Il derby visto dall’ex capitano del Petrarca, tra ricordi e riflessioni sul futuro del rugby italiano
Torna il derby in finale, tornano i ricordi di un pezzo di storia della nostra palla ovale. A raccontare le sensazioni del pre-partita ci ha pensato Nicola Bezzati, attuale allenatore del Valsugana femminile ed ex capitano del Petrarca, che pur non essendo sceso in campo in prima persona ha un vivo ricordo della tiratissima finale del 2011 vinta in rimonta su Rovigo per 14-18, dopo il 14-3 iniziale dei rodigini (con meta di Andrea Bacchetti, protagonista atteso anche domani). Un infortunio al ginocchio non permise al terza linea di giocare quella partita al Battaglini, ma le sensazioni di quel titolo e di un match così restano.
A dieci anni di distanza ritorna il derby d’Italia in finale, che sensazione si prova?
Ci pensavo l’altro giorno, si è riproposta a campi invertiti la stessa situazione di dieci anni fa con le stesse dinamiche e gli stessi obiettivi. Loro furono dominanti in stagione ma come sempre volevamo lottare per il titolo e ci siamo riusciti. In generale, la finale Petrarca-Rovigo è qualcosa di unico, è la partita più bella che ci sia.
Anche la stagione è stata simile, seppur a parti invertite. Dieci anni fa Rovigo dominò la stagione e poi perse la finale in casa, quest’anno è stato il Petrarca a dominare il campionato e giocherà la finale a Padova. Potrebbe finire allo stesso modo?
Beh, mi verrebbe da dire: speriamo che ti sbagli! (ride, ndr)
Cosa vedi in comune tra questa finale e quella del 2011?
Il contesto chiaramente è cambiato, non solo perché stavolta è il Petrarca ad essere stato davanti in campionato, ma più per motivazioni extra-sportive, anche se il Top10 alla fine è riuscito a finire il campionato per intero, conducendo quasi con “normalità” il suo percorso. Diciamo che l’analogia che ci lega più a dieci anni fa è proprio questa rivalità portata alla finale, che è qualcosa di splendido.
Avere poi una finale così, finalmente, con il pubblico, è qualcosa di ancora più bello…
Sicuramente deve essere un piacere per i ragazzi in campo, ma deve essere un piacere soprattutto per chi segue questo sport. Una finale senza pubblico sarebbe stata davvero triste, magari i ragazzi sono stati abituati durante la stagione a giocare senza tifosi, ma per un evento unico come questo sono davvero contento che ci sia la possibilità di far entrare degli spettatori, anche se in maniera ridotta.
Il Petrarca ha dominato la stagione, ha vinto bene la semifinale d’andata e stava conducendo agevolmente anche la partita di ritorno, poi c’è stato un black-out che ha rischiato di compromettere tutto. Secondo te è stato un evento isolato o si tratta di un campanello d’allarme in vista della finale?
Penso sia stata una semplice sbavatura, cose che non dovrebbero ma possono accadere in squadre di alto livello come il Petrarca. In una semifinale ci sta, dopo aver condotto una regular season perfetta. Penso che Marcato e Jimenez abbiano le competenze per gestire questa finale. Ho visto una squadra compatta, solida, con idee semplici ed efficaci e due allenatori che hanno trovato un ottimo feeling per migliorare il lavoro interno.
Hai parlato prima di come il Top10 sia arrivato fino in fondo nonostante i problemi. In che modo si potrebbe valorizzare maggiormente il campionato?
Forse una formula di campionato ridotto potrebbe migliorare la qualità delle rose e dare quindi più valore al torneo. Ad esempio una riduzione a 6 squadre, massimo 8 ma avrei già qualche dubbio. In questo modo si andrebbero a distribuire altri 40-50 giocatori di qualità che potrebbero aiutare le rose delle squadre partecipanti: può essere un azzardo e qualcuno storcerà il naso, ma potrebbe essere un’idea. In questo modo anche le altre 4 squadre contribuirebbero ad alzare il livello della Serie A. Senza contare i giocatori che l’anno prossimo scenderanno dalle franchigie al campionato italiano, aumentando ulteriormente il livello. Allo stesso modo, serve un investimento delle TV, più c’è visibilità e più la gente si avvicina.
Sei stato capitano del Petrarca e adesso ti occupi – da allenatore – di rugby femminile (head coach del Valsugana femminile, tre volte campione d’Italia): hai ritrovato in questo ambiente lo stesso tipo di leadership e di modo di vivere il rugby?
Se si parla di rugby non c’è nessuna differenza. Per me, il rugby è rugby. Cambiano certe dinamiche a livello fisico e di velocità, ma per il resto è uguale. Dal punto di vista della leadership ci sono delle caratteristiche diverse solo sotto il profilo comunicativo, ma sotto il profilo operativo e comportamentale le dinamiche di gruppo sono le stesse, nella gestione del gruppo e delle partite. Ci sono dei leader che hanno una comunicazione diversa: fanno più domande allo staff e ti mettono alla prova su quello che puoi fare e che sai fare. È un discorso comunicativo: le donne sono più intelligenti degli uomini, e le persone intelligenti ti fanno e si fanno tante domande.
Ultima domanda, inevitabile: chi vince?
Petrarca, grazie e arrivederci! (Ride n.d.r.)
Francesco Palma
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