Abbiamo parlato con l’ex fuoriclasse azzurro alla vigilia della finale di Rainbow Cup
Fresco di trasloco in Italia, dopo aver salutato nelle scorse settimane – con grande emozione – la famiglia Wasps (dove negli ultimi 4 anni ha ricoperto i ruoli di responsabile della Academy under 18 dei Wasps e supporto per i trequarti della Senior Academy, composta dai giocatori tra i 18 e i 22 anni), Andrea Masi, che sarà domani a Monigo per vedere all’opera il Benetton (la sua nuova squadra, in qualità di assistente allenatore a partire da luglio) contro i Bulls – nella finale di Rainbow Cup -, è tornato in Italia, per godersi gli ultimi scampoli di vacanza ed approcciarsi alla suddetta, nuova ed intrigante esperienza in Ghirada.
Lo abbiamo raggiunto per un’intervista tra leoni, under 20 e tanto altro.
Andrea, quali saranno le chiavi di Benetton-Bulls? Quali sono i punti forti dei sudafricani?
Ho preferito non disturbare lo staff questa settimana, ma immagino abbiano lavorato molto sul cercare di arginare la fisicità dei Bulls, su set pieces/fonti di conquista e sul breakdown. I tre aspetti sui cui – osservando la squadra sudafricana – il team di Pretoria spicca per qualità d’esecuzione e conseguente efficacia.
Su cosa può puntare il Benetton?
In questi mesi, da osservatore attento, mi ha colpito molto la capacità di maneggiare e rendere produttivo il gioco caotico, fuori dalla struttura d’attacco. Tantissime sono state le marcature pesanti nate dalla capacità di tenere vivo il gioco andando per continuità diretta: uno contro in cui spesso si è vinto l’impatto ed offload ben portato. Altrettanto interessante, poi, è stata, nonostante un’annata complessa, la capacità nelle ultime settimane dei leader come Duvenage e Negri di alzare esponenzialmente il tasso di leadership e lo standard delle loro performance. Ancorandosi a questo, anche ragazzi come Garbisi, Cannone o Favretto – per citarne alcuni, ma la lista sarebbe lunga -, hanno avuto un impatto di grande qualità, dovendosi occupare solo del loro lavoro in campo, senza dover pensare troppo a responsabilità varie nel corso del match.
Quale sarà invece il marchio di Andrea Masi, nei prossimi mesi?
Nel corso della preseason, ci sarà un grosso lavoro sulla struttura d’attacco, su ruolo e responsabilità dei giocatori all’interno del sistema offensivo. Ci sarà molta esigenza relativamente al lavoro senza palla. Muoversi nel modo giusto e farsi trovare al posto giusto: queste saranno le chiavi dei mesi estivi.
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Con gli italiani a disposizione…
Verosimilmente la cosa migliore che ci potesse capitare. Avremo tanto tempo per prepararci in maniera adeguata alla nuova stagione, per trovare la giusta sintonia tra staff e ragazzi, lavorare sulle nuove filosofie d’attacco – entrando più nel dettaglio nel mio ruolo -, e permettere ai giocatori di adeguarsi a nuove metodologie di training.
Magari pure extra-motivati dopo il percorso fatto in chiusura di annata. Un cerchio ancora potenzialmente da chiudere domani…
Battere i Bulls ed alzare un trofeo, poi, varrebbe un extra boost importante in termini di autostima ad un gruppo che, tuttavia, in questa fase ha già buona fiducia nei propri mezzi. Tanto che approccerà la partita con la consapevolezza di poterla vincere.
Diverse volte, negli ultimi anni, il movimento italiano, con club o nazionali, è andato ad un passo dalla vittoria importante, mancando della giusta convinzione per arrivare sino in fondo, da vincitori, alla partita. Riuscirci avrebbe grande significato e spinta per i leoni, ma anche per tutto il rugby italiano.
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A proposito di vittorie, la selezione azzurra Under 20 negli ultimi anni ha fatto discretamente bene e domani debutta nel Sei Nazioni di categoria. Quale valore dai a questo torneo, da allenatore/manager negli ultimi anni a stretto contatto con una fascia d’età simile?
E’ una fascia di età fondamentale. Si tratta del primo verso step verso il professionismo. Prima dell’Under 20, tutto è focalizzato sullo sviluppo del giocatore, con la vittoria di partite e tornei che ha un valore estremamente relativo.
Quando si sale su questo palcoscenico, invece, cambia tutto. I giocatori, infatti, hanno sviluppato il loro bagaglio ovale a 360 gradi quasi al 100% – benché ci siano ancora ovviamente aspetti da limare -, e le partite cominciano ad essere un termometro reale della loro consistenza. Subentrano pressioni di rilievo, legate alla mera performance individuale, a quella di squadra ed ovviamente anche al risultato.
