La terza linea sudafricana si racconta ad OnRugby, tra campionato appena terminato, meta decisiva e futuro
Quella di Rovigo è stata una vittoria collettiva: dei giocatori, del tecnico, dello staff e dei tifosi. C’è però un elemento che per forza di cose rimarrà per sempre legato al ricordo di questo titolo: Carel Greeff, e non potrebbe essere altrimenti. La meta decisiva – così come nell’altrettanto pesante semifinale di ritorno con Calvisano – l’ha marcata lui, finalizzando un assalto che ha tenuto col fiato sospeso i tifosi fino all’ultimo. Il sudafricano, entrato dalla panchina al Plebiscito, ha raccontato a OnRugby le sensazioni di una finale e di una stagione tiratissima.
Lo raggiungiamo al telefono, risponde in italiano e gli chiediamo se si sente più a suo agio parlando in inglese: ovviamente la risposta è «Yeah, it’s better» accompagnata da una risata, ma è sicuramente apprezzabile lo sforzo. Si comincia subito a parlare del derby d’Italia e dei playoff, ponendo l’accento sulle due vittorie last minute contro Calvisano e Petrarca: «La nostra forza mentale è stata davvero importante, già prima della partita avevamo parlato dell’aspetto psicologico e ci siamo detti che qualunque cosa fosse successa non avremmo mai dovuto mollare, fino alla fine». Ripete per ben due volte «Never give up», con forza, come se fosse ancora in quello spogliatoio a sentire la carica di un match fondamentale, e fa capire molto bene quanto l’aspetto mentale sia stato fondamentale per questa vittoria e per il percorso fatto durante tutto il torneo.
A un certo punto, infatti, la stagione sembrava compromessa, dopo 3 sconfitte consecutive che avevano portato Rovigo lontana dal vertice e ne avrebbero potuto minare anche il morale. Eppure, come già raccontato anche da Andrea Bacchetti, proprio quel momento è stato per Carel e compagni il vero punto di svolta dell’anno: «Penso che quello sia stato il periodo più difficile della stagione. Avevamo perso 3 partite consecutive ed eravamo calati, per questo ci siamo riuniti tutti quanti, insieme allo staff, e abbiamo deciso di ricominciare da capo ponendoci come obiettivo le partite che avremmo dovuto vincere per risalire in classifica ed essere in una buona posizione per le semifinali e la finale».
Parlando della finale, non si poteva non entrare nel dettaglio di quegli attimi incredibili che hanno preceduto il fischio finale. Prima la carica decisiva, poi un check del TMO che in realtà non è stato nemmeno così lungo, ma che in quel momento sembrava interminabile, poi l’assegnazione della meta e l’urlo di gioia dei giocatori di Rovigo e dei tifosi sugli spalti del Plebiscito. Eppure, mentre tutti erano col fiato sospeso, Greeff cercava la sua scarpa destra, ed era sicuro di aver segnato quella meta: «All’inizio stavo cercando la mia scarpa, poi qualche mio compagno di squadra ha provato a chiedermi se avessi segnato, io ho risposto “di sicuro è meta, possono anche controllare al TMO ma sono sicuro, è meta” (ride n.d.r.)».
La terza linea sudafricana è in Italia dal 2017, e ha sviluppato un legame importante col Paese nel quale dal punto di vista rugbistico si è tolto la grandissima soddisfazione di vincere uno scudetto. Prima le stagioni ai Medicei, poi Rovigo, un amore sempre presente per la penisola e un po’ di progetti per il futuro, anche fuori dal rugby: «Mi piace tantissimo l’Italia, e anche la mia famiglia si trova molto bene a vivere qui. Mi piace il rugby italiano, sono felice di farne parte e mi godo la vita in questo bel posto. Intanto sto studiando gestione finanziaria e mi laureerò quest’anno. Resterò a Rovigo e se avrò altre occasioni nel rugby le sfrutterò, ma dopo voglio concentrarmi sul lavoro per cui sto studiando».
Lo scudetto, tra meta decisiva e festa indimenticabile: tutto questo rimarrà sempre legato a Carel Greeff, che insieme ai suoi compagni ha scritto un pezzo di storia del rugby italiano.
Francesco Palma
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