Italia-Samoa, un raggio di sole nella tempesta

Quando sei dentro la tempesta, anche un solo raggio di sole dà speranza per il domani

ph. Sebastiano Pessina

Ad Ascoli Piceno va in scena l’ultima possibilità per gli azzurri di cancellare lo zero dalla voce “sconfitte”. L’Anonima Piloni vi racconta di come l’Italia riuscì a vincere tra errori, gambe tremanti e infortuni che non ci volevano.

Il 2009 non è un grande anno ovale, se si considerano i colori azzurri. E gli eufemismi.
Non ne vinciamo una. Meglio, non diamo mai l’impressione di poterne vincere una.

Vuoi perché il ricambio generazionale non è all’altezza di altri, vuoi perché alcune regole sperimentali ci privano fino a luglio della maul, permettendo il suo abbattimento ogni volta che ne viene formata una. Vuoi perché alcune scelte di Nick Mallett hanno fatto gridare allo scandalo in uno dei templi del rugby mondiale.

No, non ne vinciamo una. Da quando abbiamo rischiato di battere l’Australia all’Euganeo non azzecchiamo una partita che sia una. Novembre 2008. Poi perdiamo male contro i Pumas e, soprattutto, contro i Pacific Islanders, fusione talentuosa ma fracassona delle tre potenze pacifiche. In quattro anni di tour non avevano mai vinto una partita, ma espugnano Reggio Emilia.

No, non riusciamo ad uscirne.

Certo, l’orgoglio ci permette di non far uscire dall’angolo gli All Blacks a San Siro, ma contro gli Springboks emergono tutti i nostri difetti: una difesa non sempre ineccepibile se attaccata da cingolati, pochi guizzi in attacco, nessun calciatore in grado di regalare macinato con costanza. Resta Samoa.

Hai detto niente.
Certo, in Francia non c’hanno capito nulla, ma al Millennium hanno rischiato seriamente di portarla a casa.

Hanno due o tre uomini in grado di far parecchio male: Henry Tuilagi, per esempio. Ma pure Mapusua, che è il capitano e uno dei giocatori più in vista in Premiership. Census Johnston, che è un signor pilone. Ad Ascoli, però, arrivano un po’ corti: sono costretti a giocare con un centro all’apertura, un estremo di 21 anni senza uno straccio di esperienza internazionale e una mischia tutt’altro che irresistibile.

Nascondere la palla e punire ogni infrazione.
Sembra facile. Più facile.

Sembra la volta buona. Ci si può schiodare dallo zero carbonella.
Solo che in settimana si rompe Sergio Parisse. Il primo italiano di sempre a finire nella cinquina tra cui verrà scelto il miglior giocatore mondiale dell’anno. A San Siro Sergio ha fatto il fenomeno, contro il Sudafrica è stato tra gli ultimi ad arrendersi.

Contro Samoa, e per tutta la prima parte del 2010, non ci sarà.
Il 2009 non è un grande anno ovale, se si considerano i colori azzurri. E gli eufemismi.
Certo, direte, a rugby si gioca in quindici. E c’avete pure ragione.

Ma quando credete che sia iniziata la discesa e vi salta la catena, beh, un minimo le palle vi girano, dite la verità.
Perché perdere nello stesso crac il capitano e il giocatore che può risolvere quasi ogni problema in campo non è cosa semplice da mettere a posto. Mallett sceglie di spostare Zanni a numero 8, giocatore dalla mole di lavoro inversamente proporzionale all’eloquio sciorinato in campo.

E Zanni parla molto poco.

Samoa, nei primi minuti, si dimostra per quello che è: una squadra relativamente modesta se paragonata ad altre nazionali samoane, ma perfettamente in grado di rimanere in partita quando l’avversario ha paura di sferrare il colpo del ko.
E noi abbiamo una incredibile voglia di farci del male.

Intendiamoci, la tattica è giusta: rallentare il gioco, tenere il pallone e, quando necessario, farli ripartire da casa loro. E poi riprenderselo. Andiamo avanti con un calcio di Mirco Bergamasco, che dopo il disastro generale di Udine si è preso la responsabilità della piazzola.