Questa è la fascia d’età in cui si iniziano a vedere quali sono i leader di un team, quali sono in grado di vincere non solo quando nettamente superiori ma anche sotto la pressione di una gara in bilico, quali maneggiano con perizia gli aspetti tattici e fondamentali del gioco. E’, di fatto, il primo livello del gioco in cui gli addetti ai lavori – di qualsivoglia sorta – notano e selezionano i talenti veri. Non a caso, un 70% dei giocatori delle super potenze che raggiunge la selezione Under 20 del suo paese poi, se non è in grado di guadagnare caps con la maggiore, riesce quantomeno a giocare da pro in Premiership, Top14 o ProD2.
A proposito di Premiership, come arrivano gli inglesi, che conosci benissimo?
Questa classe dell’Inghilterra non può che essere inserita tra le favorite. Innanzitutto, la squadra ha giocato diverse partite, arrivando al torneo con 6/7 gare sulle gambe, tra amichevoli e partite interne, e poi, soprattutto, ha giocatori eccellenti per la categoria un po’ in ogni ruolo. Per fare un esempio, scendendo nei dettagli di un reparto, possiamo prendere la mediana, dove ci sono 4 elementi che hanno fatto la Premiership da protagonisti. Per i numeri 9, Jack van Poortvliet è la terza scelta di Leciester, dove con i Tigers ha giocato molto, mentre Raffi Quirke è addirittura il primo cambio di Faf de Klerk agli Sharks, con i quali ha disputato diversi match, facendo spesso la differenza. Discorso analogo all’apertura, con Charlie Atkinson dei Wasps e Orlando Bailey di Bath, che sono due talenti conclamati, più volte in campo con le prime squadre. Siamo di fronte a ragazzi che ogni domenica si sono dimostrati performanti al livello richiesto dalla Premierhsip, dove – prima di tutto – si va incontro a un forte stress mentale, che non tutti sono in gado di maneggiare.
Chi ha giocato meno, invece, sono (alcuni degli) Azzurrini…
L’Italia arriva, rispetto tra le altre a selezioni come Francia ed Inghilterra, con l’incognita minutaggio – anche se talvolta può rivelarsi arma a doppio taglio – per tutti i ragazzi che non sono stati impegnati in Top10, dove però, va detto, diversi ragazzi hanno mostrato di essere più che a loro agio. Mi vengono in mente, tra gli altri Lorenzo Cannone ed Alessandro Garbisi, spesso in campo con grande efficacia nel massimo torneo nazionale. Il gruppo, poi, ha grande talento nel complesso, ed è guidato da uno staff che conosco bene e di cui ho grande stima professionale. Sono sicuro che arriveranno pronti, sotto ogni aspetto, alla prima uscita con il Galles.
Chi non ci sarà, purtroppo, almeno in apertura di torneo, è Riccardo Favretto, che si è fermato precauzionalmente per alcune concussion in stagione. Proprio per limare questo problema, le linee guida arbitrale di World Rugby sono quelle di tutelare sempre di più la testa dei giocatori, punendo in maniera severa determinati contatti. Come ti poni rispetto a ciò?
Dobbiamo adattarci tutti, è la direzione in cui il rugby sta andando e probabilmente è giusto così, perché bisogna tutelare la salute degli atleti, soprattutto a lungo termine. Noi, in qualità di coach, abbiamo la necessità di allenare questi giocatori affinché non si trovino nella condizione di commettere infrazioni regolamentari che finiscano per penalizzare la squadra con troppi calci piazzati o ancor peggio con una prolungata inferiorità numerica.
Credo che sia nostra responsabilità essere creativi, e riuscire a cambiare il modo di allenare tecnicamente i giocatori. Dovremo lavorare in modo diverso su placcaggio e pulizia in ruck. Non sarà una cosa veloce, perché serve tempo per cambiare abitudini radicate. Negli ultimi 20 anni, che ho vissuto da entrambe le parti della barricata, ad esempio, c’è stato un gran lavoro sul placcaggio alto – per rallentare il pallone -, ora servono input completamente diversi, ma è un qualcosa che si può/si deve fare. E’ vero che se ne va un po’ dello spettacolo, ma la salute è troppo importante.
Aumentare la sicurezza – adeguando regole e sanzioni, e monitorando sempre meglio concussion ed altre situazioni pericolose per il fisico -, peraltro, può garantire ai genitori delle nuove potenziali generazioni ovali la certezza di portare la prole a fare uno sport sia sano che sicuro.
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