Abbiamo chiesto all’arbitro della finale del massimo campionato di tornare sul momento decisivo del match e spiegarci nel dettaglio il protocollo TMO
La finale del campionato italiano di Top10 fra Rovigo e Petrarca ha incoronato la squadra rossoblu Campione d’Italia per la tredicesima volta nella sua storia al termine di una partita combattuta, in cui i Bersaglieri hanno operato il sorpasso decisivo in extremis.
Nei giorni successivi la meta finale segnata da Carel Greeff ha sollevato alcuni dubbi e polemiche sulle modalità di assegnazione, ma a ben vedere il comportamento del gruppo arbitrale incaricato di dirigere l’incontro è stato quello che ogni fine settimana viene adottato nel resto del pianeta rugby, dall’Inghilterra alla Nuova Zelanda, e anche nelle fasi finali del Top10, le uniche a beneficiare della presenza del TMO.
Per spiegare uno dei tanti complessi e spesso poco noti aspetti del regolamento abbiamo pensato di chiedere proprio a chi quella meta l’ha assegnata come funzioni nel dettaglio l’utilizzo del television match officer .
“Nel campionato italiano utilizziamo lo stesso protocollo per il television match officer presente a livello internazionale” spiega ad Onrugby Marius Mitrea arbitro della finale di Top10.
In ogni caso in cui una marcatura non sia esente da dubbi, per l’arbitro sussiste infatti la possibilità di avvalersi dell’aiuto del television match officer. La relazione fra la terna sul campo e l’arbitro davanti agli schermi è anch’essa regolamentata.
“Quando è avvenuta l’azione della meta, per prima cosa ho fischiato e fatto il segno della T con le mani, a segnalare che il tempo di gioco era stato fermato.”
“Mi sono quindi consultato con l’assistente Piardi: entrambi avevamo visto il grounding – l’azione di schiacciare la palla in meta – ma siamo stati d’accordo sull’andare a verificare la cosa con l’aiuto delle immagini video.”
“Qui il protocollo prevede che l’arbitro sul campo abbia la responsabilità di prendere una decisione, che in questo caso, avendo visto la palla schiacciata, è stata di assegnare la meta.”
Si tratta di quella che gli inglesi chiamano on-field decision e che tanto spesso ci capita di ascoltare anche assistendo alle partite internazionali. Nel caso in cui la decisione sul campo sia di non assegnare la meta, il TMO verificherà se invece c’è chiara evidenza della marcatura.
In caso contrario, spiega Mitrea: “La responsabilità del TMO è quella di individuare se dalle immagini emerga con incontrovertibile chiarezza che la meta non è stata segnata. Nel tempo intercorso fra lo stop del cronometro, il colloquio con l’assistente e la domanda al television match officer ho riflettuto su quanto accaduto e ho richiesto particolare attenzione su due fattispecie di azioni da analizzare: un in-avanti o un doppio movimento da parte del marcatore della meta.”
“Quando siamo andati allo schermo presente in campo, il TMO aveva già individuato l’angolo migliore per vedere l’azione. È questo il suo compito: ha davanti diversi schermi, in cui può immediatamente rivedere molteplici volte quanto accaduto e sottoporre a noi in campo le angolazioni e le riprese più chiare.”
“Dalle immagini non solo è stato chiaro che non c’era doppio movimento né in-avanti, ma anche nessun altro ostacolo alla convalida della meta.”
“Peraltro, anche se a termini regolamentari non è necessario in questo tipo di casi che si veda chiaramente dal video la marcatura della meta, a ulteriore conforto della decisione c’è anche l’immagine della segnatura, con la palla sulla linea bianca” conclude Mitrea.
Le riprese della gara e l’audio di questo video mostrano la comunicazione tra la terna e il TMO Stefano Penné, mettendo in luce la dinamica e lo svolgersi delle varie fasi del protocollo per giudicare la meta decisiva della finale del Top10.
Il protocollo per il TMO, utilizzato in tutte le competizioni internazionali, è leggermente diverso da quello che operava in passato: restituisce all’arbitro la responsabilità di una prima chiamata sul campo, non riducendo il tutto a un mero utilizzo della tecnologia televisiva.
“Questo protocollo TMO ha rimosso dei limiti rispetto ad alcuni casi che si verificavano spesso nel precedente modo di lavorare in cui il direttore di gara poteva rifugiarsi nel demandare al TMO la responsabilità di un accadimento, chiedendo semplicemente: è meta, sì o no?” dice ancora Mitrea.
“Prendiamo ad esempio il caso di una maul che sfonda fin oltre la linea di meta, dove è chiaro che la marcatura è stata segnata ma a causa del groviglio di corpi le immagini TV non facciano chiarezza sul grounding del pallone. Qualche anno fa la meta non sarebbe stata assegnata, mentre oggi, restituendo la responsabilità all’arbitro di prendere comunque una decisione sul campo e dando al TMO il compito di una eventuale smentita, si ha un equilibrio che rende sempre più limitato il margine d’errore.”
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