Waratahs. A Sidney, sulla carta, il ragazzo è tra i più forti trequarti della franchigia: nessun altro giocatore ha il passo per tenerlo, soprattutto quando si parla di scatto secco. Peccato però che la stagione venga condizionata da una burrascosa relazione d’amore che lui tenta di digerire a suon di alcool. Appare 8 volte con la maglia dei Waratahs nel Super 12, segna una meta, ma non può continuare così. Dall’Italia, a loro volta, qualcuno deve aver seguito le vicende di Dingo.
Quel qualcuno è ancora Vittorio Munari che, appena può, lo riporta a Padova.
E poi a Treviso, nel 2002.
Ecco, se già in Australia Dingo aveva fatto capire di essere uno dei più forti giocatori in circolazione, potete capire che nel pur competitivo Super 10 italiano di inizio millennio, già assaggiato e digerito in precedenza, uno così finisca per essere praticamente illegale. Dal punto di vista puramente offensivo è il giocatore più decisivo di sempre visto alle nostre latitudini, forse alla pari di David Campese. Pure in difesa fa il suo. E se già in Australia qualcuno aveva pensato a una sua convocazione in Nazionale, beh, pensate se non viene l’acquolina in bocca anche ai piani alti della nostra Federazione. Peccato che, però, in Australia qualcuno l’abbia convocato davvero, depennandolo di fatto da una eventuale lista di azzurrabili. Nel 1998, infatti, vince la medaglia di bronzo ai Giochi del Commonwealth con l’Australia, inchinandosi solamente a Waisale Serevi e compagnia cantante in semifinale. Tornerà ai Giochi nel 2006, convocato da Glen Ella insieme a gente come Lote Tuqiri e Chris Latham, ma il podio questa volta rimarrà un miraggio.
Ecco, se Dingo per la Nazionale azzurra resta un sogno irrealizzabile, a Monigo e dintorni nessuno vuole svegliarsi. È a più riprese il metaman del campionato, cederà lo scettro solamente nel 2009. Poi Treviso, dopo una lunga estate di appalti, scelte quantomeno azzardate o altro, approda nel Pro12. Brendan Williams è tra i confermati in rosa, ma più di qualcuno storce il naso: il dubbio più grosso, secondo alcuni, è quanto un trentaduenne abituato ai ritmi del campionato italiano possa apportare in uno scenario molto più competitivo e feroce come quello europeo. Non è che Dingo ci metta molto a rispondere: è tra i protagonisti dello storico trionfo sugli Scarlets, segna contro gli Ospreys e corona una storica vittoria sotto la pioggia contro il Leinster.
A gennaio farà diventare matta la retroguardia di Munster, ma la meta più rappresentativa, il vero manifesto delle abilità di Williams, arriva nella stagione successiva, contro i Newport Gwent Dragons: Treviso caccia a terra un pallone gallese sulla linea dei 22 difensivi, l’arbitro fischia il tenuto. Brendan si avvicina al pallone con passo flemmatico, proclama calma. Poi parte. Sullo scatto brucia due avversari, altri due vengono saltati. Saltati non è un modo di dire, sembravano due paletti in balia del Tomba dei giorni belli. Poi 40 metri di corsa in mezzo ai pali. Imprendibile. Darà tutto fino al 2 maggio 2014, giorno del suo ultimo match casalingo contro i Glasgow Warriors. È l’ultima cavalcata di Dingo a Treviso e dintorni, per certi versi è anche l’ultima cavalcata di una Benetton Treviso che si appresta a vivere un periodo buio. In quella tiepida sera di maggio si è vista per l’ultima volta l’apparizione di un giocatore di altri livelli, cresciuto negli anni di transizione tra un rugby che metteva talento, capacità tecnica e sagacia tattica sopra tutto e uno che la butta il più delle volte sulla fisicità, sul blitz muscolare.
Un giocatore di cui, forse, hanno perso lo stampo.
Un talento e delle gambe che non si vedevano da un pel po’.
Già, perché gambe e talento come quelli di Brendan Williams non si vedevano da un bel po’.
E ancora non si scorgono del tutto all’orizzonte.
Cristian Lovisetto – Anonima Piloni
Tutte le precedenti puntate di Anonima Piloni le trovate qui.
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