Rovigo, Bacchetti: «La finale del 2011 contro il Petrarca ci ha insegnato a non dare nulla per scontato»

L’ala rodigina suona la carica prima del match decisivo, tra riflessioni sul passato e la voglia di portare a casa il titolo.

Rovigo, Andrea Bacchetti dieci anni dopo: «Quella finale ci ha insegnato a non dare nulla per scontato» (Ph. Massimiliano Sandri)

Rovigo, Andrea Bacchetti dieci anni dopo: «Quella finale ci ha insegnato a non dare nulla per scontato» (Ph. Rugby Rovigo/Massimiliano Sandri)

L’eterno ritorno di Nietzsche applicato al rugby: Andrea Bacchetti e Petrarca-Rovigo. Dieci anni fa il trequarti ala rodigino fu tra i protagonisti di quella finale che sfuggì sul più bello. Dieci primavere dopo il derby d’Italia della palla ovale torna a scrivere un altro pezzo di storia, con Bacchetti che sarà in campo per provare a colorare di rossoblù su questa nuova pagina. Poco prima della sfida, Andrea si è confidato ad OnRugby.

Un’altra finale tra Petrarca e Rovigo, questa volta a Padova, a dieci anni di distanza. Cosa si prova?

Quella di dieci anni fa è stata una gran bella stagione, al di là del risultato della finale che sicuramente ci ha lasciati con l’amaro in bocca. Quell’anno giocammo la finale in casa e ci arrivammo con 16 vittorie in campionato, quest’anno partiamo un passettino indietro rispetto a quella stagione, però la convinzione e la voglia di fare bene è sempre tanta.

Il Petrarca ha dominato la stagione regolare, però in semifinale si sono viste anche delle crepe che prima non erano apparse sul muro inscalfibile dei ‘neri’. Questo vi ha dato maggiore convinzione?

Abbiamo vissuto un periodo della stagione difficile, con 3 sconfitte di fila: quella è stata la svolta del nostro campionato, ci siamo focalizzati su quello che facciamo noi più che su quello che stanno facendo gli altri. Ovviamente guardiamo l’avversario, ma la nostra attenzione è su quello che facciamo noi e sugli errori che commettiamo. Il Petrarca è ovviamente una squadra completa su tutti i fronti e di conseguenza non sarà facile metterli in difficoltà, per questo abbiamo lavorato molto su quello che potremo fare noi in attacco, in difesa e nelle fasi statiche per imporre il nostro gioco.

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Il modo in cui avete vinto la semifinale vi ha fatto fare un passo in avanti quanto a solidità?

Certamente. Abbiamo un gruppo abbastanza giovane e tanti miei compagni non hanno mai affrontato dei playoff con in palio qualcosa di così importante. Sicuramente aver vinto così, contro una squadra come Calvisano e con l’obiettivo di andare oltre i 9 punti di scarto, ci ha dato più sicurezza e più serenità. Tutta la squadra si è tolta un piccolo peso.

Quanto ha contato il ritorno dei tifosi e quanto conterà domani?

Ha contato perché il fattore campo senza tifosi non era poi così fondamentale, invece la carica che danno i tifosi di Rovigo è qualcosa di particolare: è una città piccola, conosciamo le persone che vengono sugli spalti e le vediamo tutti i giorni. La considero una grande famiglia. La finale invece sarà “in trasferta” per entrambe perché alla fine si giocherà in uno stadio diverso e i biglietti sono stati divisi a metà tra le tifoserie. Sarà alla pari.

È comunque una bellissima avere una finale con il pubblico. Una ripartenza un po’ per tutti?

È fondamentale. Questa pandemia ha creato tante insicurezze e per tutti gli italiani vedere degli eventi sportivi sia importante. Rivedere le famiglie allo stadio è importantissimo e deve essere un punto di partenza per far sì che nei prossimi mesi si ritorni alla normalità, sperando che questa pandemia ci lasci un po’ più tranquilli. Per le società è stato un anno complicatissimo, con tamponi settimanali e tante partite rinviate: tutti si sono organizzati nel modo migliore possibile e riavere i tifosi allo stadio è la cosa migliore per tutti.

Cosa ti porterai dietro della finale di 10 anni fa? Ci sono dei punti in comune?

Il fatto che io e Edoardo Lubian fossimo a Rovigo in quella finale ci permette di portare ai nostri compagni quell’esperienza dove abbiamo imparato a non dare nulla per scontato. Affronterò questa finale nel modo più sereno possibile senza pensare al 2011 ma vivendo la partita come un’opportunità. Ho 32 anni e non è detto che mi ricapiterà di giocare una finale scudetto. Sarebbe una grandissima soddisfazione ed è una tappa molto importante.

Hai parlato spesso della tua “rinuncia” al rugby internazionale (2 volte Azzurro nel 2009). Partite di questo tipo ti fanno pensare di aver fatto la scelta giusta?

Il rugby è il mio lavoro ma è anche un divertimento. Quando sono andato in Francia mi sono reso conto che non riuscivo a divertirmi, di conseguenza ho fatto un passo indietro. Ti dico la verità: sono conscio del fatto che sia stato un limite, ma non me ne sono mai pentito. Quando indosso la maglia della mia città è un orgoglio: rappresento tante persone, gli amici, la gente che lavora e magari chiude il negozio prima per venire a vedere la partita, i bambini che vanno a scuola e vogliono essere come noi e gli anziani che si ricordano gli scudetti di 20 anni fa.

Domanda secca: la prima cosa che farai se doveste vincere, la prima cosa che farai se doveste perdere.

Se dovessimo vincere la prima cosa che farò sarà andare da mia nonna e farle rivedere la giornata che ho passato nel miglior modo possibile. Lei tiene tanto alla mia carriera sportiva. Quest’anno sono riuscito a portarla poche volte allo stadio a causa della pandemia e ci tengo a renderla partecipe sia della mia carriera sportiva che della vita di tutti i giorni. Se dovessi perdere cercherò di resettare tutto, di non piangermi addosso e di pormi dei nuovi obiettivi.

Francesco Palma

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