Poi, però, non battiamo il ferro finché è caldo: Tebaldi, quando apre, costringe i suoi trequarti a giocare con la difesa schierata e già pronta al placcaggio. Gower ogni tanto prova a variare il gioco, ma la difesa avversaria non ha matasse serie da sbrogliare.

Va da sé che allora, per il momento, bisogna risolverla con le prodezze dei singoli: Ghiraldini calcia un pallone che il mediano di mischia samoano non controlla, Mapusua e compagni si salvano a quattro, cinque metri dalla linea di meta, ma devono liberare al più presto.

Fuimaono, buon centro a Gloucester ma apertura di livello diverso, calcia poco distante. Mirco Bergamasco gioca veloce per Luke McLean, che sembrerà pure lento e compassato, ma i samoani mica lo prendono mai. Otto a zero, sembra tutto in discesa.
Il problema è che siamo attanagliati da una clamorosa paura di perdere: sbagliamo calci di spostamento relativamente semplici, gettiamo al vento occasioni clamorose, come quando prendiamo fallo in mischia chiusa per aver continuato a spingere dopo il fischio dell’arbitro.

E se sbagliamo le mischie vuol dire che nella tempesta ci siamo dentro fino al collo.
Samoa accorcia con Esau dalla piazzola, ma si vede che loro stanno peggio di noi: hanno già perso Tuilagi dopo dieci minuti, non vanno oltre a qualche fase confusionaria, provano i tre punti da metà campo.

Ne hanno poca, ma noi non ce ne accorgiamo. E allora via di raggruppamenti interminabili, di fasi lente, di gioco ridotto allo strettissimo indispensabile.
Per fortuna loro fanno fallo e Bergamasco e Gower riescono ad allungare.

Il primo tempo si chiude sul 14 a 6, ma con una lucidità diversa la partita avrebbe potuto già essere bella che chiusa a doppia mandata.

La ripresa non presenta un copione diverso: noi sbagliamo troppe esecuzioni , Samoa cerca di sfruttare il piede potente di Esau. Per nostra fortuna l’estremo avversario non ci punisce ancora, ma il nostro colpo del ko latita.

Va da sé che allora, per il momento, bisogna risolverla con le prodezze dei singoli.
Altra liberazione pacifica dalla zona rossa, il pallone arriva a Tebaldi.
Tito non ha avuto fino a questo momento una grandissima giornata: troppo lento dietro ai raggruppamenti, troppo impreciso nei calci. Il coraggio però non gli manca, rilascia il pallone.

Drop.

La frustata è fantastica, il pallone passa in mezzo ai pali, 17 a 6.
Sergio Parisse, in panca con le stampelle, applaude e rincuora i suoi.
Prendiamo coraggio, cominciamo a sbagliare meno. La mischia finalmente ingrana e mette in ginocchio la prima linea avversaria.

Poi i samoani restano in 14, visto che Fa’afili decide di provare a decapitare McLean.
Rosso diretto, ma Bergamirco sbaglia il calcio dalla linea dei 22.
Poco dopo ne sbaglia uno anche Gower.

L’Italia, però, col passare dei minuti si è lasciata alle spalle il braccino del primo tempo e prova a chiudere la partita ancorandosi al piatto della casa.
La mischia, bravi.

Samoa, già in difficoltà con la prima linea titolare, capitola quando l’acido lattico ha la meglio, l’arbitro ci concede la meta tecnica. Di fatto la partita finisce qui, c’è ancora tempo per qualche incursione degli ospiti, ma nulla in grado di intaccare il 24 a 6 con il quale si conclude l’incontro.

Il 2009 non è un grande anno ovale, se si considerano i colori azzurri.
Ma riusciamo a concluderlo con un raggio di sole.

Troppo poco per abbronzarsi, il giusto per asciugarsi la pelle e ripensare al domani. Perché dopo la tempesta si pensa sempre al domani.

A tutto quel che si può recuperare, a tutto quel che non si è fatto.
E che di sicuro, con il bel tempo, non tarderà a riuscire.

Forse.

Cristian Lovisetto – Anonima Piloni

 

Tutte le precedenti puntate di Anonima Piloni le trovate qui.

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